Le miniere e l’industria ad esse legate sono state l’ultima
tappa del mio viaggio. Il sito industriale di Portovesme appariva sempre
all’orizzonte con le pale eoliche dell’ENEL e le ciminiere dell’Alcoa. La
cronaca quotidiana di questa industria, che ha ormai iniziato a spegnere i
forni, assieme a quella della miniera carbonifera di Nuraxi Figus hanno
accompagnato la mia permanenza nel Sulcis, facendomi vivere da vicino il dramma
di questa zona, oggi una delle più povere d’Italia.
Ma è dalla metà dell’Ottocento che l’era industriale delle
miniere è esplosa con tutta la sua forza. Ora rimangono soltanto ruderi,
montagne sventrate, ecosistema rovinato, scheletri in cemento armato, rampe di
ferro arrugginite, impianti fatiscenti, edifici squarciati, ciminiere spente.
Qualche miniera è trasformata in museo. Ho visitato Porto Flavia, il terminale
della miniera di Masua, un autentico capolavoro di ingegneria funzionante dal
1926, fino alla chiusura della miniera nel 1994. Poi il vuoto, la
disoccupazione. Di un secolo d’oro sono rimaste soltanto le ferite.
Terminata l’epoca mineraria,
il Sulcis avrebbe dovuto essere il branco di prova dell’industria metallurgica,
e nacque il polo metallurgico di Portovesme. Oggi, dopo 40 anni, è in agonia,
come già era stato previsto. Le risorse non mancano, a cominciare da quelle turistiche.
Occorrerà fantasia, tenacia e tanta solidarietà.
Nessun commento:
Posta un commento