mercoledì 26 febbraio 2025

Da 100 anni gli Oblati nel Chaco

 

Con una pubblicazione all’anno Oblatio Studia (il supplemento della rivista Oblatio) è arrivato al 13° volume. Complimenti! Ho infatti appena pubblicato l’opera di Miguel Fritz: 10 anni di presenta Oblata nel Chaco.

Arrivarono in 5, dalla Germania. Vivevano sulle rive del fiume Pilcomayo, di fronte all'Argentina, in una zona occupata dai soldati boliviani. Sapevano poco o nulla del fatto che quella regione era oggetto di contesa tra Bolivia e Paraguay. Arrivarono nel Chaco boliviano, su richiesta del presidente boliviano Saavedra e inviati da “Propaganda Fide” del Vaticano.

Il libro offre un saggio di cosa sia stata quell’epopea, con lo scoraggiamento (infatti, presero la decisione di abbandonare la missione, ma poi sono rimati…), i vari ostacoli: il caldo, le inondazioni, gli incendi, le povertà; ma anche da parte delle autorità militari ed ecclesiastiche… Senza dimenticare le prove causate dai limiti e dagli errori umani.

Fu un incredibile mix di tenacia, obbedienza, creatività e certamente anche di Spirito Santo che protesse gli Oblati in questa parte del Chaco, che da “boliviano” divenne “paraguaiano”, un bel cambiamento. Ma il cambiamento maggiore fu quello della visione missionaria: dal “salvare le anime” al salvare un’intera cultura, un gruppo etnico. “Ci hanno salvati”: è quanto è rimasto immortalato nella memoria viva del popolo Nivaĉle. Si allargava anche il territorio nel quale gli Oblati operavano, raggiungendo altri popoli indigeni (e non indigeni). Quando, alla fine degli anni '30, a seguito della guerra del Chaco, gli indiani Guaraní furono portati nel Chaco paraguaiano, si aprì ancora un altro campo di missione…

Nell’introduzione il Padre Generale scrive: «Se in questo libro sono evidenti le diverse e numerose occasioni in cui l’azione dei missionari riesce a salvare un popolo dall’estinzione, possiamo anche leggere come quello stesso popolo “salva” i missionari dalle loro idee e perfino dalla loro ecclesiologia, chiamiamole etnocentriche. In questo senso, non solo i Nivaĉle possono dire che i missionari “ci hanno salvato”, ma anche i missionari possono dire che i Nivaĉle “ci hanno salvato”, perché leggendo questi documenti possiamo vedere l’evoluzione della mentalità dei missionari prodotta grazie al contatto e al cammino mano nella mano con i popoli indigeni».

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