«“In che modo riuscirò ad educare bene i giovani del mio Collegio?”, domandò un giorno a don Bosco un padre gesuita, rettore di un grande collegio del Portogallo. E don Bosco “Amandoli!”».
E riguardo ai Salesiani: «Credetelo: il vincolo che tiene unite le Società, le Congre-gazioni, è l’amor fraterno. Io credo di poterlo chiamare il perno su cui si aggirano le Con-gregazioni ecclesiastiche. Ma a che grado dovrebbe esso ascendere? Iddio Salvatore ce lo disse: (…) amatevi a vicenda, nel modo, con quella misura con cui io ho amato voi».
Amore dunque fuori con i giovani, amore dentro tra i Salesiani.
Ma non è soltanto una parola. Cosa, vuol dire, caro don Bosco, amare?:
«Vi sia carità nel tollerarci e correggerci gli uni gli altri, mai lagnarci l’uno dell’altro; carità nel sostenerci; carità specialmente nel mai sparlare dei membri del corpo. […] Ciascuno sia sempre pronto a dividere il suo piacere col piacere agli altri, ed anche sia disposto ad assumersi la parte di dolore di un altro; di maniera che se uno ricevesse un gran favore, e questo sia anche di contento per i suoi confratelli. Sarà uno afflitto? Studino i suoi confratelli di alleviargli le pene. Quando alcuno venisse a trascorrere in qualche mancanza, costui si corregga, si compatisca, ma non si disprezzi mai alcuno per difetti, o fisici, o mo-rali. Amiamoci sempre come veri fratelli».
Nel giorno della sua festa rivedo con gioia le foto che ho scattato nella sua casa e nel suo paese natale…
lunedì 31 gennaio 2011
domenica 30 gennaio 2011
Santi insieme, Chiesa insieme
Come ogni domenica pomeriggio, anche oggi incontro un bel gruppo di religiosi. Veniamo da tante parti del mondo e da diverse care generalizie, quindi apparteniamo a Istituti diversi. Perché insieme? Perché abbiamo capito la verità delle parole di Chiara Lubich quando parla del paradiso, là dove “ognuno di noi sarà una Parola, ma, siccome ogni Parola è tutto il Vangelo, ognuno di noi sarà la Parola… Come in Dio le tre Persone sono ciascuna l’unico Dio, così in paradiso ciascuno di noi sarà Dio per partecipazione, sarà Verbo di Dio. Però ognuno di noi sarà veramente, pienamente la parola se sarà in relazione con le altre Parole, come nella Trinità sono in relazione tra loro le tre divine Persone”.
Queste vale per ognuno di noi personalmente anche qua in terra: non posso essere realmente me stesso, la parola che Dio ha pronunciato chiamandomi all’esistenza, se non sono in comunione con tutte le altre parole da lui pronunciare, con tutti gli altri fratelli: ci si fa santi insieme! E questo vale anche per ogni realtà nella Chiesa, per tutti i carismi, per tutte le spiritualità: ognuno di essi è una parola del Vangelo, ma non può essere vissuta senza la comunione con tutte le altre parole del Vangelo, con tutti gli altri carismi e spiritualità: si è Chiesa in-sieme!
Queste vale per ognuno di noi personalmente anche qua in terra: non posso essere realmente me stesso, la parola che Dio ha pronunciato chiamandomi all’esistenza, se non sono in comunione con tutte le altre parole da lui pronunciare, con tutti gli altri fratelli: ci si fa santi insieme! E questo vale anche per ogni realtà nella Chiesa, per tutti i carismi, per tutte le spiritualità: ognuno di essi è una parola del Vangelo, ma non può essere vissuta senza la comunione con tutte le altre parole del Vangelo, con tutti gli altri carismi e spiritualità: si è Chiesa in-sieme!
sabato 29 gennaio 2011
In cosa consiste la santità?
“Più divento vecchio, più capisco che devo sempre ricominciare, senza pensare troppo a me stesso. Dio, a tempo opportuno, verrà a prendermi con sé. Devo smettere di preoccuparmi del mio cammino verso di lui. Se cerco di amare gli altri, e quindi di essere fuori di me, non avrò tempo per guardarmi.
Capisco ciò che Dio vuole da me: soltanto vivere per gli altri, condividere le loro sofferenze e fare di tutto per aiutarli nel loro santo viaggio. Per il mio lascio che ci pensi Dio. Sempre più mi rendo conto di quanto gli altri siano parte di me.
Soltanto così il cammino verso Dio diventa più bello, è tutto amore. La santità consiste nel vivere per gli altri”.
Queste parole, che vorrei fossero mie, sono di un amico, da poco partito per il Cielo, Terry Gumm. Le ho lette su un bellissimo articolo che ripercorre la sua vita:
http://www.livingcitymagazine.com/node/3262
Capisco ciò che Dio vuole da me: soltanto vivere per gli altri, condividere le loro sofferenze e fare di tutto per aiutarli nel loro santo viaggio. Per il mio lascio che ci pensi Dio. Sempre più mi rendo conto di quanto gli altri siano parte di me.
Soltanto così il cammino verso Dio diventa più bello, è tutto amore. La santità consiste nel vivere per gli altri”.
Queste parole, che vorrei fossero mie, sono di un amico, da poco partito per il Cielo, Terry Gumm. Le ho lette su un bellissimo articolo che ripercorre la sua vita:
http://www.livingcitymagazine.com/node/3262
venerdì 28 gennaio 2011
Domandare per dialogare
“L’amore è anche amicizia?”. È una delle innumerevoli domande che poneva agli altri e che poneva a se stesso un certo Tommaso, nato ad Aquino in provincia di Frosinone. Sì, è proprio il famoso san Tommaso d’Aquino che oggi festeggiamo. P. Richard, col quale vivo insieme in comunità, è un suo grande ammiratore e mi ha parlato del suo metodo. Prima porsi delle domande. Non si può andare avanti nella vita così a casaccio, senza fermare a riflettere. Poi ascoltare cosa dicono gli altri. È importante ascoltare. Dopo la domanda del tipo: “L’amore è anche amicizia?”, Tommaso riporta le varie risposte che raccoglie dalle parti più disparate, soprattutto da quanti non la pensano come lui. Poi espone il suo pensie-ro, perché occorre il coraggio delle proprie idee, e soprattutto saperne dare le ragioni. Sol-tanto dopo, alla fine, trae le dovute conclusioni. Non è un buon metodo di dialogo?
