domenica 29 dicembre 2024

I Santi Innocenti e padre Inocencio

C’è una assonanza tra i Santi Innocenti che abbiamo celebrato il 28 dicembre e il nome di padre Inocencio - Benjamin Inocencio. C'è ben più in comune: sono tutti martiri. E p. Inocencio è stato ucciso proprio nel giorno in cui festeggiamo i Santi Innocenti. Ucciso perché cristiani, da chi ha in odio i cristiani, a Jolo un’isola nel sud delle Filippine. Aveva 42 anni. Ucciso il 28 dicembre 2000, a pochi metri dalla cattedrale, nel luogo dove quattro anni prima era stato ucciso un altro Oblato, il vescovo Benjamin de Jesus. 

Il superiore generale di allora, Wilhelm Steckling, lo stesso giorno del martirio scrisse: «Oggi abbiamo perso uno dei nostri confratelli, vittima di violenza. Sembra essere un attacco diretto contro la nostra stessa missione oblata, una missione per promuovere la pace sulla terra, per rendere Gesù Cristo visibile dove è più necessario. Padre Benjamin Inocencio OMI è stato assassinato alle 10:05 ora locale vicino alla tomba del vescovo Benjamin de Jesus, anch'egli assassinato quattro anni fa. Qual è la nostra reazione a un simile evento? Sono rimasto scioccato e triste quando ho ricevuto la notizia questa mattina… I nostri fratelli lì sono messi alla prova ogni giorno nel loro lavoro per la giustizia e la pace… Mentre riflettiamo su questi eventi, dobbiamo pregare per gli autori di tali azioni violente affinché anche loro siano liberati dalla loro schiavitù. Uno di loro ha perso la vita nell'attentato… Colui che la bibbia dice "che è stato omicida fin dal principio" (Giovanni 8, 44) ha di nuovo mostrato i denti... Gli Oblati devono fare qualcosa di molto buono se ci accade tutto questo. Quanto durerà ancora la persecuzione del male? Non abbiamo altra difesa se non il potere di Colui che dovette fuggire da Erode quando il re assassinò i Santi Innocenti. Anche il nostro Difensore cadde vittima della violenza per poi trionfare col potere della Resurrezione. Lui è Emmanuele, Dio con noi. Attraverso di Lui possiamo essere tutti rafforzati nella nostra Oblazione e Missione. Possa Padre Benjamin Inocencio essere nostro avvocato».

Anche questo martire è stato giovane, e da giovane ha chiesto di dedicare a Dio tutta la vita. Ecco qualche riga della lettera nella quale chiede di fare l’oblazione: «3 febbraio 1989. Le mie esperienze Oblate degli ultimi cinque anni sono state sostenute dalle benedizioni del nostro Padre Amorevole. In effetti, sono stati anni di crescita nell'amore per il Signore, che ho sperimentato nelle mie preghiere personali e nella celebrazione comunitaria dell'Eucaristia. Inutile dire che la vita Oblata, il suo carisma e la prospettiva missionaria che abbiamo condiviso come comunità apostolica, mi hanno ispirato e mi hanno rafforzato nel vivere i miei voti. Più ancora, tutti gli aspetti della mia vita intellettuale, spirituale, pastorale e affettiva, sono stati continuamente nutriti dalla presenza dei miei fratelli Oblati, così come dalla guida amorevole del mio superiore e direttore spirituale e, naturalmente, dai miei studi teologici… Così, ho umilmente realizzato quanto sono cresciuto come persona e nel diventare un uomo di preghiera…».

Anche noi, ricordandolo a 24 anni dal suo martirio, gli chiediamo che interceda per noi. 

sabato 28 dicembre 2024

Quei tre di Nazaret

La famiglia di Nazaret: ideale di comunione per ogni famiglia. Non ci è dato di entrare in questa casa, di contemplare l’intimità che vi regnava, l’armonia con la quale ci si muoveva, la semplicità e la profondità dei rapporti. Il Vangelo, nella sua sobrietà, ci parla soltanto di Gesù che, sottomesso a Giuseppe e Maria, cresceva in età sapienza e grazia, e di Maria che custodiva in cuore i fatti e le parole del figlio suo. Anche Giuseppe sapeva che nella sua famiglia si celava un mistero. Cosa si saranno detti quei tre?

Venendo dal Cielo, il figlio ha portato in casa la vita di Lassù. Nella sua famiglia l’appartenenza reciproca e il reciproco amore appaiono riflessi perfetti e piena partecipazione delle relazioni che si vivono in Cielo, nella Trinità.

Eppure l’episodio che oggi Luca ci presenta nel suo vangelo sembra incrinare l’immagine di armonia familiare. Le parole di Gesù adolescente piombano improvvise, con una violenza inattesa: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.

Dopo queste parole la famiglia di Nazaret non è più quella di prima. Un altro, pur sempre presente fin dall’inizio, entra ora con forza tra i tre: Dio, il Padre. Anziché unirli sembra dividerli: Gesù da una parte, Maria e Giuseppe dall’altra. “Pensate che io sia ve­nuto a portare la pace sulla terra? - dirà più tardi alle folle - No, vi dico, ma la divi­sione... padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre” (Lc 12, 31-32).

