martedì 3 dicembre 2024

Un nuovo libro?

 

Oggi ho iniziato a scrivere un nuovo libro. Su cosa? Sulla vita religiosa. No! Ancora? Da non credere! Ci sono libri che uno scrive così, perché gli vengono, come l’ultimo, Il cielo dentro di me. E ci sono libri che uno è precettato a scrivere. Avevo giurato che non avrei mai più scritto sulla vita religiosa, e invece eccomi ai lavori forzati. E devo scriverlo anche in poco tempo (come al solito!).

Ispirato dall’Avvento, ho iniziato così:

La vita consacrata ha intrapreso la sua corsa agli albori del cristianesimo. Tanti dei suoi membri hanno felicemente raggiunto la meta e da lì incitano i nuovi “atleti”. A questi – le persone consacrate di oggi –, ancora in cammino, mi sembra si addica l’invito della Lettera agli Ebrei: «Circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo» (12, 1-3).

Come attorno alla pista stanno gli spettatori che fanno il tifo per l’uno o per l’altro atleta, così anche noi siamo circondati da una miriade di spettatori, tutti quelli che hanno già superato le prove della fede. Sono i nostri fondatori e fondatrici, i loro primi compagni e compagne, i nostri santi e sante, le anime grandi che hanno fatto la storia dei nostri istituti. Non si tratta dei soliti fans che incoraggiano con il loro entusiasmo, ma di testimoni, di fratelli e sorelle di fede i quali, avendo vittoriosamente attraversato le nostre stesse prove, con il loro esempio ci spronano, dandoci la certezza che anche noi possiamo raggiungere il traguardo.

La Lettera agli Ebrei ci ricorda che per la nostra corsa, come per quella nello stadio, tre cose sono indispensabili se vogliamo raggiungere la meta. Anzitutto liberarsi da ogni bagaglio inutile, non soltanto dai legami del peccato, ma anche da tante cose inutili e ingombranti di questo mondo; soltanto così possiamo correre speditamente. In secondo luogo occorre la perseveranza, la resistenza, la capacità di tenuta, che ci viene dalla convinzione che Dio è con noi, con la sua grazia, e dalla decisione di voler giungere alla meta ad ogni costo. Ma la cosa più importante è aver ben chiaro il punto di arrivo! L’atleta, prima ancora di spiccare la corsa, fissa bene la meta e unicamente ad essa mira quando è in pista. Analogamente siamo invitati a tenere ben fisso lo sguardo su Gesù che ci ha preceduto e ci fa da guida: è lui la meta! Le persone consacrate sono lanciate nella corsa verso l’incontro pieno con Cristo. Sono protese verso di lui, per conquistarlo, esse che sono già state pienamente conquistate da lui (cf. Fil 3, 12). Cristo ci insegna anche come correre: sulla croce, specialmente quando si sente abbandonato dal Padre, è il modello del coraggio, della perseveranza, della sopportazione: ha saputo rimanere saldo nella prova e si è riabbandonato nelle mani di quel Dio da cui si sentiva abbandonato.

Protesi verso la metà non è bene perdere troppo tempo ad analizzare a quale punto siamo nel nostro cammino. Abbiamo cose ben più importanti da fare che non stare lì a guardarci; abbiamo da adorare, lodare, intercedere presso Dio, servire la Chiesa, vivere l’umanità, cercare vie nuove per l’annuncio del Vangelo… Però, di tanto in tanto, è opportuno domandarsi se stiamo correndo nella direzione giusta, per non correre invano.

lunedì 2 dicembre 2024

Avvento: Alzate lo sguardo!

 

Nel Vangelo della prima domenica di Avvento Gesù, dopo aver fatto vedere tutto il male del mondo e le difficoltà dei tempi, ha rivolto un invito ai discepoli: “Alzate lo sguardo!”.

Mi sono ricordato di quanto avevo scritto in merito anni fa leggendo di Gesù che camminava sulle acque.

I discepoli erano in brutte acque, letteralmente. Il lago era in tempesta. Gesù andò loro incontro, camminando sulle acque. Lui poteva permetterselo, era il Figlio di Dio! Ma noi? Possiamo noi camminare sulle acque, affrontare con altrettanta sicurezza le tempeste, i momenti duri, le prove?

Era l’estate del 1955, quando imparai ad andare in bicicletta. Ad ottobre sarei dovuto iniziare ad andare a scuola, la prima elementare, in bicicletta. Fu facile imparare. Bastò che invece di guardare la ruota della bicicletta guardassi in avanti.

Pietro invece, mentre iniziò a camminare sulle acque per andare incontro a Gesù, si impaurì e abbassò lo sguardo, cominciò a guardare dove metteva i piedi. Guardava le onde minacciose invece di guardare Gesù che lo chiamava a sé. E affondava.

Non posso guardare le difficoltà piccole o grandi che si sollevano come onde di tempesta. E neppure me. Mi verrebbe da scoraggiarmi e colerei a picco. Bisogna alzare lo sguardo.

È consentito un grido soltanto, lo stesso che si permise Pietro: “Signore, salvami!”. Ma per dire quelle parole dovette alzare lo sguardo e fissare Gesù: era già salvo!

domenica 1 dicembre 2024

Avvento: In alto i nostri cuori! Per davvero

 

Quando, all’inizio della preghiera eucaristica, dico: “In alto i nostri cuori”, tutti rispondono prontamente: “Sono rivolti al Signore”. A volte mi fermo e chiedo: “Ma è proprio vero?”. Tutti mi guardano smarriti: “Cosa sta succedendo?”. Sto semplicemente chiedendo se è vero che i cuori sono rivolti al Signore. Può darsi che siano rivolti da altre parti, tante sono le attrattive d’intorno.

Una delle più gravi malattie, secondo i padri del deserto, è la sclerocardia, il cuore indurito. Si è così appesantito di spazzatura che non è più capace di volare: un cuore di pietra.

All’inizio dell’Avvento ci sta proprio bene il richiamo di Gesù: «Che i vostri cuori non si appesantiscano».