Eccolo nella foto, il mio buon p. Richard, assieme alle suore domenicane che lavorano qui nei nostri uffici, e che oggi festeggiano il loro santo. In suo onore, una bellissima suonata di pianoforte di una cara amica, Alessandra: http://www.youtube.com/watch?v=esPtNDgBrZg
Eccolo nella foto, il mio buon p. Richard, assieme alle suore domenicane che lavorano qui nei nostri uffici, e che oggi festeggiano il loro santo. In suo onore, una bellissima suonata di pianoforte di una cara amica, Alessandra: http://www.youtube.com/watch?v=esPtNDgBrZg
giovedì 27 gennaio 2011
mercoledì 26 gennaio 2011
Il faro e il lampione
Il faro è quella di Port Isabel, in Texas. Era lì quando arrivarono gli Oblati nel 1849. Sicuramente non c’era il lampione. Serve la debole luce di un lampione quando accanto c’è la potente luce di un faro? Forse sì perché la luce del faro illumina quell’angolino di piazza che non è raggiunto dalla luce del faro, proiettata oltre. La potenza è diversa, ma entrambi spandono luce.
Mi ci ha fatto pensare una frasi dell’intellettuale cattolico Carlo Bo, di cui ieri ricorreva il centenario della nascita. Così rispondeva alle sfide del nuovo millennio:
“Ritrovare le ragioni ultime di quei valori che consentono una vita umanamente e umanisticamente motivata, che tenga conto non solo delle cose visibili ma anche e soprattutto di quelle invisibili…
Bisognerà insomma costruire insieme, credenti e no, un’altra civiltà che sappia finalmente ritrovare lo spirito della carità cristiana: cioè saper perdonare e cercare di risolvere problemi epocali, inevitabili e giganteschi, secondo uno spirito di carità”.
Mi ha colpito quell’appello alla solidarietà tra credenti e no nel costruire insieme la civiltà dell’amore. Non so chi è faro e chi lampione. I credenti potranno dire che hanno la luce della Verità, il Cristo; i laicisti che sono eredi dei grandi Illuministi e che quindi il faro sono loro. Non è importante sapere chi illumina di più. L’importante è che le nostre luce non siano dialettiche, antagoniste. L’importante è che ognuno dia il suo apporto positivo, concorde, costruttivo, così come ne è capace. Abbiamo bisogno di una luce che ci guidi per non perderci nella tenebra dell’ignoranza e costruire la casa comune.
Mi vengono alla mente le parole della non credente Natalia Ginzburg, su una sua pagina de «L’Unità» (25 marzo 1988):
«Alcune parole di Cristo le pensiamo sempre, e possiamo essere atei, laici, quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto “ama il prossimo tuo come te stesso”.
Erano parole scritte già nell’Antico Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivelazione cristiana. Sono la chiave di tutto.
Sono il contrario di tutte le guerre. Il contrario degli aerei che gettano bombe sulla gente indifesa. Il contrario degli stupri e dell’indifferenza che tanto spesso circonda le donne violentate nelle strade».
Mi ci ha fatto pensare una frasi dell’intellettuale cattolico Carlo Bo, di cui ieri ricorreva il centenario della nascita. Così rispondeva alle sfide del nuovo millennio:
“Ritrovare le ragioni ultime di quei valori che consentono una vita umanamente e umanisticamente motivata, che tenga conto non solo delle cose visibili ma anche e soprattutto di quelle invisibili…
Bisognerà insomma costruire insieme, credenti e no, un’altra civiltà che sappia finalmente ritrovare lo spirito della carità cristiana: cioè saper perdonare e cercare di risolvere problemi epocali, inevitabili e giganteschi, secondo uno spirito di carità”.
Mi ha colpito quell’appello alla solidarietà tra credenti e no nel costruire insieme la civiltà dell’amore. Non so chi è faro e chi lampione. I credenti potranno dire che hanno la luce della Verità, il Cristo; i laicisti che sono eredi dei grandi Illuministi e che quindi il faro sono loro. Non è importante sapere chi illumina di più. L’importante è che le nostre luce non siano dialettiche, antagoniste. L’importante è che ognuno dia il suo apporto positivo, concorde, costruttivo, così come ne è capace. Abbiamo bisogno di una luce che ci guidi per non perderci nella tenebra dell’ignoranza e costruire la casa comune.
Mi vengono alla mente le parole della non credente Natalia Ginzburg, su una sua pagina de «L’Unità» (25 marzo 1988):
«Alcune parole di Cristo le pensiamo sempre, e possiamo essere atei, laici, quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto “ama il prossimo tuo come te stesso”.
Erano parole scritte già nell’Antico Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivelazione cristiana. Sono la chiave di tutto.
Sono il contrario di tutte le guerre. Il contrario degli aerei che gettano bombe sulla gente indifesa. Il contrario degli stupri e dell’indifferenza che tanto spesso circonda le donne violentate nelle strade».
martedì 25 gennaio 2011
25 gennaio 1816: nascono gli Oblati
Sant’Eugenio de Mazenod ha sempre considerato il 2 ottobre 1815 come data di fondazione dei Missionari Oblati. Quel giorno, festa degli Angeli Custodi, aveva acquistato parte del monastero delle Carmelitane di Aix nel quale avrebbe dovuto vivere la futura comunità. Forse quel giorno si riunirono con Sant’Eugenio i primi tre giovani sacerdoti che avevano aderito al suo progetto: Icard, Deblieu (nel registro del noviziato afferma che de Mazenod lo considerava il primo compagno) e Mye.
Il 27 ottobre giunse l’adesione di Francesco Saverio Tempier, che sarà il suo vero primo compagno. Tempier arrivò ad Aix soltanto il 27 dicembre.
Da quel giorno – scrive nelle sue memorie – andavo dai miei genitori [che abitavano ad Aix] soltanto per la notte. Durante il giorno stavo con mons. de Mazenod. Ci occupavamo con gioia di tutto quanto progettavamo di compiere per la gloria di Dio e la salvezza delle anima. Dicevamo insieme l’ufficio e facevamo insieme gli esercizi di pietà, per quanto possibile, perché mons. de Mazenod era spesso preso dai giovani della sua associazione…
Infine – continua Tempier – il 25 gennaio 1816, giorno nel quale, pensando alla festa della Conversione di san Paolo, avevamo fissato per riunirci insieme, ambedue lasciammo definitivamente la casa paterna e le nostre famiglie per prendere possesso della nostra umile dimora e per non lasciarla mai più. Giorno memorabile. Finché avrò vita, non lo non dimenticherò mai.
