mercoledì 18 agosto 2021

Nella Grande Certosa


Qualche mese fa abbiamo avuto un incontro zoom tra tutti i consultori della Congregazione della vita consacrata del Vaticano. Accanto ai più vecchi, come me con consultore da 25 anni, erano presenti quelli di nuova nomina. Tra questi l’abate della Grande Certosa fondata da san Bruno nel 1084. Trovandomi a pochi chilometri dalla Certosa non potevo non andare a trovare il collega, tante più che la sua regola gli impedisce di uscire dalla Certosa.

Così, poiché in questi giorni è infortunato, non è potuto venire all’entrate, così, fatto raro, sono potuto entrare nel monastero, interdetto ai visitatori, e nella sua cella. Vive là dentro da 40 anni, assieme a 24 fratelli, di cui 4 novizi. Sembra una vita impossibile e invece è ancora viva dopo più di mille anni.



Sono stato nella Certosa di Firenze, ora ravvivata dalla comunità di san Leolino, e in quella di Serra San Bruno, in Calabria, fondata da san Bruno e dove il santo ha vissuto gli ultimi anni della sua vita. Non ero mai stato nella prima storica Certosa.

Dalla montagna di fronte, dove sono salito il mese scorso, la Certosa appare appena un puntino lontano, nella stratta vallata, a 1190 metri di altitudine sul massiccio della Chartreuse. Un vero “deserto”, come aveva sognato san Bruno, che vi aveva costituito sette capanne e un oratorio di pietra. Nel 1132, a causa di una valanga, la prima costruzione venne abbandonata per essere ricostruita qualche centinaio di metri avanti, in un luogo più riparato, dall’allora priore Guigo I, che stilò le “Consuetudines”. Poco dopo fu stabilito che il priore della Grande Certosa fosse il Generale dell’Ordine. Dopo otto incendi, due saccheggi e l’espulsione dei monaci durante la Rivoluzione Francese, la vita proseguì. 



Con la nuova espulsione a seguito delle leggi anticlericali del 1903 i monaci si rifugiarono nella certosa di Farneta in Italia, fino al 1940, quando decisero di ritornare alla Grande Chartreuse. (E' davvero "grande", grandissima, con edifici a non finire...)

Le “Consuetudini” fanno l’elogio della vita solitaria, “lodata da molti santi e sapienti la cui grande autorevolezza e le cui orme non siamo degni di calcare… Nell’Antico e soprattutto nel Nuovo Testamento quasi tutti i più grandi e profondi segreti furono rivelati ai servi di Dio non nel tumulto delle folle, ma quando erano soli. Gli stessi servi di Dio, tutte le volte che li accendeva il desiderio di meditare più profondamente qualche verità o di pregare con maggiore libertà o di liberarsi dalle cose terrene con l’estasi dello spirito, quasi sempre evitavano gli ostacoli della moltitudine e ricercavano i vantaggi della solitudine”.



Ed eccomi con l’abate, p. Dysmas: si chiama  come il buon ladrone del vangelo! Ed è proprio buono, semplice, nel suo bell’abito bianco. 

Lo confronto con le Consuetudini dei Certosini, dove è scritto: Il priore “sebbene debba essere di giovamento a tutti con la parola e con la vita e debba prendersi cura con sollecitudine di tutti, tuttavia ai monaci fra cui è stato scelto deve offrire soprattutto un esempio di quiete, di stabilità e di tutti quegli esercizi che sono consoni al loro genere di vita. (…) Egli, comunque, non esce mai dai confini del deserto. Il suo seggio, ovunque sia, e il suo vestito non differiscono da quelli di tutti gli altri per nessun segno di dignità o lusso, ed egli non porta nulla da cui appaia che è il priore. Ci si inchina davanti a lui – e leggermente – soltanto quando va o ritorna dal leggere la lettura, o quando si passa davanti a lui; e quando egli va da qualcuno, quegli si alza in piedi”.

Gli ho chiesto la benedizione; me l’ha dato dicendo, naturalmente, che non era la sua ma quella del Signore...

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