martedì 4 luglio 2023

Chiara Lubich a Grottaferrata

Trento, mercoledì 5 luglio 2023 - ore 20:30

Aula Magna Vigilianum, via Endrici


Dialogo attorno al libro

Elena Del Nero / Paolo De Maina (edd.)

“Città-casa”

Chiara Lubich e Grottaferrata nella storia e diffusione di un ideale di unità

Città Nuova 2023

Padre FABIO CIARDI Centro Studi OMI, LUCIA ABIGNENTE Centro Chiara Lubich, ILARIA PEDRINI Centro Studi Judicaria

Modera: KATIA PIZZINI

Letture e commento musicale dei testi 

Il carisma di un fondatore più che una formula, è una storia, l’azione concreta dello Spirito che entra nella vita di una persona e la conduce per vie nuove. Prima di essere una definizione è la narrazione di una storia.

Il primo testo monastico è la Vita di Antonio scritta da Atanasio. Piuttosto che offrire una definizione astretta sul “carisma” monastico, o una regola teorica, Atanasio preferisce proporre un modello concreto di vita. Lo stesso hanno fatto Gregorio Magno, Bonaventura, Nadal per parlare del “carisma” benedettino, francescano, ignaziano: hanno compiuto opera di narrazione dell’esperienza vissuta da Benedetto, Francesco, Ignazio. Erano convinti che nel vissuto delle origini fosse racchiusa la “forma” del carisma, come si esprime Nadal quando scrive: «In questo discorso breve della vita del p. Ignatio fin alla fondazione della Compagnia, si vede un essemplar di quella…».

Spesso gli stessi fondatori e fondatrici hanno lasciato scritti di carattere autobiografico. Basterà pensare alle Confessioni di Agostino, al Testamento di Francesco d’Assisi, agli Arricordi e ai Legati di Angela Merici, all’Autobiografia di Ignazio di Loyola, di Antonio Maria Claret, di Giacomo Alberione... Il vissuto esperienziale è il primo locus theologicus dove va attinto il carisma: «Il carisma dei fondatori si rivela come un’esperienza dello Spirito, trasmessa ai propri discepoli» (Mutuae relations n. 11).

Proprio perché un carisma è un evento storico, esso nasce e si sviluppa in luoghi ben
precisi. La storia ha sempre bisogno di una geografia.

Quando si va a Subiaco si avverte la presenza di san Benedetto e quel luogo parla. Lo stesso per san Francesco alla Porziuncola o a san Damiano in Assisi, alla Verna, oppure per le stanze di sant’Ignazio a Roma. Ancora di più parlano alcuni luoghi della Terra Santa o santuari famosi in tante parti del mondo. I luoghi impromono un loro caratteri a quanti vi hanno vissuto e spesso rimangono “impregnati” del carisma che lì è stato vissuto.

Anche dal punto di vista metodologico i luoghi dove è nato e si è sviluppato un carisma possono essere rilevanti. Aiutano a comprendere la cultura, la sensibilità di un Fondatore, a “visualizzare” le esperienze delle origini, contestualizzando geograficamente comportamenti e scelte.

Questo è evidente anche per il carisma della mia famiglia religiosa. L’antico converto delle Carmelitane di Aix dove è nata la Congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata conserva un fascino particolare e per tanti continua ad essere un luogo di ispirazione, di conversione, di riscoperta del carisma e della propria vocazione. Alcuni tratti del carattere di sant’Eugenio de Mazenod, il Fondatore, sono stati paragonati al “vento di maestrale” che soffia improvviso in Provenza, e sono incomprendibili senza conoscere la sua terra. Tra le “fonti” dal carisma oblato vanno annoverati anche i luoghi nei quali sant’Eugenio ha vissuto e operato lungo la sua vita: Venezia, Palermo, Marsiglia... La loro frequentazione può aiutare ad una sua migliore comprensione.

 Questa lunga introduzione per arrivare alla presentazione del libro di Chiara Lubich a Grottaferrata, sui Castelli Romani. Doremmo partire da Trento, la sua città natale, che con la sua natura, la sua cultura, la sua storia, ha tanto inciso sul suo carattere, sulla sua sensibilità sociale e religiosa. Si capirebbe Chiara senza le sue montagne, senza il Concilio di Trento, senza Cesare Battisti?

Ma Chiara cresce, come ogni persona, in osmosi con il suo spostarsi che è anche fisico, ambientale da un luogo all’altro: Assisi, Roma, Castelli Romani… Sono spostamenti geografici e nello stesso tempo culturali, spirituali, in un progressivo arricchimento di contesti e di temi.

Il relativo prolungato periodo a Grottaferrata l’ha segnata, in un assorbimento di realtà di cui forse non si è neppure resa oggettivamente conto, ma non per questo meno presenti, a cominciare dalla frequentazione della Trappa.

Ciò che più mi ha colpito nella lettura di questo suo periodo è il tipo di “scrittura”, così diverso da quello di altri momenti. In un lampo mi è sembrato di vedere l’attività letteraria di Chiara distinta in quattro periodi.