Perché, se la fondazione è avvenuta il 2 ottobre 1815, noi la festeggiamo il 25 gennaio? Si è cominciato a celebrare il 25 gennaio, come inizio della Congregazione, nel 1866, quando ne ricorreva il cinquantesimo. Per quel giorno Padre Fabre, il successore del Fondatore, invitava tutti gli Oblati a celebrare solennemente l’anniversario della fondazione: “È un giorno che non può passare inosservato. Sento il dovere di richiamare tutta la vostra attenzione su un anniversario così solenne, per accendere nei vostri cuoi i più vivi sentimenti di riconoscenza verso Dio e di affetto verso la nostra cara Congregazione”.
Da allora il 25 gennaio è diventato il giorno in cui gli Oblati celebrano la nascita della loro Congregazione. Più propriamente dovremmo chiamare questo giorno: l’inizio della vita comunitaria.
In quel giorno, il 25 gennaio 1816, Sant’Eugenio, Tempier e forse Icard presero definitiva dimora nelle stanze acquistate. Tempier forse era andato a abitarvi qualche giorno prima, per seguire da vicino i lavori di ristrutturazione. Lo stesso giorno de Mazenod indirizzò ai Vicari Capitolari la domanda di autorizzazione per la nuova comunità, nella quale tracciava gli obiettivi e lo stile di vita. Probabilmente quel giorno si sono riniti tutti e cinque i primi compagni per firmare la domanda.
A metà febbraio arrivano in casa anche Mie, Deblieu. Appena riuniti elessero de Mazenod superiore della casa e dopo un ritiro di dieci giorni per prepararsi alla vita apostolica, l’11 febbraio partirono per la prima missione a Grans. I Missionari di Provenza, appena nati, entravano in azione!
Mi pare significativo celebrare l’inizio della Congregazione ricordando non il momento burocratico di fondazione – l’acquisto della casa – e neppure quello nel quale i primi membri della famiglia concordarono un progetto di vita e d’azione, ma proprio il suo reale inizio, che coincise con la vita comune.
Su quel giorno abbiamo uno scritto particolarmente caro a tutti gli Oblati, la lettera che sant’Eugenio scrisse il 24 gennaio 1831 al maestro dei novizi, il p. Mille. Anche se la conosciamo a memoria lo rileggiamo volentieri:
Domani festeggio l'anniversario del giorno in cui sedici anni fa, lasciavo la casa materna per andare a risiedere alla Missione. Padre Tempier ne aveva preso possesso alcuni giorni prima. (…) Il mio letto a cinghie fu collocato nel breve tratto che porta alla biblioteca, allora una grande stanza in cui dormivano p. Tempier e un altro (…); quella stanza serviva anche per le riunioni comunitarie. Tutta l'illuminazione era fornita da un lume, e quando bisognava andare a letto lo ponevamo sulla soglia della porta per servire a tutti e tre.
La mensa dove mangiavamo era costituita da una tavola posta accanto a un'altra, entrambe poggiate su due vecchi barili. Dopo che abbiamo fatto voto di povertà, non abbiamo mai avuto la gioia di essere così poveri. (…) Vi assicuro che non avevamo perduto nulla della nostra allegria; al contrario, poiché questo nuovo modo di vivere era in contrasto così stridente con quello lasciato da poco, ci capitava spesso di riderne di cuore. Dovevo ricordare questo sacro anniversario del nostro primo giorno di vita comunitaria. Come sarei felice di continuarla con voi!
Sant’Eugenio è contento di continuare con noi la vita comunitaria iniziata quel 25 gennaio, domanda di essere ancora membro della nostra comunità. Come la vorrebbe? Credo come quella che visitò pochi anni dopo, 28 maggio 1834, a N-D du Laus, e alla quale scrisse:
Sono stato tanto consolato dallo spirito di carità veramente fraterna, dal rispetto reciproco e dalla sottomissione al superiore, che regnano in questa casa, parte della nostra famiglia. Qui, come nelle altre case della Congregazione, si può dire che vi è un cuor solo e un’anima sola. Dio conservi sempre nella Congregazione questa preziosa conformità ai primi discepoli del Vangelo dei quali sta scritto: “la moltitudine dei credenti era un cuor solo e un’anima sola”.
Il 27 ottobre giunse l’adesione di Francesco Saverio Tempier, che sarà il suo vero primo compagno. Tempier arrivò ad Aix soltanto il 27 dicembre.
Da quel giorno – scrive nelle sue memorie – andavo dai miei genitori [che abitavano ad Aix] soltanto per la notte. Durante il giorno stavo con mons. de Mazenod. Ci occupavamo con gioia di tutto quanto progettavamo di compiere per la gloria di Dio e la salvezza delle anima. Dicevamo insieme l’ufficio e facevamo insieme gli esercizi di pietà, per quanto possibile, perché mons. de Mazenod era spesso preso dai giovani della sua associazione…
Infine – continua Tempier – il 25 gennaio 1816, giorno nel quale, pensando alla festa della Conversione di san Paolo, avevamo fissato per riunirci insieme, ambedue lasciammo definitivamente la casa paterna e le nostre famiglie per prendere possesso della nostra umile dimora e per non lasciarla mai più. Giorno memorabile. Finché avrò vita, non lo non dimenticherò mai.
Perché, se la fondazione è avvenuta il 2 ottobre 1815, noi la festeggiamo il 25 gennaio? Si è cominciato a celebrare il 25 gennaio, come inizio della Congregazione, nel 1866, quando ne ricorreva il cinquantesimo. Per quel giorno Padre Fabre, il successore del Fondatore, invitava tutti gli Oblati a celebrare solennemente l’anniversario della fondazione: “È un giorno che non può passare inosservato. Sento il dovere di richiamare tutta la vostra attenzione su un anniversario così solenne, per accendere nei vostri cuoi i più vivi sentimenti di riconoscenza verso Dio e di affetto verso la nostra cara Congregazione”.
Da allora il 25 gennaio è diventato il giorno in cui gli Oblati celebrano la nascita della loro Congregazione. Più propriamente dovremmo chiamare questo giorno: l’inizio della vita comunitaria.
In quel giorno, il 25 gennaio 1816, Sant’Eugenio, Tempier e forse Icard presero definitiva dimora nelle stanze acquistate. Tempier forse era andato a abitarvi qualche giorno prima, per seguire da vicino i lavori di ristrutturazione. Lo stesso giorno de Mazenod indirizzò ai Vicari Capitolari la domanda di autorizzazione per la nuova comunità, nella quale tracciava gli obiettivi e lo stile di vita. Probabilmente quel giorno si sono riniti tutti e cinque i primi compagni per firmare la domanda.