Giuseppe sapeva già che un altro era il Padre e che prima o poi Gesù lo avrebbe la­sciato per seguire il Padre vero. Ma sentirselo svelare in quel modo l’avrà profondamente colpito nel suo affetto autentico di padre. Maria era madre vera. Eppure anche a lei non ha risparmiato la lacerazione. Le parole che si sente rivolgere sono come una spada che le trapassa l’anima. È questo quanto intendeva il vecchio Simeone dodici anni prima, proprio lì, nello stesso tempio? Allora Maria non aveva certo immaginato che il colpo di spada glielo avrebbe inflitto proprio il figlio.

Perché la famiglia più unita della terra subisce una divisione così intima e profon­da? È forse il segno di come devono essere i rapporti autentici in una famiglia e in ogni comunità cristiana: trasfigurati dall’amore divino, dove l’amore umano è portato a compimento in una dimensione nuova: il volere del Padre.

I tre tornarono a Nazaret più uniti di prima, in un reciproco amore purificato, che ha il timbro autentico della Trinità.

 

venerdì 27 dicembre 2024

Programma di vita

 


La vita per cercarlo

La morte per incontrarlo

L’eternità per goderlo

Un programma di vita che mi hanno appena suggerito…

giovedì 26 dicembre 2024

Non di solo pane

Il giorno dell’Epifania del 1962 mio padre mi regalò il libro dei Vangeli, «Per esserti oasi di pace e di ristoro alla tua formazione evangelica», come scrisse nella dedica. Avevo tredici anni. Quel libro segnò una tappa nuova del mio viaggio nella Sacra Scrittura.

Inizia così il libretto che ho appena edito (si fa per dire, le mie solite quattro copie) come regalo di Natale.

Sono i commenti a 26 Parole di Vita che ho pubblicato dal gennaio 2015 al febbraio 2017. 26 meditazioni evangeliche semplici, che prendono origine da quel 6 gennaio 1962, come racconto nell’introduzione, dove ripercorro l’esperienza del mio rapporto con la Parola di Dio.

mercoledì 25 dicembre 2024

Comincia così il mio Anno Santo…

Il controllo è errato, molteplici gli sbarramenti e ogni volta bisogna presentare il biglietto di invito e la tessera di riconoscimento. Finalmente giungo nella Cappella Gregoriana in san Pietro; Gregoriana perché vi è sepolto san Gregorio Nazianzeno, l’amico di san Basilio. Sono finito qui perché in questa cappella ci si veste per la concelebrazione della messa della notte di Natale presieduta da Papa Francesco.

Mi è cara quella cappella perché vi è l’altare con un’antica icona della Madonna dove sono stato tante volte a pregare. Dal settimo secolo si trovava nell’antica basilica costantiniana e si chiamava “Madonna di San Leone”. Nel secolo quindicesimo, quando fu portata nella nuova basilica, prese il nome di “Madonna del soccorso”.

Il 28 dicembre 1948 vennero davanti a questo altare Chiara Lubich e Igino Giordani. Questi nel diario annota: “Questa mattina in S. Pietro ho ricevuto la S. Comunione insieme a Silvia Lubich, apostola dell’unità e della vita comunitaria, e ad una sua amica: un’ora paradisiaca di amor di Dio. Semplicità evangelica. Sua estasi davanti all’altare di Maria”. Mesi più tardi Chiara scrive a Giordani: «Ricordi, Anima mia, quando a S. Pietro la prima volta che venni con te all’altare della Mamma tu mi facesti pregare ed io con misere parole dissi: “Mamma, consuma le nostre due anime in uno perché avvenga la Comunità cristiana in Italia e nel mondo intero”? e “Mater unitatis, ora pro nobis”?». 

La “Madonna del soccorso” ha cambiato nome un’altra volta, si chiama “Mater unitatis”. Anch’io, in questa notte di Natale, prego ancora una volta la Madre dell’unità chiedendo che avvenga la Comunità cristiana in Italia e nel mondo intero.

Ed eccomi nella navata centrale della basilica, assieme a tanti altri sacerdoti. Il baldacchino del Bernini è stato appena restaurato, al pari della “gloria” con la cattedra di san Pietro: uno splendore.

La veglia di preghiera è solenne e profonda, fino a quando si apre la porta santa e riecheggiano le parole di Gesù: “Io sono la porta, chi entra attraverso di me troverà la vita…”. La messa è solenne e raccolta. 


Al termine i bambini, vestiti con gli abiti tipici dei Paesi d’origine, accompagnano il Papa che va a deporre il Bambino Gesù nel presepe. La piccola processione mi passa proprio davanti e colgo la gioia e la serietà di Papa e bambini… Un momento particolarmente bello.

Comincia così il mio Anno Santo…

martedì 24 dicembre 2024

Ogni volta che nasce un bambino...

«La vita è una fiamma che via via si consuma, ma che riprende fuoco ogni volta che nasce un bambino». (George Bernard Shaw)

«Ogni volta che nasce un bambino è segno che Dio non si è stancato dell’umanità» (Tagore).

Due frasi che leggo sul mio giornale domenicale – proprio “Il Domenicale” del Sole 24 ore.

Se poi il bambino è il Bambino… siamo a Natale! La fiamma riprende fuoco e Dio non si stancato di questa povera umanità.

lunedì 23 dicembre 2024

Novena di Natale sullo Stretto

 

La mia avventura messinese finisce, naturalmente, sullo Stretto, con un tramonto dai colori meravigliosi. Il cielo si sta già preparando per la notte di Natale, perché dovrà accogliere gli angeli che scendono per cantare il Gloria.

