A collezione di preghiere, ecco l’ultima parte della poesia Abbandono, scritta da Anna Maria Rocchi nell’agosto 1939:
“Padre,
io desidero, io spero
solo ciò che a Te piace!
Sfinita dall’aspro lottare a Te vengo, Signore;
tutto quello che sono,
tutto ciò che mi hai dato - lo spirito, il corpo, la vita –
in Te, Padre, abbandono.
Così, come al buio si addorme
al materno cullare il bambino,
in serena dolcezza si affonda il mio spirito stanco
nel Tuo amplesso divino.
È
una “scoperta” nella preparazione del libretto sui santi a Prato. L’ho
conosciuta anch’io quella che tutti chiamavano semplicemente la “Rocchina”. Ma leggere
la sua biografia è stata una riscoperta.
Don
Carlo Stancari disse una volta ai bambini: “Ho conosciuto una piccola donna,
semplice, povera e sempre sorridente. Non diceva mai di no a nessuno. Andava in
giro con delle borse grandi e pesanti piene di cose da donare ai bisognosi. E
cercava le famiglie e le persone più povere e più disgraziate per aiutarle.
Ebbene, quella piccola donna così generosa e così umile tanto che neanche noi
pratesi l’avevamo del tutto compresa, si chiamava Anna Maria Rocchi, ed era
veramente una santa”.
Povera
nell’abito, nel cibo, nel riposo, povera tra i suoi stessi poveri. Una di loro.
Nel “cantiere” lungo la ferrovia, con gli zingari, le persone che vivevano
sotto i ponti o per strada, nel carcere, nella casa di riposo, nell’ospedale… Instancabile,
grande camminatrice, con le sue borsone piene di roba per gli altri, si metteva
alla ricerca di chi era bisognoso di pane, o di amore o di fede: emarginato,
infelice e nelle situazioni più difficili. Parlava in genere con i più poveri
ma voleva dialogo e confronto anche con persone di alto livello e
responsabilità, esigendo il rispetto della legge, soprattutto riguardo alla
moralità della stampa e degli spettacoli. Scriveva sui giornali, a cominciare
da “La Nazione”, per segnalare ingiustizie, per attirare l’attenzione su
situazioni difficili… È stata anche picchiata, derubata… come tanti poveri e
tante persone di strada. Se la portavano al pronto soccorso diceva: “Sono
caduta”.
Eppure veniva da una grande famiglia, era
coltissima, insegnava inglese ai ragazzi poveri, componeva poesie, suonava il
piano. Suoi brani preferiti erano le Polacche, i Preludi, i Notturni di
Fryderyk Chopin, e le Sonate di Ludwig van Beethoven. Aveva conseguito il
diploma di Licenza normale e il diploma di Maestra di pianoforte presso il
Conservatorio Luigi Cherubini a Firenze e aveva studiato Lingua e Letteratura
inglesi presso l’istituto britannico di Firenze.
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