A metà febbraio arrivano in casa anche Mie, Deblieu. Appena riuniti elessero de Mazenod superiore della casa e dopo un ritiro di dieci giorni per prepararsi alla vita apostolica, l’11 febbraio partirono per la prima missione a Grans. I Missionari di Provenza, appena nati, entravano in azione!
Mi pare significativo celebrare l’inizio della Congregazione ricordando non il momento burocratico di fondazione – l’acquisto della casa – e neppure quello nel quale i primi membri della famiglia concordarono un progetto di vita e d’azione, ma proprio il suo reale inizio, che coincise con la vita comune.
Su quel giorno abbiamo uno scritto particolarmente caro a tutti gli Oblati, la lettera che sant’Eugenio scrisse il 24 gennaio 1831 al maestro dei novizi, il p. Mille. Anche se la conosciamo a memoria lo rileggiamo volentieri:
Domani festeggio l'anniversario del giorno in cui sedici anni fa, lasciavo la casa materna per andare a risiedere alla Missione. Padre Tempier ne aveva preso possesso alcuni giorni prima. (…) Il mio letto a cinghie fu collocato nel breve tratto che porta alla biblioteca, allora una grande stanza in cui dormivano p. Tempier e un altro (…); quella stanza serviva anche per le riunioni comunitarie. Tutta l'illuminazione era fornita da un lume, e quando bisognava andare a letto lo ponevamo sulla soglia della porta per servire a tutti e tre.
La mensa dove mangiavamo era costituita da una tavola posta accanto a un'altra, entrambe poggiate su due vecchi barili. Dopo che abbiamo fatto voto di povertà, non abbiamo mai avuto la gioia di essere così poveri. (…) Vi assicuro che non avevamo perduto nulla della nostra allegria; al contrario, poiché questo nuovo modo di vivere era in contrasto così stridente con quello lasciato da poco, ci capitava spesso di riderne di cuore. Dovevo ricordare questo sacro anniversario del nostro primo giorno di vita comunitaria. Come sarei felice di continuarla con voi!
Sant’Eugenio è contento di continuare con noi la vita comunitaria iniziata quel 25 gennaio, domanda di essere ancora membro della nostra comunità. Come la vorrebbe? Credo come quella che visitò pochi anni dopo, 28 maggio 1834, a N-D du Laus, e alla quale scrisse:
Sono stato tanto consolato dallo spirito di carità veramente fraterna, dal rispetto reciproco e dalla sottomissione al superiore, che regnano in questa casa, parte della nostra famiglia. Qui, come nelle altre case della Congregazione, si può dire che vi è un cuor solo e un’anima sola. Dio conservi sempre nella Congregazione questa preziosa conformità ai primi discepoli del Vangelo dei quali sta scritto: “la moltitudine dei credenti era un cuor solo e un’anima sola”.
lunedì 24 gennaio 2011
Il faro e il lampione
Il faro è quella di Port Isabel, in Texas. Era lì quando arrivarono gli Oblati nel 1849. Sicuramente non c’era il lampione. Serve la debole luce di un lampione quando accanto c’è la potente luce di un faro? Forse sì perché la luce del faro illumina quell’angolino di piazza che non è raggiunto dalla luce del faro, proiettata oltre. La potenza è diversa, ma entrambi spandono luce.
Mi ci ha fatto pensare una frasi dell’intellettuale cattolico Carlo Bo, di cui domani ricorre il centenario della nascita. Così rispondeva alle sfide del nuovo millennio:
“Ritrovare le ragioni ultime di quei valori che consentono una vita umanamente e umanisticamente motivata, che tenga conto non solo delle cose visibili ma anche e soprattutto di quelle invisibili…
Bisognerà insomma costruire insieme, credenti e no, un’altra civiltà che sappia finalmente ritrovare lo spirito della carità cristiana: cioè saper perdonare e cercare di risolvere problemi epocali, inevitabili e giganteschi, secondo uno spirito di carità”.
Mi ha colpito quell’appello alla solidarietà tra credenti e no nel costruire insieme la civiltà dell’amore. Non so chi è faro e chi lampione. I credenti potranno dire che hanno la luce della Verità, il Cristo; i laicisti che sono eredi dei grandi Illuministi e che quindi il faro sono loro. Non è importante sapere chi illumina di più. L’importante è che le nostre luce non siano dialettiche, antagoniste. L’importante è che ognuno dia il suo apporto positivo, concorde, costruttivo, così come ne è capace. Abbiamo bisogno di una luce che ci guidi per non perderci nella tenebra dell’ignoranza e costruire la casa comune.
Mi vengono alla mente le parole della non credente Natalia Ginzburg, su una sua pagina de «L’Unità» (25 marzo 1988):
«Alcune parole di Cristo le pensiamo sempre, e possiamo essere atei, laici, quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto “ama il prossimo tuo come te stesso”.
Erano parole scritte già nell’Antico Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivelazione cristiana. Sono la chiave di tutto.
Sono il contrario di tutte le guerre. Il contrario degli aerei che gettano bombe sulla gente indifesa. Il contrario degli stupri e dell’indifferenza che tanto spesso circonda le donne violentate nelle strade».
domenica 23 gennaio 2011
Gerusalemme, città dell’unità
Se c’è un luogo dove maggiore è la divisione è proprio Gerusalemme, dove si materializzano tutte le tensioni. Eppure, nell’immaginario di ebrei cristiani e musulmani, Gerusalemme è la città dell’unità.
È naturale che l’attuale comunità cristiana di Gerusalemme, incaricata di preparare il tema per la settimana dell’unità dei cristiani, abbia riproposto il modello della prima comunità cristiana di quella città. Rispondendo ad una intervista della radio della CEI, ho ricordato che lì, duemila anni fa, attorno agli apostoli, si radunano “uomini religiosi di tutte le nazioni che sono sotto il cielo”, come raccontano gli Atti. Lì si ricostituì l’unità del genere umano disintegrata a Babele: nonostante la diversità delle lingue presente, tutti i popoli si capivano!!! Secondo l’adagio patristico “ciò che Babele ha disperso, Gerusalemme l’ha riunito”.
La Pentecoste segna l’origine di un popolo nuovo chiamato a raccogliere tutti i popoli della terra, caratterizzato dalla comunione, dono dello Spirito, evento di grazia. La prima comunità cristiana di Gerusalemme mostra la prima nota della Chiesa, l’unità. Siamo tutti figli e figlie di Dio, fratelli e sorelle, chiamati a vivere nella stessa casa, un’unica famiglia.