Prima ne scende uno solo per dare il grande annuncio ai pastori: “Vi è nato un Salvatore”. E subito arriva tutta la schiera degli angeli a popolare il cielo: “Una moltitudine”, dice il Vangelo. Avevano fatto richiesta da tempo per essere presenti. Chissà che sfolgorio in quel cielo. Per questo dico che sullo Stretto di Messina il cielo si sta allenando per la notte di Natale, quando dovrà sfolgorare nella gloria…

Ma torniamo ai pastori. La tradizione indica, a pochi chilometri da Betlemme, il “campo dei pastori”, dove nella notte venivano vegliate le pecore. I pastori. Sono persone semplici. Abitualmente non sapevano né leggere né scrivere, vivevano ai margini dei villaggi, erano scartati e temuti, ritenuti impuri.

Sono gli ultimi e la gloria del Signore li avvolge di luce, li trasfigura, rendendo loro la dignità regale di figli di Dio. L’umanità è divinizzata.

Natale: l’uomo accoglie Dio ed è trasformato in dio. Divino e umano, Cielo e terra si abbracciano. È il “mirabile scambio” cantato dai nostri antichi Padri: l’uomo dà a Dio la sua umanità e Dio dà all’uomo la sua divinità. Il Figlio di Dio si fa uomo per fare dell’uomo il figlio di Dio, avvolto di gloria. Scende su questa nostra terra e ci innalza nel suo Cielo. Spegne la sua luce, si rende opaco, nasconde la sua gloria celeste nella piccolezza di un comune bambino e accende noi del divino.

Scendi ancora tra noi
in questa nostra notte
di paura e di speranza.
Torni a brillare la tua luce
e illumini le tenebre
della violenza e della solitudine.
Portaci il Cielo sulla terra
e trasfigura in Cielo la nostra terra.

domenica 22 dicembre 2024

Novena di Natale alle case Gescal

Settanta bambini e ragazzi al catechismo, anche se distribuiti in varie aule, fanno un baccano d’incanto. Quando poi entrano in chiesa si zittiscono piano piano. Anche perché la chiesa è bella, moderna articolata, fatta apposta per raccogliere. Che bella messa! Ci sono anche i genitori: un’assemblea giovane, festosa.

La parrocchia degli Oblati a Messina è composta da un grande quartiere popolare interamente di case Gescal.

Oggi, ultima domenica di Avvento, c’è la benedizione dei Gesù Bambino che saranno messi nel presepe. Una festa nella festa. Poi tutti lo portano a casa… Mi sembra il più bel commento al vangelo di oggi: Maria che va in visita dalla parente Elisabetta.

Cosa avrà portato in regalo all’anziana cugina? Uno scialle fatto da lei, una forma di formaggio, delle fasce per il bambino che doveva nascere? Chissà… Ma la cosa che Elisabetta ha sentito, così come l’ha sentita il bambino che portava in grembo, è stata la presenza di Gesù. Maria portava in dono Gesù, un dono nascosto, silenzioso… eppure c’era e la sua presenza si faceva sentire e operava.

Quei bambini che alla fine della messa uscivano di chiesa con il loro Gesù Bambino mi sembravano tante piccole Maria che portavano con sé il Gesù vero. Chissà che Natale non sia anche portare Gesù in noi Gesù perché gli altri sussultino di gioia come il bambino nel grembo di Elisabetta.




sabato 21 dicembre 2024

Novena di Natale: Venisti in povertà

 


Novena di Natale a Messina, nell’antica chiesa degli Oblati, per presentare il mio libro sul Natale. Perché? Perché ci sono le feste di Natale ma tanti non sanno di chi è il Natale. O meglio, per tanti sono semplicemente le feste: Buone feste! E non si sa neppure che è Natale.

Che bello invece vedere a Ganzirri una scolaresca davanti a un grande presepe allestito sulla riva del lago che recita il racconto della nascita di Gesù Bambino. O vedere in una casa di amici il presepe, semplice, su un mobile, con poche figurine essenziali.

Natale è Gesù.

Venisti in povertà,
ma volesti per te madre e padre.
Oggi che torni
aspetti ancora una famiglia
che ti accolga
nel calore dell’amore.
Non basta un cuore a farti casa
vuoi i nostri cuori
uniti.
Venisti in povertà,
ma volesti pastori e magi.
Oggi che torni
non basta l’attesa di una famiglia.
Vuoi la tua gente raccolta
dall’amore nostro.
Venisti in povertà,
ma volesti
e paglia e animali e legni e sassi
e angeli e stelle.
Oggi che torni
attendi cieli e terra
fatti nuovi
da te
che vivi tra noi.

 

venerdì 20 dicembre 2024

Novena di Natale: quelle preghiere laiche che salgono...

 

E oggi dove facciamo la novena di Natale? Io alla stazione Termini, davanti a due enormi alberi di Natale, sui quali i passanti attaccano migliaia di messaggi. Se non ci fosse stato il treno che partiva avrei passato tutta la mattinata a leggerli. Qualcuno comunque l’ho letto.

Sono quasi tutti bigliettini scritti a Babbo Natale. Qualche altro, pochi, a Gesù Bambino. Le richieste sono le più varie: superare un esame (in genere il titolo dell’esame universitario specifico per me profano risulta un po’ enigmatico); la pace; una benedizione per i genitori, i nonni; una grazia per la cognata con un tumore; una casa, un appartamento; la gioia per la propria ragazza… Ci sono anche poesie sul Natale, manifestazione di sentimenti più vari.

