Giovanni XXIII, nel discorso
inaugurale del Concilio, indicava già l’importanza di una nuova forma di
linguaggio: “la dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente
rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze
del nostro tempo. Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a
dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono
enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata.
Bisognerà attribuire molta importanza a
questa forma e, se sarà necessario, bisognerà insistere con pazienza nella
sua elaborazione”.
Presentando nell’aula conciliare il
testo della Gaudium et spes il
cardinal Garrone prendeva atto che fortunatamente “sono sempre più numerosi i Padre che
desiderano uno stile diretto, semplice, pastorale, e per quanto possibile
comprensibile da tutti”.
Ciò
che si domandava, allora come oggi, è saper ascoltare Dio, per dire le cose di Dio,
e saper ascoltare la gente per proporre le cose di Dio con il linguaggio della
gente, che interessi la gente e che risponda alle attese della gente.
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