L’immagine della comunità delle origini sarà ormai per la Chiesa di tutti i tempi l’ideale a cui tendere. Se Gerusalemme è sinonimo di intesa e di fraternità tra popoli diversi, fusi dall’amore di Dio riversato nei cuori, al punto da far di tutti un cuore solo e un’anima sola, l’unità per noi è un imperativo divino. Era stata l’ultima ardente preghiera di Gesù al Padre: “Che tutti siano uno”, rivelazione dell’anelito profondo di Dio. Sì, perché anche Dio ha un sogno, un desiderio. Egli che è Padre vuol vedere i suoi figli e le sue figlie uniti nell’unica famiglia umana. È per questo che ci ha creati, perché fossimo in comunione con lui e tra di noi.
Oggi come allora occorre arrivare non a parlare la stessa lingua – che ognuno rimanga con la sua, come allora – ma ad intendersi in quella lingua comune che è l’amore.
sabato 22 gennaio 2011
Madonna del lavoro
Poco oltre la “Madonna del riposo” si estende il parco di Villa Veschi, entro il quale si trova un’altra chiesetta che fa da pendant alla prima: è la “Madonna del lavoro”. Sembra che il riposo supponga il lavoro! Non sono ancora potuto entrate nel parco, ma dal muro di cinta si vele, su di un muro davanti alla cappella, la maiolica con una dolce Madonna del lavoro, venerata da due uomini in ginocchio accanto a lei: un contadino con la zappa e un calzolaio con la forma per le scarpe. Un’immagine che si addice alla pietà popolare, espressione di una devozione umile e sincera. Vorrei possedere l’intensità dello slancio del vecchio contadino e ripetere il gesto del calzolaio che bacia il lembo del velo della Vergine.
venerdì 21 gennaio 2011
Madonna del riposo
La casa nella quale abito a Roma è nel terreno della villa della famiglia Pacelli. Il giovane sacerdote Eugenio andava spesso a celebrare in una chiesetta vicina, cinque minuti a piedi. Ci passo spesso anch’io. Allora si trovava in aperta campagna. Oggi è circondata da traffico caotico e da costruzioni affastellate. Ma basta entrare che subito sei fuori dal mondo, in un angolino di silenzio e di pace, degno del nome che porta: “Madonna del riposo”. Forse una parabola di quanto, con Maria, si può essere nella pace anche nel frastuono di una vita frenetica; lei il nostro riposo.
giovedì 20 gennaio 2011
Scrittrice senza saperlo
Va ormai in stampa l’autobiografia di Renata Borlone. Nell’introduzione ho scritto:
Quella ragazza che durante gli anni del liceo trovava difficoltà a svolgere i temi perché non riusciva nella «descrizione dell’ambiente» e non possedeva la «vivacità del linguaggio», che si riteneva di «poca fantasia», appassionata di matematica e fisica più che di lettere (eppure in un mese legge tutto Shakespeare «con grande nutrimento interiore»), a 52 anni ha scritto un testo di notevole valore letterario.
Non ha scritto nessun libro, Renata, ha lasciato solo qualche breve articolo di esperienze di vita vissuta. Quello che ci rimane di lei sono principalmente lettere e lettere, e alcune scarne pagine di diario. Sognava di «essere in un laboratorio scientifico e di poter collaborare a qualche scoperta», non sapeva che avrebbe potuto diventare una scrittrice.
…
È una scrittura essenziale, quella di Renata, incisiva, senza enfasi. Il racconto scorre lineare, presentando con naturalezza ambienti, persone, fatti, emozioni. Ritrae con tratti rapidi e precisi i profili dei familiari, della maestra elementare, dei professori, dei compagni di scuola.
Quella ragazza che durante gli anni del liceo trovava difficoltà a svolgere i temi perché non riusciva nella «descrizione dell’ambiente» e non possedeva la «vivacità del linguaggio», che si riteneva di «poca fantasia», appassionata di matematica e fisica più che di lettere (eppure in un mese legge tutto Shakespeare «con grande nutrimento interiore»), a 52 anni ha scritto un testo di notevole valore letterario.
Non ha scritto nessun libro, Renata, ha lasciato solo qualche breve articolo di esperienze di vita vissuta. Quello che ci rimane di lei sono principalmente lettere e lettere, e alcune scarne pagine di diario. Sognava di «essere in un laboratorio scientifico e di poter collaborare a qualche scoperta», non sapeva che avrebbe potuto diventare una scrittrice.
…
È una scrittura essenziale, quella di Renata, incisiva, senza enfasi. Il racconto scorre lineare, presentando con naturalezza ambienti, persone, fatti, emozioni. Ritrae con tratti rapidi e precisi i profili dei familiari, della maestra elementare, dei professori, dei compagni di scuola.
mercoledì 19 gennaio 2011
Il dito nel libro
Nell’icona che presenta la mostra della Biblioteca Vaticana appare un i-pad. Esso lascia intuire che si usano le più avanzate tecniche della scienza e della tecnica per la salvaguardia e la riproduzione digitale di libri e manoscritti. Ma è anche una falsa indicazione, infatti la Biblioteca Vaticana ignora che le parole sono ormai trasmesse su altri supporti: si registra la voce di chi parla e si può addirittura vedere chi parla. Se potessimo ascoltare Platone, oltre che leggerlo! Se potessimo vedere Dante mentre declama la sua Commedia! Altro che Benigni… Non c’è l’i-pad nella Biblioteca Vaticana. Ormai altre biblioteche navigano sull’onda dell’internet.
Negli Stati Uniti avevo l’opportunità di comprare un lettore di libri digitali. Ho cercato, guardato… Poi ho capito che per me non è ancora venuto il momento, ma sono rimasto nel dubbio. In aereo, tornando, ho visto poco distante da me una signora che stava leggendo un e-book. Un attimo di invidia. Poi mi sono accorto che, mentre guardavo il suo lettore, avevo interrotto la lettura del mio classico libro chiudendolo e mettendovi dentro il dito a segnalibro. Lei non avrebbe potuto farlo. Un attimo di piacere e ho continuato la lettura de “Il pozzo e il pendolo” di Edgar Allan Poe.