Per lo più sono…. direi preghiere laiche. Belle. A chi rivolgerci se non c’è più un Dio? Eppure abbiamo bisogno di un’invocazione, di esprimere un desiderio, di esplicitare un sentimento. Comunque di condividere. Allora si lascia lì un bigliettino, rivolto a chi passa, o forse a nessuno, ma in ogni modo bisogna comunicare. È difficile trovare qualcuno a cui rivolgersi, qualcuno che ha tempo e voglia di ascoltarti, ma non si può tacere, tenere per sé… altrimenti si scoppia. Allora ecco un bigliettino piccolo come un francobollo o grande come un fazzoletto, scritto in stampatello, in corsivo, in italiano, in inglese, in lingue che non conosco, ma che intuisco essere slave o con caratteri orientali… ma che sono le lingue di che vuol dire, e sono persone di tutte le lingue!

L’abete sale su, alto alto e porta quelle preghiere ancora più in alto, lassù dove qualcuno ascolta e capisce; qualcuno che ama tanto il mondo al punto che, mosso a compassione, manda suo Figlio sulla terra.

giovedì 19 dicembre 2024

Novena di Natale con le ragazze del don Guanella

 

Oggi un altro tipo di novena: con le “ragazze” che vivono all’Istituto di don Guanella in via della Nocetta. Sono 160, con varie patologie. La più anziana è entrata nella casa nel 1944 (!), la più giovane ha 19 anni. Una testimonianza di come si accolgono e si accompagnano persone con difficoltà. Sono divise in “famiglie”, ognuna delle quali con soggiorno, sala da pranzo, reparto notte dove ognuna ha la sua stanza… Ogni finestra dà sui giardini e i parchi. Si respira un’aria serena, di gioia; l’amore – fatto di pazienza, competenza, attenzione – si taglia a fette. Di quali opere grandi è capace la carità cristiana! Gesù non è sceso invano sulla terra.



mercoledì 18 dicembre 2024

Novena di Natale: Giuseppe, non temere


 «Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto». Vorremmo entrare nel suo cuore, conoscere i motivi per cui decise di lasciare la promessa sposa senza dare scandalo, senza portarla in processo. Forse si era accorto di trovarsi davanti a una realtà più grande di lui, dalla quale voleva ritrarsi in silenzio, lasciando libera la donna e il suo bambino avvolti nel mistero. Agendo così si comporta da uomo “giusto”, non va contro la legge? È giusto perché si rimette alla volontà di Dio, ben al di là della sua comprensione. Che sia Dio a decidere, perché lui sa. E Dio interviene.

L’angelo gli appare in sogno, segno dell’irruzione del divino nella sua vita: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa». Dunque Giuseppe è nel timore. Di cosa ha paura? Di essere stato tradito, di vedere Maria lapidata? O non si tratta piuttosto del “timore di Dio”, quello che nasce davanti all’opera di Dio, incomprensibile perché al di là delle nostre categorie mentali? Giuseppe sa che è davanti a qualcosa che lo supera, a un mistero di cui Dio soltanto conosce la portata e il valore.

L’angelo ora glielo rivela: «il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo». Ecco il mistero davanti al quale Giuseppe si arrende. Gli occorrerà forse tutta la vita per comprenderlo, per adesso sa solo che Dio è all’opera e questo gli basta, si fida.

Giuseppe si trova davanti a una realtà che lo sorpassa infinitamente. Ha bisogno di un angelo che lo rassicura: “Non temere”. Ci conosce bene questo Dio che ci ha plasmati, conosce le nostre fragilità, le nostre paure, le nostre debolezze. Non temere! Lo ripete una ottantina di volte nella Bibbia, colorandolo con “non ti perdere d’animo”, “sii forte e coraggioso”, “non ti abbattere”, “sta tranquillo”, “non lasciarti cadere le braccia”. Giuseppe è tutti noi ogni volta che ci troviamo in una situazione inattesa, che supera le nostre forze. Sono tanti gli eventi più grandi di noi che capitano a noi o attorno a noi, davanti ai quali non sappiamo cosa fare, ci sentiamo persi. Anche a noi l’assicurazione da parte di un angelo: “Non temere!”. Non temere perché la storia, quella piccola e quella grande, l’ha in mano Dio, siamo in mani sicure: siamo nelle sue mani, a lui solo la soluzione, pensa lui a tutto.

 

martedì 17 dicembre 2024

Novena di Natale: Per opera dello Spirito Santo

 

“Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli”. Generò, generò, generò… Improvvisamente la generazione si interrompe. Giunti a Giacobbe, che “generò Giuseppe”, non ci sono più generazioni. Ci saremmo aspettati: “Giuseppe generò Gesù”. Invece il verbo è sospeso: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato il Cristo» (1, 16). Gesù arriva al termine di una lunga genealogia per dirci che è inserito nella storia d’Israele, nella storia dell’umanità, ma non c’è più nessuno che genera, Giuseppe non genera.

Quando il verbo “generare” riappare, il soggetto non è più un uomo: “il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”. Gesù nasce come ogni uomo, ma non è generato da un uomo, viene da Dio. Il vero Padre è Dio.

Vorremmo che Matteo dicesse di più, spiegasse come tutto ciò può essere accaduto. Invece enuncia il dato così com’è, nella sua realtà più profonda, essenziale: tutto è opera dello Spirito Santo. Con il Credo niceno-costantinopolitano anche noi ogni domenica ripetiamo: «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo».

