“Non lo trovarono”. Avevano perduto Gesù. Quante volte
succede anche a noi…
Subentra l’angoscia: “Angosciati, tuo padre e io ti
cercavamo”.
Come i Magi, che avevano perduto la stella. Avevano perduto
l’orientamento. Non sapevano più dove andare. L’aver sognato, l’essersi messi in cammino, la
strada percorsa… niente aveva più senso.
Come Maria Maddalena. Aveva perduto il suo Gesù e non sapeva
dove l’avessero posto.
Come la sposa del Cantico dei Cantici. Aveva perduto lo
sposo.
“Si misero a cercarlo”. Angoscia e desiderio.
Si tenta di tutto, ci si affida a chiunque pur di ritrovare
chi si è perduto, se davvero lo si ama. È umiltà e anche disperazione cercare aiuto, è riconoscere
la propria incapacità di ritrovare chi si è perduto. Ho bisogno degli altri.
I Magi si affidano alla persona meno affidabile, il re
Erode. Hanno sbagliato perché vuole ingannarli. Eppure ci si rivolge a chiunque
quando si è perduti.
Maria Maddalena si affida a quello che pensa essere l’ortolano.
Ci si rivolge anche a una persona ignota.
La sposa del Cantico alle amiche, che pure non sanno niente;
alle guardie, che la denudano e la percuotono: non erano affidabili.
Quanto dura la ricerca? Tre giorni. Un tempo indeterminato. Breve?
Troppo lungo? Tre giorni: quanti quelli della morte di Gesù, devono passare
tutti prima della risurrezione. Tre volte la sposa del Cantico perde lo sposo.
La durata è misurata dall’intensità della passione. E dalla
tenacia: Maria e Giuseppe battono a tappeto la città; Maria Maddalena non si
schioda del sepolcro, anche quando le altre donne se ne vanno; la sposa del
Cantico “fa il giro della città per le strade e per le piazze”.
Il ritrovamento richiede ricerca, desiderio, tenacia, prevede l’angoscia… Ma in definitiva è lo smarrito che si lascia ritrovare.
Gesù sta nel luogo giusto, nel tempio. La stella riappare improvvisa, quando i
Magi non se l’aspettano più. È il Risorto che si svela a Maria chiamandola per nome.
La gioia del ritrovamento non è comparabile all’angoscia
dello smarrimento. I Magi “gioirono nel rivedere la stella”, che all’improvviso
compare di nuovo. Maria Maddalena grida: “Rabbunì” e lo abbraccia stretto per
non perderlo mai più. La sposa del Cantico lo stringe forte e non lo lascia finché
non l’ha condotto nell’intimità della casa. Maria e Giuseppe portano a casa
Gesù “e stava loro sottomesso”.
Dopo lo smarrimento, il ritrovamento.
Ma non è più come prima. La stella lascia il posto al
bambino. Il Risorto non è più il “Rabbunì” di prima e Maria Maddalena dovrò
trovare un rapporto nuovo con lui. Per Maria e Giuseppe Gesù non è più il
bambino di prima, ma il Figlio del Padre e il rapporto con lui cambia.
Non un distanziamento, ma una più profonda vicinanza, un’intimità
non sperimentata prima. Il dopo è migliore del prima.
I Magi si prostrano e adorano. Maria Maddalena trova nel
Maestro il Signore. La sposa del Cantico al termine dell’interminabile avventura
esclama: “Il sono del mio amato e il mio amato è mio”.
E Maria e Giuseppe? Gesù “stava loro sottomesso”. È un’espressione
cara ai mistici. Essa faceva dire a santa Caterina: “Io voglio…”; sapeva che
Gesù le stava “sottomesso” e lei poteva “comandare” a lui ed egli “obbediva” a
lei. Anche Maria e Giuseppe possono dire: “Il sono del mio amato e il mio amato
è mio”. Sanno chi è il ragazzo che si vedono crescere in casa, giorno dopo
giorno, “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”. “Custodiscono”
in cuore il mistero e lasciano che si compia la missione che il Padre gli ha
affidato, condividendola, facendola propria. Lo lasciano vivere e crescere e
operare in loro.
Non è la parabola della nostra vita?