Negli Stati Uniti avevo l’opportunità di comprare un lettore di libri digitali. Ho cercato, guardato… Poi ho capito che per me non è ancora venuto il momento, ma sono rimasto nel dubbio. In aereo, tornando, ho visto poco distante da me una signora che stava leggendo un e-book. Un attimo di invidia. Poi mi sono accorto che, mentre guardavo il suo lettore, avevo interrotto la lettura del mio classico libro chiudendolo e mettendovi dentro il dito a segnalibro. Lei non avrebbe potuto farlo. Un attimo di piacere e ho continuato la lettura de “Il pozzo e il pendolo” di Edgar Allan Poe.
martedì 18 gennaio 2011
La parola e il libro
La Biblioteca Vaticana riapre dopo tre anni di lavori di ristrutturazione. Per l’occasione la mostra “Conoscere la Biblioteca Vaticana”, nel Braccio di Carlo Magno in Piazza san Pietro. Da buon romano posso permettermi di visitarla: è a due passi da casa mia!
Un piccolo tocco che lascia intuire i tesori nascosti in questo santuario del sapere, dove sono raccolti un milione e mezzo di volumi a stampa, 150 mila manoscritti, 100 mila disegni e incisioni, 300 mila medaglie e monete…
Come non rimanere incantati dal Papiro Bodmer 14-15, del 200 dopo Cristo, contenente i Vangeli di Luca e di Giovanni, scritto con una calligrafia perfetta? Come non ammirare i manoscritti di Michelangelo o di Lutero, le miniature degli antichi codici? I più importanti codici del Corano sono qui, così come la più antica Bibbia. Ma non c’è soltanto teologia nella biblioteca vaticana; è presente l’intero scibile umano, d’Oriente e d’Occidente, delle antiche Americhe.
Tavolette di ceramica, papiri, pergamene, carte… i supporti cambiano, ma la parola scritta rimane. Che invenzione straordinaria quella di poter trasmettere e tramandare ad altri e tramandare per i secoli la propria parola, i propri pensieri! Non è un segno del bisogno di comunione?
lunedì 17 gennaio 2011
Un nuovo libro sulla spiritualità di comunione
In Texas ho preparato un secondo libretto in inglese. Per chi lo desidera basta cliccare qui.
After Journey into Spirituality (San Antonio, October 2010), this is a second collection of articles on spirituality, some already published in the magazine “Charisms in Unity,” some others appearing here for the first time. They are drawn from talks I gave during Meetings on Interreligious Dialogue with Hindus, Buddhists, Jews, Muslims and Traditional Religions. The second part concerns the Theology of Religious Life in light of the Spirituality of communion.
To read click here.
After Journey into Spirituality (San Antonio, October 2010), this is a second collection of articles on spirituality, some already published in the magazine “Charisms in Unity,” some others appearing here for the first time. They are drawn from talks I gave during Meetings on Interreligious Dialogue with Hindus, Buddhists, Jews, Muslims and Traditional Religions. The second part concerns the Theology of Religious Life in light of the Spirituality of communion.
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domenica 16 gennaio 2011
Ho incontrato san Domenico
Sì, questo pomeriggio ho incontrato San Domenico vivo, nel convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma.
Mi ha comunicato il suo ideale apostolico, la sua passione per la Chiesa. Mi ha rivolto l’invito a lasciarmi guidare dalla parte più alta di me, dall’intelletto, animato dall’amore, nella ricerca della Verità.
Mi ha parlato della sua vita di preghiera, delle notti passate in silenzio davanti a Dio, ma anche della struttura democratica che ha dato al suo Ordine, assolutamente nuova per il suo tempo.
Mi ha narrato del suo contatto constante con la Parola di Dio e dell’annuncio del Vangelo che nasce dalla vita della Parola e dalla contemplazione della Verità, ma anche dell’umiltà e del nascondimento.
Mi ha guidato idealmente per Roma, nei suoi luoghi: san Sisto Vecchio, Aventino; agli incontri con il cardinale Ugolino e Francesco d’Assisi; alla casa di Caterina da Siena…
P. Valentino mi ha parlato di san Domenico, ma è cose se Domenico fosse lì davanti a me.
Mi ha comunicato il suo ideale apostolico, la sua passione per la Chiesa. Mi ha rivolto l’invito a lasciarmi guidare dalla parte più alta di me, dall’intelletto, animato dall’amore, nella ricerca della Verità.
Mi ha parlato della sua vita di preghiera, delle notti passate in silenzio davanti a Dio, ma anche della struttura democratica che ha dato al suo Ordine, assolutamente nuova per il suo tempo.
Mi ha narrato del suo contatto constante con la Parola di Dio e dell’annuncio del Vangelo che nasce dalla vita della Parola e dalla contemplazione della Verità, ma anche dell’umiltà e del nascondimento.
Mi ha guidato idealmente per Roma, nei suoi luoghi: san Sisto Vecchio, Aventino; agli incontri con il cardinale Ugolino e Francesco d’Assisi; alla casa di Caterina da Siena…
P. Valentino mi ha parlato di san Domenico, ma è cose se Domenico fosse lì davanti a me.
sabato 15 gennaio 2011
Nuovi membri nella Scuola Abba
In questi mesi ho partecipato agli incontri della “Scuola Abbà ” via skype. Oggi finalmente, tornato a Roma, ho potuto essere presente di persona. Ho così potuto salutare i nuovi membri, a tu per tu. Eccoli nella foto, assieme ad Alba Sgariglia , la responsabile.
venerdì 14 gennaio 2011
Due fioretti: l’altare e il torrone
Ieri avrei voluto chiedere di celebrare la messa nella cappella del Centro Mariapoli di Castel Gandolfo, dove ho celebrato ogni mattina per tanti anni. Poi mi sono detto: “Lasciamo stare…”. Questa mattina mi sento chiamare: “Padre Fabio, non è venuto nessuno per presiedere la messa; può farlo lei?”.
Ieri sono andato al Centro dei religiosi e ho visto alcuni torroni. Ho pensato che quest’anno per Natale non ho avuto nessun torrone da portare a casa. Avrei voluto chiederne uno. Poi mi sono detto: “Lasciamo stare…”. Questa mattina vado da un’altra parte e mi regalano un torrone.
Ieri sono andato al Centro dei religiosi e ho visto alcuni torroni. Ho pensato che quest’anno per Natale non ho avuto nessun torrone da portare a casa. Avrei voluto chiederne uno. Poi mi sono detto: “Lasciamo stare…”. Questa mattina vado da un’altra parte e mi regalano un torrone.
mercoledì 12 gennaio 2011
martedì 11 gennaio 2011
Il Dio delle sorprese
Da paradiso a paradiso. Dal Texas a Castel Gandolfo. Ma occorre lasciare il paradiso precedente per entrare nel nuovo; ed è entrando nel nuovo che si lascia il paradiso precedente; ed è vivendo l’uno che si vive l’altro.