È una fede che si sviluppa gradatamente lungo i secoli e che nella formulazione dei dogmi si arricchisce sempre di più, ed è sempre più lontana dalla semplicità evangelica: Maria “si trovò incinta per opera dello Spirito Santo”. I vangeli continuano a proclamare la divinità di Gesù. Al momento del battesimo e della trasfigurazione, la voce del Padre lo designa come il suo “Figlio prediletto” (Mt 3, 17; 17, 5). Il centurione romano riconosce che «Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio» (Mc 15, 39). Gesù stesso, nel Vangelo di Giovanni, si presenta come il Figlio unigenito di Dio (Gv 3, 16) e chiede la fede «nel nome dell’unigenito Figlio di Dio» (Gv 3, 18).

Vero Dio è insieme vero uomo, perché si incarna nel seno della Vergine Maria. Il Figlio di Dio – ricorda il Concilio Vaticano II – «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Gaudium et spes, 22). Verità abissale e insieme semplice da credere…

lunedì 16 dicembre 2024

Novena di Natale: Generò...

 

Nella genealogia secondo Matteo fa impressione la ripetizione del verbo “generò”, scandito per ben 42 volte. “Abramo generò Isacco…” e avanti per tre gruppi di 14 generazioni: generò, generò, generò… Un verbo carnale, che mostra la bellezza della continuazione della vita di secolo in secolo: da Abramo a Davide (14 generazioni), da David a Ieconia (14 generazioni), da Ieconia a Giuseppe (14 generazioni). Un brano di Vangelo arido? Troppi nomi difficili? Monotonia di quel carnale “generò”? No, una delle pagine più straordinarie del Nuovo Testamento che ci attesta la vera umanità del Figlio di Dio. Davvero, passando di generazione in generazione, Gesù si è calato nella nostra storia così com’è fatta, con le sua fatiche, gli sbagli, i peccati. La carne di Gesù è impastata della nostra carne, egli è la nostra carne, è proprio uno di noi, ci conosce profondamente e può capirci.

Vi sono delle donne nella genealogia di Gesù, senza contare l’ultimo nome, ancora una volta di una donna, Maria. Non è usuale che nelle generazioni si includessero le donne. Qui sono addirittura quattro: Tamar, Racab, Rut e la moglie di Uria, Betsabea.

Cosa hanno in comune queste donne? Sono delle peccatrici, come rilevava Girolamo? In questo caso Matteo le avrebbe inserite per mettere in luce il ruolo di Gesù come Salvatore. Sono delle straniere? Indicherebbero allora l’orizzonte universalista dell’azione di Gesù, rivolta a tutte le genti. In ognuna di loro c’è comunque qualcosa fuori dal comune, di irregolare nel modo con cui hanno concepito: questo a mostrare che Dio porta avanti i suoi piani in maniera non programmabile e si serve di chi vuole per la sua opera di salvezza? Le quattro donne preparerebbero il modo del tutto “irregolare” e “provvidenziale” con cui avviene la nascita di Gesù da Maria.

In ogni caso quella di Gesù non è una genealogia “pulita”, vi sono adulteri, prostituzioni, giochi meschini, sangue straniero… Gesù entra nella nostra umanità così com’è, con tutte le sue debolezze, davvero uomo come tutti. Non disdegna di stare con noi, d’essere uno di noi.

domenica 15 dicembre 2024

Quando venne la pienezza del tempo: inizia la novela di Natale

Abbiamo celebrato la domenica “Gaudete”, la domenica della gioia che Gesù porta a chi lo aspetta. È un invito a custodirla nei nostri cuori e a dividerla con gli altri…

Natale si avvicina a grandi passi. Andrò a fare l’ultima preparazione a Messina, con il mio libro: "Avvolti nella Lue. Il Natale di un viandante".

Il libro inizia con la prima narrazione del Natale, quella dell’apostolo Paolo, che ne scrive attorno all’anno 55-56, ben prima di Matteo e Luca. Nella Lettera ai Galati leggiamo: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (4, 4-5). Nella sua narrazione non ci sono né angeli, né stelle, né pastori, neppure indicazioni di luoghi o circostanze storiche.

A Paolo interessa una sola precisa coordinata storica: è giunta la pienezza (in greco: “il riempimento”) del tempo. È il tempo di Dio, quello che ha preparato da tutti i secoli. I tempi precedenti erano quelli dell’attesa, ora inizia il tempo nuovo, definitivo, quello della salvezza. La “pienezza del tempo” indica il cuore della storia umana: Gesù, che ne è il centro: tutto il creato trova in lui il senso e la più profonda unità, il compimento…

sabato 14 dicembre 2024

Che cosa dobbiamo fare?

 

“Che cosa dobbiamo fare?” Lo domandano a Giovanni Battista le folle, i pubblicani, i soldati… La domanda nasce spontanea ogni qualvolta sentiamo l’appello alla conversione, ad una vita nuova. Ci si pone davanti un ideale grande, che affascina, attira. Ma come fare per raggiungerlo?

Dobbiamo forse lasciare la casa e le nostre consuete occupazioni e condividere col Battista la vita dura del deserto, la penitenza? Lunghe preghiere, estenuanti digiuni, profondi silenzi…

Forse dovrei andare altrove, lasciare la monotonia del luogo e degli impegni, dedicarmi a qualcosa di nuovo, di più creativo.

