Oggi lezione a Tor de’
Specchi. Una mattinata d’incanto in uno dei luoghi più belli, più ricchi di
storia e più segreti di Roma. Con la guida eccezionale di Alessandra Bartolomei
Romagnoli, la più grande conoscitrice di Francesca Roma, di cui ha pubblicato
le fonti.
Gli anni di santa Francesca
Romana sono quelli dello scisma d’Occidente (1378-1449). Dopo che il papa ha fatto
ritorno a Roma, ad Avignone si installa un antipapa e poco dopo ne sorge un terzo.
In questa situazione lo Stato pontificio e in modo speciale la città di Roma, sono
politicamente ed economicamente allo sbando. L’Urbe, per ben tre volte occupata
da Ladislao di Durazzo, re di Napoli, è messa a ferro e fuoco, ridotta a un
misero borgo con poche migliaia di abitanti. In quest’ambiente e in tale
squarcio di storia si svolse la vita di Francesca Bussa.
Dodicenne, fu data in sposa a
Lorenzo de’ Ponziani, la cui famiglia risiedevano in un palazzo di Trastevere. Una
volta sposata, Francesca andò ad abitare nel palazzo dei Ponziani. Con la
cognata Vannozza inizia a soccorrere poveri e ammalati. Percorre le strade per
chiedere l’elemosina per i poveri, per assistere gli ammalati, le puerpere…
Alla morte del suocero,
Andreozzo Ponziani, pur continuando le visite private e domiciliari ai poveri, si
prende cura dell’Ospedale del Ss. Salvatore, che egli aveva fondato nel 1391
utilizzando la chiesa di Santa Maria in Cappella, in disuso.
Veniva chiamata “la poverella di Trastevere”.
Quando aveva 25 anni, nel
1409, il marito, comandante delle truppe pontificie, durante una battaglia
contro l’invasore Ladislao di Durazzo re di Napoli, è gravemente ferito
rimanendo semiparalizzato per il resto della vita. Lei lo accudisce assieme
al figlio.
Nel 1410 la casa è
saccheggiata e i beni espropriati, il marito è costretto a fuggire e il figlio
Battista preso in ostaggio.
Prese a dirigere
spiritualmente il gruppo di amiche che la aiutavano nella carità quotidiana e
che si riunivano ogni settimana nella chiesa di Santa Maria Nova. Il 15 agosto
1425, festa dell’Assunta, davanti all’altare della Vergine, assieme a dieci
compagne si costituiscono in associazione con il nome di “Oblate Olivetane di
Maria”. Nel marzo del 1433 vanno ad abitare a Tor de’ Specchi, dove sorge un
piccolo villaggio. Il papa concede loro di «abitare insieme in qualche casa in
questa città che fosse adatta e conveniente allo scopo, di mettere in comune
tutti i beni, che Dio aveva dati loro, e con questi di vivere in comune e in
carità sotto l’obbedienza di una di loro, che esse giudicassero adatta a questo
compito e che eleggessero nel tempo opportuno».
Conducevano una vita
austera, povera e casta, fatta di lavoro nei campi, di preghiera, di condivisione
dell’altrui sofferenza. La differenza di questo tipo di vita rispetto al
monachesimo femminile tradizionale era radicale, per la semplicità
dell’organizzazione comunitaria, per la libertà di vincoli gerarchici di
subordinazione, per l’assenza di formalismo: una comunità aperta. Non erano né
monache né laiche. Nelle intenzioni di Francesca Tor de’ Specchi doveva
rimanere un monastero aperto, in grado di mantenere un rapporto vivo con il
mondo circostante.
L’esperienza delle Oblate di
Tor de’ Specchi fu caratterizzata dalla forte personalità di Francesca e dal
suo eccezionale carisma.
La
vita solitaria, monastica, è la tentazione segreta che segna tutta la sua
esistenza, ma alla quale sa di non dover cedere. Quando il demonio le si
presenta davanti sotto le sembianze di sant’Onofrio in veste di pellegrino,
invitandola a seguirlo nel deserto, gli risponde con durezza, dicendo che vuole
vivere nel luogo che Dio le ha assegnato, perché non bisogna andare in giro
alla ricerca di false consolazioni spirituali e anche restando nel mondo è
possibile santificarsi: «Miserabile, vigliacco, credi di prendermi con questa
tua falsa luce, vuoi portarmi con te nel deserto, pensando di ingannarmi. Ma io
voglio restare nel luogo che piace al Signore, e non desidero altro se non
quello che piace a lui. Allora, in nome di Gesù Cristo crocefisso, vattene,
torna nell’abisso».
Si recava ogni giorno nel
monastero, continuando ad abitare nel Palazzo Ponziani, per accudire il marito
malato. Dopo la morte del marito, con il quale visse per 40 anni, si unì alle
compagne a Tor de’ Specchi dove fu eletta superiora.
Il popolo romano la
considerò sempre una di loro chiamandola familiarmente “Franceschella” o
“Ceccolella”.
Morì il 9 marzo 1440 nel
palazzo Ponziani, dove si era recata per assistere il figlio Battista
gravemente ammalato. La ricorrenza del giorno della sua morte, con decreto del
Senato del 1494, fu considerato giorno festivo.