Jos Van Boxel, dei Missionari Bianchi, del Belgio, conclude il racconto della sua straordinaria esperienza sulla volontà di Dio, con le parole: “Perché Dio è amore è anche il Dio delle sorprese; lasciamoci dunque sorprendere dal Suo Amore!”. E Victor Jil, Scolopio della Spagna, ci confida il suo segreto per compiere bene la volontà di Dio: “Non stare attenti tanto alle cose da fare, ma alle persone” (mi suona molto più bello e nuovo, rispetto al solito “non fare, ma essere”).
Infine, guardando i nostri religiosi che quest’anno ci hanno lasciato per il cielo, ecco apparire una lettera che Chiara Lubich aveva scritto alcuni anni fa p. Francesco Alberton, un altro Padre Bianco; un bigliettino che ci riporta al tema del nostro incontro annuale di religiosi al Centro Mariapoli: “La Madonna la ricompensi p. Francesco, di questi 50 anni di amore e di servizio alla sua Opera. Quanti cuori ha acceso all’Ideale! Mi senta con lei e, poiché desidera un consiglio per questa tappa della sua vita, le dico: viva l’attimo presente con solennità. In essa sta concentrata tutta la Volontà di Dio su di noi: la cosa più bella che possiamo fare, l’unica che ci realizza pienamente e ci porta alla santità. La saluto di cuore e le faccio tanti auguri. In Maria, Mamma dolcissima, Chiara”
I voli più arditi
10 gennaio. All’aeroporto di Philadelphia mi connetto a internet e, come ogni giorno, guardo il sito di Città Nuova. Trovo il pensiero del giorno: “In Dio tutto possiamo. Anche i voli più arditi sono riservati a quei cuori che vivono la fede in un Dio che è Dio, Amore, Onnipotente”. (Chiara Lubich – Pasqua 1945). Mi si illumina la giornata che sta per terminare e penso di non essere blasfemo: sono partito questa mattina presto, contro il consiglio di tutti, per un “volo ardito”, visto le condizioni del tempo e il gran numero di voli cancellati. Seppure con ritardi, con operazioni per scongelare le ali, sono potuto atterrare a Charlotte, in Sud Carolina, in mezzo alla neve, e finalmente qui a Philadelphia, in Pennsylvania, dove il sole tramonta con i suoi colori di fuoco. (Ma perché si dice “tempo brutto”, “tempo cattivo”, quando invece la tempesta di neve è bellissima?).
Pensavo di celebrare la Messa qui, ma in questo grande aeroporto internazionale, con cinque terminal, centinaia di negozi, ristoranti, centri di ogni tipo, non c’è una cappella! Contraddizioni di una società impazzita.
Ed ora il volo notturno che mi riporterà a Roma, dopo tre mesi d’incanto in questo Nuovo Mondo!
lunedì 10 gennaio 2011
L’Africa in America
Il coro si è mosso a lenti passi di danza aprendo la processione della Messa con canto melodioso. La chiesa è piena di afro-americani. La mia “esperienza americana” non poteva concludersi meglio: con i canti, i battiti di mani e la liturgia appassionata della comunità di colore, raccolta nella bella chiesa del Santo Redentore, in uno dei quartieri neri di San Antonio. Sanno pregare e sanno farti pregare. Il momento culmine è stato il profondo silenzio che si è creato quando il parroco ha terminato l’omelia nella festa del battesimo di Gesù con l’interrogativo: “Chi di noi non vorrebbe sentirsi rivolgere le parole che il Padre ha rivolto a Gesù in quel giorno: Tu sei il mio figlio amato?”. Silenzio e pienezza di gioia nel sapere che ognuno di noi è il figlio amato.
domenica 9 gennaio 2011
Una visita in libreria
Un altro luogo dove incontrare le persone che non incontri assolutamente per strada (le strade in America sono soltanto per le auto) e non incontri nelle piazze (solo per il parcheggio delle auto) è andare in una libreria. Puoi sedere nelle poltrone, alcune a cerchio come in un salotto, leggere i libri in vendita, conversare sugli autori, prendere un caffè nel bar della libreria… Non sono molto affollate (le folle le incontri nei centri commerciali, ma non ne vale la pena…), ma in compenso è gente che pensa, e fin quando c’è pensiero c’è speranza.
Una bistecca texana
Un’altra “esperienza americana”, o meglio “texana”, da non mancare, è una bistecca alla cow boy, niente da invidiare alla fiorentina! La gente manga spesso fuori casa, i prezzi sono ragionevoli ed è un altro modo per incontrare le persone, per “socializzare”, come si dice da queste parti. Magari ti capita, come è accaduto a me questa sera, di incontrare una ragazza che è stata tre mesi a Prato! Il mondo è piccolo.
Comunque, se vi capita di passare da San Antonio, non mancate di fermarvi un attimo al caffè oblato…
sabato 8 gennaio 2011
Un party nella "Casa aperta"
Un’altra “American experience” da non mancare è essere invitati a un party, una di quelle feste che si vedono nei film. Sono entrato nel film! La “casa aperta” è quella di un vescovo anglicano amico. Entri e non importa se sei invitato o no, se sei conoscente o meno… Puoi indossare un vestito da sera, come la moglie del vescovo, o i jeans. Passi da una stanza all’altra, saluti chi incontri, sbocconcelli, vai in cucina, nelle stanze da letto con il caminetto acceso e il caffè bollente, nello studio dove sono disposti vassoi di dolci, nella libreria… L’unica accuratezza è quella di non aprire i cassetti, per il resto sei a casa tua, e che casa! Tipica villa d’inizio Novecento, con mobilia dell’Ottocento, un’infinità di soprammobili, quadri, libri, merletti, con quel piccolo tocco di trasandato che fa scic. È così che ci si conosce, si coltivano amicizie. La gente che non incontri nelle strade deserte, puoi finalmente trovarla qui. Comprendi un po’ di più il senso di libertà e insieme i legami sociali che caratterizzano la società americana.
venerdì 7 gennaio 2011
La graduation
Prima di lasciare gli Stati Uniti mi rivedo passare davanti agli occhi alcune delle scene più “americane”. La graduation, ad esempio, un rito collettivo che, come nelle iniziazioni degli antichi popoli segnava passaggi di età, oggi segna il passaggio da un ciclo di studi all’altro, fino alla laurea. La banda scozzese, studenti e professori in cappa e tocco, discorso di circostanza, diploma, la folla di parenti e amici. Vista tante volte nei film l’ho vissuta dal di dentro. L’America che ama celebrare, un volto pulito dell’America.
giovedì 6 gennaio 2011
Prima di disfare il presepe
Di ritorno a San Antonio trovo un bel sole tiepido che ci consente di stare a pranzo all’aperto. Trovo i vescovi del Texas nella casa degli Oblati per il loro ritiro annuale. E soprattutto trovo ancora il presepe, nel parco, vicino alla grotta di Lourdes. Prima che sia riposto in soffitta ho ancora il tempo di guardarlo per l’ultima volta. Maria e Giuseppe sono ancora lì, come lo sono i pastori. I Magi sono appena arrivati. Il Bambino se ne sta calmo nella culla, al centro della scena. Ma sono soprattutto tre personaggi che attirano la mia attenzione, un angelo e due bambini.