No. La risposta di Giovanni il Battista è prettamente evangelica: che ognuno rimanga lì, al suo posto, nel suo ambiente, al suo lavoro. Nessuna fuga, nessuna evasione, nell’illusione che cambiando luogo, persone, mansioni possa cambiare anche la vita. Il pubblicano che riscuote le tasse rimanga al suo tavolo, il soldato in caserma, la mamma e l’operaio al loro lavoro, lo studente sui banchi di scuola…

Devo semplicemente amare. Come sono monotone le persone attorno a me. Sempre le stesse. I rapporti si sono logorati. Vorrei altri incontri, altri spazi… Altro invece deve essere lo sguardo, che fa nuovi gli altri. Sì, cambio lo sguardo, e in ognuno riscopro una bellezza nuova. Sì, cambio il modo, e in ogni azione, così ripetitiva, sempre la stessa, la novità dell’amore.

 

venerdì 13 dicembre 2024

La notte di Giovanni della Croce

 

Dopo tre Madonne favolose, l’Immacolata, Loreto, Guadalupe, ecco che il calendario ci presenta santi gloriosi, come santa Lucia e ora san Giovanni della Croce. Dottore della Chiesa, ha vissuto quello che ha insegnato. Ha raggiunto l’unione amorosa con Dio, come testimonia il Cantico spirituale e la Fiamma viva d’amore; e per arrivare a tanta meta ha superato le “gravi difficoltà”, come testimonia la Salita del monte Carmelo e la Notte oscuraHo avuto l’avventura di introdurre quest’ultima opera per l’edizione di Città Nuova nel 2006

Notte. Una parola che mette un po’ di paura. Notte oscura. Fa ancora più paura. Sinonimo di purificazione essa è travaglio, sofferenza, dubbio, senso di solitudine e d’abbandono da parte di Dio… Una notte che un lettore attento di Giovanni della Croce, Giovanni Paolo II, ha visto avvolgere non soltanto la singola persona ma la società stessa, quasi una notte oscura collettiva che tocca la nostra società odierna: “La notte oscura, la prova che fa toccare il mistero del male ed esige l’apertura della fede, acquista a volte dimensione di epoca e proporzioni collettive” (Segovia, 3 novembre 1982).

Una notte, quella di Giovanni della Croce, che implica distacco da affetti, persone, cose, da se stessi soprattutto. Ma per lui, che l’ha sperimentata, essa appare una “notte felice”, “d’amori infiammata”, “più dell’alba incantata”. Grazie al suo silenzio e al suo lavorio interiore essa dischiude la luce e infiamma d’amore. In essa Dio stesso è all’opera. Egli si muove a compassione di noi vedendoci così invischiati nei nostri problemi, nelle debolezze, nei compromessi, e decide di intervenire e di prendere in mano lui stesso questo vaso di creta per rimodellarlo. “Questa notte oscura è azione di Dio volta a purificare l’anima dall’ignoranza e dalle sue imperfezioni abituali naturali e spirituali” (libro 2, 5). È un’operazione dolorosa ma feconda, come spiega con l’immagine del legno attaccato dal fuoco: 

“Quando il fuoco attacca il legno, comincia anzitutto col seccarlo, con l’eliminare l’umidità, e fargli trasudare l’acqua che trattiene all’interno. Poi mano a mano che lo asciuga e lo libera da tutte quelle peculiarità sgradevoli ed oscure che risultano contrarie al suo operato, lo annerisce, lo imbruttisce, e gli fa emanare cattivo odore. Alla fine infiamma con la fiamma e con il calore, lo trasforma a sua somiglianza e lo fa bello come lui. A questo punto il legno che si è mimetizzato con il fuoco, non ha più nulla di personale… Si è alleggerito e non pesa… è caldo e scalda come il fuoco, è luminoso e illumina, e tutto questo a causa del fausto evento di essere stato attaccato dal fuoco” (libro 2, 10). È così che “l’anima poco a poco sale fino a Dio, uscendo da se stessa e da tutte le cose, perché l’amore come il fuoco… punta sempre verso l’alto” (libro 2, 22). 

Così potrà essere anche del nostro mondo odierno, se è vero che vive la notte della fede e della paura.

Ma per parlare di Giovanni della Croce ci vorrebbe naturalmente José Damián Gaitán… Gli facciamo tanti auguri!

Ma per parlare di Giovanni della Croce ci vorrebbe naturalmente José Damián Gaitán… Gli facciamo tanti auguri!

giovedì 12 dicembre 2024

Sì, forse ce la faccio...

Da qualche parte del mondo, in risposta al blog di ieri, mi è arrivato questo messaggio: «Oggi vedendo "forse ce lo faccio..." mi ha dato tanta gioia e anche pace. È interessante che qui i 2 sacerdoti della nostra parrocchia (Paolini polacchi) con forza ci parlano di santità! Dunque coraggio, never give up».

Questa mattina invece il postulatore mi ha detto: “Ma come fai a sapere che avrai ancora 10 anni? Potresti morire questa sera”. Giustissimo. E allora come fare?