Quello carismatico degli inizi, un vulcano di scritti creativi, per niente sistematici, frammenti, lampi di luce, un torrente di una ricchezza sorprendente, che proprio per la loro frammentarietà riserveranno sorprese infinite per secula seculorum.

Quello di Grottaferrata, quando il carisma inizia ad ordinarsi e la fiumane di idee trova un alvero di scrittura più disteso, anche se, per ripredere una sua immagine, il fiume, che non è più torrenziale come nella prima parte della sua vita, è un fiume infuocato. Che abbia contribuito a questo anche la quiete di Grottaferrata? I suoi temi sono ordinati, limpidi, riflessivi…

Segue la terza fase di scrittura quando, negli anni Settanta, compone i suoi “temi”, leggendo il proprio carisma nel più ampio alvero della lunga tradizione ecclesiale.

Infine l’ultima fase di scrittura, quella dei dottorati, dei discorsi pubblici, quando il carisma illumina ogni ambito del sapere e dell’attività umana.


 Dal periodo di Grottaferrata estraggo un frammento soltanto che, per motivi personali, mi è particolarmente caro. È un biglietto indirizzato a Igino Giordani, senza data (l’edizione critica di Meditazione assegna la data 1952), con l’indicazione del luogo: “Trappa di Grottaferrata”: «Ed io, Focherello, m’accorgo sempre più che “passeranno i Cieli e la terra…” ma il disegno di Dio non passa. Ciò che solo pienamente ci soddisfa è sempre rivederci là dove Dio ad aeterno ci ha sognati. E lì rimaniamo per tutta l’eternità. Chiara di G.A.»

Innanzitutto mi colpisce il rapporto amichevole e dolce che traspare da questo vezzeggiativo, “Focherello”, rivolto a una grande personalità, un deputato del Parlamento italiano… D’altra parte Chiara Lubich era solita chiamare diverse persone con questi nomi affettuosi. Aldo Stedile lo chiama “Alderello”, per non parlare delle infinite varianti del nome della sorella Liliana. Eppure, nonostante o proprio grazie a questa intimità, Chiara guarda a Igino Giordani nella sua realtà più vera, in quel disegno che Dio ha su di lui e che non passerà mai, perché lo costituisce in tutta la sua dignità e, se egli è fedele nell’attualo, lo soddisferà, lo appagherà pienamente; ed è la “sola cosa” che può appagarlo, mentre tutto il resto lascia dei vuoti, non porta alla pienezza.

Cosa ci facevano Chiara Lubich e Igino Giordano in quell’anno dalle Trappiste di Grottaferrata? Adesso quella trappa non c’è più e le monache si sono trasferite a Vitorchiano, sempre nel Lazio. Giordani aveva un rapporto profondo con la badessa, Maria Pia Gullini, una delle pioniere del movimento ecumenico, come bene appare dalla ricostruzione storica proposta dal libro. Nel 1940 egli aveva già scritto la presentazione della prima biografia di sr. Gabriella Sagheddu (l’anno scorso sono stato nella sua Dorgali, in Sardegna, per conoscere la casa natale, consapevole dell’importanza dei luoghi!), che in quella Trappa era morta appena un anno prima, consacrando la sua vita per l’unità della Chiesa. E Chiara Lubich non perseguiva lo stesso ideale?

Per Chiara era da poco iniziato un momento particolarmente difficile, perché in quello stesso periodo il Sant’Offizio stava conducendo un processo nei suoi confronti. Cosa le dava il coraggio e la forza per essere fedele al suo Ideale? Forse proprio quell’ultima frase che, depennata dalle edizioni del libro Meditazioni, viene recuperata nell’edizione critica: «Ciò che solo pienamente ci soddisfa è sempre rivederci là dove Dio ad aeterno ci ha sognati. E lì rimaniamo per tutta l’eternità».

Queste ultime parole relativizzano quello che ho detto fin qui sui “luoghi carismatici”. Cos’è che solo pienamente soddisfa? L’essere lì dove Dio ci ha sognati, un luogo eterno che si invera in ognuno dei luoghi nei quali ci è dato di vivere e che li trascende infinitamente, senza lasciarsi da essi imprigionare.

Quando ho visitato per la prima volta la Terra Santa pensavo: vi sono passati i persiani e li hanno devastati, i califfi e hanno distrutto il Santo Sepolcro, i turchi, gli ottomani… e questi luoghi non hanno detto loro niente di Gesù. Le pietre sono pietre e rimangono mute. Soltanto lo Spirito Santo può rendere eloquenti monti e laghi, villaggi e città. Lui solo sa ricordare le parole di Gesù e renderle palpitanti, vive, attuali. Senza di lui tutto rimane lettera morta e viaggiare per questi luoghi un turismo minore. Occorrono cuori che sappiano ascoltare, occhi che appiano vedere.

I luoghi di per sé non parlano. È lo Spirito che li illumina e li rende eloquenti. Questo anche per Grottaferrata. 

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