Sui loro volti l’incanto, trattenuto o espresso. Lo stesso che vorrei vedere sul volto di quanti incontro. Lo stesso che vorrei trasparisse dal mio, davanti al mistero.
mercoledì 5 gennaio 2011
Quando arrivano i lupi p. Ted Pfeifer non fugge
Quando sentì colpire la camionetta e si vide cadere in testa parte del soffitto, p. Ted non ebbe il tempo di rendersi conto di cosa stesse accadendo. Pensò soltanto che stava per saltare in aria. Quanto attorno tornò di nuovo il silenzio e si riebbe dal colpo, cominciò a tastarsi: era ancora tutto illeso. Credette che l’incidente fosse stato causato dallo scoppio di una gomma o che fosse accaduto chissà cosa alla macchina.
Ma quando, uscendo illeso dall’abitacolo, lo vide crivellato di proiettili, si rese immediatamente conto che le ripetute minacce dei trafficanti di droga non erano più soltanto parole ma pallottole. Il superiore provinciale, dagli Stati Uniti, gli telefonò appena gliene giunse notizia. “Non sarebbe prudente allontanarsi da lì? - gli domandò con evidente preoccupazione - Vuoi rientrare nel nostro Paese?”. “Non posso lasciare il villaggio dove lavoro da 12 anni. Sarebbe una contro testimonianza, la negazione di quanto ho vissuto e insegnato in tutto questo periodo. Torno al mio posto di lavoro, anche se so che potrei essere ucciso da un momento all’altro”.
Per continuare a leggere la storia chicca qui
martedì 4 gennaio 2011
La stella dei Magi e il GPS
Per l’editoriale di “Missioni OMI”, ho riscritto una pagina del blog che, in questi periodo di attesa dei Magi, può dirci ancora qualcosa.
Se i Magi, sempre alla ricerca del Re dei re, dovessero mettersi in viaggio oggi, forse lascerebbero a casa cammelli e dromedari e utilizzerebbero altri mezzi di locomozione. Comunque non si lascerebbero più guidare da una stella anomala e poco affidabile, che compare e scompare a suo piacimento, ma ricorrerebbero al più sicuro navigatore satellitare. Nel mio recente viaggio in Brasile, attraversando la grande città di San Paolo, per la prima volta ero guidato dal navigatore satellitare che, con voce stentorea, mi diceva tra quanti metri avrei dovuto girare a sinistra, a destra, se dovevo proseguire dritto e così via. Il traffico era così caotico e veloce che non sempre riuscivo a rispondere con prontezza ai comandi del navigatore il quale, imperterrito, operava immediatamente una variante per riportarmi sulla direzione giusta.
Quel che mi ha colpito è che… non si stancava mai di correggermi. Al suo posto io a un certo momento avrei detto: “Ma va dove ti pare!”. Lui invece non se l’è mai presa a male, non s’è mai arrabbiato né mai arreso. Non gli importava se seguivo o no le sue istruzioni: aveva una missione da compiere e faceva tutta la sua parte. Ho pensato che anche per il cammino della vita abbiamo bisogno di un navigatore. Gesù, mi sono detto, è la nostra strada - “Io sono la via” -, ma anche il nostro “navigatore”. È lui che ci suggerisce: vai di qua, vai di là, fa così, non fare cosà… E, proprio come il navigatore che avevo in Brasile, ogni volta che deviamo non si stanca di trovare una variante che ci riporta nella direzione giusta.
Accanto al navigatore “satellitare” per i piccoli viaggi sulle nostre strade, possiamo prestare attenzione al navigatore “celeste” per il grande viaggio della vita! Ma torniamo ai nostri Magi. Ammesso che avessero usato il navigatore, sarebbe stato facile per loro segnare il punto di partenza, ma come avrebbero fatto riguardo al punto di arrivo? Dove puntare? Il navigatore satellitare non funzione se non gli indichi dove vuoi arrivare. Lasciamo che il problema se lo risolvano da soli, noi ne abbiamo uno ben più grande da affrontare. Verso dove puntare la nostra vita? Non a caso ci domandiamo che “senso” essa può avere. Il senso glielo da proprio la “direzione”. Il valore di una vita dipende tutto dal punto di arrivo, dalla meta. Quanti momenti importanti in una famiglia: la nascita dei bambini, il battesimo, la prima comunione, la cresima, la laurea, il matrimonio… Ma non sono la meta ultima, sono piuttosto tappe per arrivare alla destinazione finale: l’incontro con Dio che finalmente ci spalancherà la porta del cielo e sarà paradiso! Ma per essere un po’ più concreti, pur pensando alla meta finale, occorrerà programmare delle tappe intermedie, di breve percorrenza, della durata… diciamo di una giornata, può bastare?
In questo mio ultimo editoriale di congedo dai lettori di “Missioni OMI”, mi permetto di consigliare una meta concreta per ogni giorno: puntare sulle persone che incontrerò oggi. Le persone per le quali preparo il pranzo o la lezione, quelle per le quali lavoro o che incontro per strada, con cui parlo al cellulare o a cui mando una e-mail, quelle di cui mi giungono cattive notizie attraverso la televisione o che andrò a visitare in ospedale, l’amico e il povero, la cassiera del supermercato e l’ufficiale postale, i soliti volti di casa e quelli sconosciuti che incontro per strada… Sono tutti sacramento di quel Dio che incontrerò a fine corsa, tappe sicure di un percorso dritto che mi conduce a lui. Non ci perderemo per strada e, come i Magi, troveremo anche noi il Salvatore. È questo il mio augurio per in nuovo anno.
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