In questi giorni c’è il convegno annuale del Claretianum. Oggi pomeriggio, oltre all’amico Martin Hoegger, pastore riformato, ha parlato anche un’altra amica, Mirvet Kelly, siro ortodossa. E proprio lei, con la citazione di una poesia del grande Efrem (siamo al IV secolo!), mi ha suggerito la risposta su santità e tempo a disposizione. Ecco cosa scriveva sant’Efrem:

"Ogni mattina pensavo che la sera sarei morto e, come un moribondo, ho svolto il mio lavoro tutti i giorni della mia vita senza stancarmi, né affaticarmi.
Ogni sera immaginavo che non sarei arrivato al mattino, quindi pregavo e adoravo Dio fino al sorgere del sole. (…)
Ho portato il tuo gioco, mio Signore
dalla mia giovinezza fino alla vecchiaia
e ho continuato ad adorarti fino alla fine, con gioia e instancabilità".

Per la santità canonizzata ci vogliono 10 anni, ma non ci tengo. Per quella reale basta l’attimo presente. Allora forse ce la faccio…

mercoledì 11 dicembre 2024

Forse ce la faccio...


Il postulatore generale (quello che “fa i santi”), mi ha detto che normalmente per far santa una persona si guardano soprattutto gli ultimi 10 anni di vita. Allora forse ce la faccio…

martedì 10 dicembre 2024

Jean Khamsé Vithavong, vescovo Oblato del Laos

 

Più di 100 gli Oblati, soprattutto francesi e italiani, che sono stati missionari nel Laos tra il 1935 e il 1975, anno in cui presero il potere i comunisti del Pathet Lao. Come non ricordare i nostri 7 beati martiri? Di tutti rimase il solo Oblato allora nativo del Paese: Jean Khamsé Vithavong. “Noi stessi abbiamo chiesto ai sacerdoti stranieri di lasciare il Paese - ha raccontato. Anzitutto perché in ogni caso i nuovi governanti lo avrebbero ordinato. E poi perché in questo modo si evitava una escalation della tensione e possibili scontri e violenze. Tutti i sacerdoti stranieri hanno lasciato il Paese, con molte lacrime, ma anche con molta saggezza. Vi erano italiani, francesi, canadesi, americani”.

Jean Khamsé è partito per il cielo l’8 dicembre di quest’anno. Aveva il passaporto in regola! “Oblati di Maria Immacolata – diceva sant’Eugenio –: è un passaporto per il Cielo!”. Proprio in quel giorno, l'8 dicembre 1980, scriveva al Superiore generale: “Questa mattina, rinnovando la mia oblazione davanti all’altare del santo sacrificio, ‘sento’ il valore grande dei nostri doni alla Madre Chiesa attraverso la congregazione”.

Sempre lo stesso giorno, l’anno seguente, 1981: “È con gioia semplice e profonda che questa mattina ho celebrato la festa dell’Immacolata Concezione della nostra amatissima Signora e Patrona… Ne approfitto per rinnovare la mia appartenenza al Signore, attraverso Maria e la nostra Famiglia, davanti alla comunità parrocchiale di Nostra Signora di Lourdes, l’Immacolata… Quando, solo davanti al Santissimo Sacramento e alla statua di Nostra Signora, ho consacrato la nostra congregazione all’Immacolata, allora ho pensato in particolare a lei, superiore generale, agli Oblati nel mondo, ai più lontani, ai più esclusi, a quelli che soffrono maggiormente…. Maria, la Madre Immacolata, che ha fatto tanto per la nostra congregazione e per me, suo povero figlio. Non vorrei lasciar passare occasione senza renderle omaggio. Lei che ha saputo custodire tutto nel caldo del suo cuore e della sua fede. Lei che ha saputo vivere intensamente ogni momento presente donandolo a Dio. Lei che il nostro amatissimo fondatore ha scelto come ‘Madre tenera’ della sua congregazione di missionari dei poveri. Lei sola la mia Stella e la mia Gioia”.

Jean Khamsé era nato a Kengsadok il 18 ottobre 1942. Dopo aver fatto il noviziato in Francia, dove è stato dal 1963 al 1965, torna nel Laos. Dal 1970 al 1974 è nelle Filippine per lo studio della teologia. Pochi mesi dopo quella che viene chiamata “la liberazione” del Paese, nel 1975 viene ordinato sacerdote.

Da allora, la carenza di preti e di personale specializzato è divenuta una caratteristica costante della piccola Chiesa del Laos. “La nostra povertà – raccontava - è anche economica, dovuta alla mancanza di strutture e alla mancanza di fondi per costruirne di nuove. Nel 1975 le nostre chiese sono state prese dal governo, compresa la cattedrale di Vientiane. È la più grande delle chiese del Paese ed è dedicata al Sacro Cuore. Grazie a Dio, dal 1979 il governo ce l’ha lasciata a disposizione e possiamo almeno utilizzarla. Ma non abbiamo bisogno di cose molto grandi, vistose, imponenti… Anche il Signore è nato in una stalla”.

L’ultima volta che lo abbiamo visto è stato a gennaio 2017, quando venne a Roma in visita ad limina con i vescovi del Laos e della Cambogia. “La Chiesa del Laos – disse in quella occasione – è una Chiesa agli inizi, molto povera e senza personale straniero. È una Chiesa giovane: avrà 150 anni di vita. Ad essere ottimisti, in tutti e quattro i vicariati apostolici (Luang Prabang, Vientiane, Savannaketh, Pakhsé) ci sono circa 50mila cattolici dispersi in un grande territorio e con diversi gruppi etnici, con lingue e culture differenti. Noi stessi non siamo molto capaci di amministrare e di aiutarli: non abbiamo abbastanza preti e catechisti. I nostri cattolici, soprattutto i più giovani, sono stati battezzati da piccoli, e non hanno potuto ricevere una formazione completa, adeguata e forte. In realtà la Chiesa cammina. E anche l’evangelizzazione cammina. Tra i Khmu c’è un gran numero di persone che desidera diventare cristiano: saranno almeno qualche centinaio e sono molto coraggiosi. Si tratta di un gruppo animista, non buddista. Il governo da parte sua chiude un occhio perché vede che non siamo un pericolo. A breve occorrerà aprire un altro campo, fra i Hmong, un altro gruppo etnico”.

Al termine di quella udienza ad limina Mons. Khamsé disse:Papa Francesco ci vuole bene. E ci ha detto: Anch’io sono un vescovo povero e vado dove ci sono i poveri. Questo ci ha confortato”.

Da parte sua papa Francesco, soprattutto dopo aver ascoltato le testimonianze Tito Banchong e Louis-Marie Ling, confidò ai suoi collaboratori di aver provato vergogna: «Loro erano il centro, io la periferia. Questi vescovi hanno sofferto continuando a testimoniare la loro fede con gioia, in piccole comunità. Alla fine dell’udienza mi sono sentito... vergognato».

Pur nella sua solitudine, il senso di appartenenza di Mons. Khamsé alla Congregazione è sempre rimasto fortissimo. Il 21 aprile 1978, in risposta a una lettera del Superiore generale, p. Marcello Zago, scriveva: Anche se in Laos sono rimasti solo due Oblati, la vita da Oblato mi è ancora di grande sostegno. Tutta la mia formazione passata, sia in Francia che nelle Filippine, mi ha preparato ad affrontare la vita e le sue esigenze attuali. Si tratta di restare davvero poveri e disponibili, osare e pregare. Tutto questo me lo ha instillato la formazione oblata, anche se non era perfetta. Attraverso di lei, quindi, vorrei dire grazie a tutti i miei maestri, professori e superiori, direttori e confratelli della Famiglia Oblata, che mi hanno aiutato a trovare la gioia e il dinamismo del servizio del Signore tra gli uomini. Il Signore ci dia la forza sufficiente per fare ciò che Egli vuole e per restare saldi, sicuri delle sue parole, come “Pace” o “Non abbiate paura”, che ci ha ripetuto dopo la Risurrezione. Siamo sicuri che Egli non ci delude mai”.



lunedì 9 dicembre 2024

Dio dentro di te


 

“Dio ti è vicino, è con te, dentro di te. Non si sa quale, ma un dio abita in ogni uomo virtuoso”.

Parola di Seneca! (Epistulae, IV, 12).

Bello sapersi inabitati da Dio.

Bello sapere che ogni persona retta può arrivare a intuirlo.

domenica 8 dicembre 2024

Prossimità, molto più di una parola

 

Sono arrivato un’ora prima della presentazione del libro, così ho potuto ascoltare alcune esperienze straordinarie.

La prima: El Salvador, nell’Amazzonia. Tre focolarini, ormai non più giovani, vivono, completamente integrati, in mezzo a popolazioni indigene, condividendo la loro vita e aiutando nell’educazione igienica, scolastica...

Il secondo un focolare a Pescara, che accoglie un vicino di casa che vive solo e dopo una difficile operazione chirurgica ha bisogno di un lungo periodo di convalescenza.

Il terzo è il focolare di Lampedusa, dedito all’accoglienza in mare e a terra dei profughi…

Infine le esperienze di quanti vivono in Libano, in Siria, in Terra Santa: accoglienza di profughi, sostegno reciproco…

Esperienze di “prossimità”. Prossimità è il tema che il Movimento si è proposto per questo anno. Ma non si tratta di un tema, è una realtà, in contrasto con l’odio, le violenze, le guerre da cui siamo circondati. C’è ancora tanta gente buona e il mondo va avanti grazie a questa.

sabato 7 dicembre 2024

Un passaporto per il cielo

 


Oblati di Maria Immacolata: è un passaporto per il Cielo!

Gli Oblati di Maria! Questo nome dà soddisfazione al cuore e all’orecchio.

Non vi sembra un segno di predestinazione portare il nome di Oblati di Maria, cioè consacrati a Dio sotto la protezione di Maria, di cui la Congregazione porta il nome, come il nome di famiglia che ha in comune con la Santissima e Immacolata Madre di Dio? C’è di che suscitare gelosie!

Dopo 200 anni queste parole di sant’Eugenio suonano ancora bene… Auguri a tutti!

venerdì 6 dicembre 2024

San Nicola di Bari... e dei Prefetti

San Nicola! E come ogni anno anche oggi sono stato a celebrare la festa nella nostra chiesa di san Nicola, a via dei Pretetti a Roma (con i panini benedetti, s'intende!). Casa storica degli Oblati: poche stanze semioscure e scaglionate su tre piani lungo una ripida scala, un minuscolo cortiletto con una fonte di Acqua Vergine.

In compenso la chiesa è molto bella, specialmente dopo gli ultimi restauri. Ha un’origine antica, risale al sec. VIII, e vi sono passati teatini, domenicani, gesuiti, stimmatini… E tanti Oblati, da p. Trèves a p. Liuzzo, a p. Santino… Sede dell’AMMI, della rivista “Voce di Maria”… E oggi sede di una bella comunità che visito sempre con gioia.