martedì 15 ottobre 2024

La preghiera di Santa Teresa di Gesù

Festa di Santa Teresa di Gesù. Nel ritiro che sto guidando questi giorni sul tema della preghiera questa festa non poteva cadere più appropriata. Come ricordava Benedetto XVI, Teresa “ci insegna a sentire realmente la sete di Dio che esiste nella profondità del nostro cuore, questo desiderio di vedere Dio, di cercare Dio, di essere in colloquio con Lui e di essere suoi amici”.

Mi sono soffermato sulla sua notissima “definizione” della preghiera che giunge alla fine di una calorosa raccomandazione:

“Posso dire soltanto quello che so per esperienza: cioè che chi ha cominciato a fare orazione non pensi più di tralasciarla, malgrado i peccati in cui gli avvenga di cadere. Con l’orazione potrà presto rialzarsi, ma senza di essa sarà molto difficile. (…) Se il nostro pentimento è sincero e proponiamo di non più offenderlo, Egli ci accoglie nell’amicizia di prima, ci fa le medesime grazie di prima, e alle volte anche più grandi, se la sincerità del pentimento lo merita. Chi l’ha cominciata [l’orazione] non la lasci; e chi non l’ha cominciata, io lo scongiuro per amor di Dio a non privarsi di tanto bene; se persevera io spero nella misericordia di quel Dio che nessuno ha mai preso invano come amico; giacché l’orazione mentale non è altro – per conto mio – che un rapporto d’amicizia, intrattenendosi molte volte a tu per tu con Colui sappiamo che ci ama” (Vita 8, 5).

- è un “intrattenersi”, uno stare insieme, coltivare un rapporto… “L’anima s’immagini di trovarsi dinnanzi a Gesù Cristo, conversi spesso con Lui, cerchi di innamorarsi della sua Umanità, tenendola sempre presente, di parlare con lui…” (Vita, 12,2); “Se ne stia lì con Lui, in silenzio. Se si può, occupi il pensiero nel guardare che Cristo lo guarda, e fargli compagnia, parlargli, supplicarlo…” (Vita, 13,22). 

- “con Colui che sappiamo che ci ama”: è il presupposto e in fondamento di ogni preghiera, credere di essere amati da un Dio vicino, che per primo desidera avere un rapporto con noi, intrattenersi con noi da vero amico.

- è un rapporto “d’amicizia”: “Trattate con Lui come con un padre o un fratello, come con un signore, come con uno sposo; una volta in un modo e una volta in un altro” (Cammino, 28, 3). “Tutto si può sopportare con un amico così buono, con un così valoroso capitano che per primo entrò nei patimenti. Egli aiuta e incoraggia, non viene mai meno, è un amico fedele. (…) Cristo è sempre un buonissimo amico e ci è di grande compagnia, perché lo vediamo uomo come noi, soggetto alle nostre medesime debolezze e sofferenze. (…) Anche questo nostro Signore rimase senza consolazione, solo sotto il peso dei suoi dolori. Non abbandoniamolo, ed Egli ci aiuterà a salire, più che non potremo da noi con ogni nostra diligenza. Se poi si assenterà, sarà perché lo vedrà opportuno, o perché vorrà spinger l’anima a uscire da se stessa" (Vita, 22,6 e 10-11).

- “a tu per tu”: è esperienza di intimità, anche quando si prega con altri. In quel momento c’è solo Lui e non desidero altro che staccarmi da tutto ciò che non è Lui. A tu per tu dice intimità, rapporto personale. Si è davanti a Dio, con la propria anima messa a nudo, nella verità. È il momento in cui possiamo dirgli tutto quello che abbiamo nel cuore, anche la nostra incapacità di pregare.

Poi l’altra grande definizione: La preghiera “non consiste nel molto pensare, ma nel molto amare” (Cammino, 4, 1.7).

In proposito mi viene in mente quando tornavo a casa da mia mamma ormai anziana e sola. Mi sollecitava a raccontare del mio lavoro, dei viaggi, degli amici, mentre lei si scherniva dicendo che aveva da raccontare solo le solite cose. Parlavamo, parlavamo… Poi non c’era più niente da dire e c’era il silenzi, ma senza disagio. Si stava bene insieme…

Infine un’altra, se così possiamo chiamarla, definizione di Teresa, che coglie la preghiera nel suo divenire dinamico: “Camminiamo insieme, Signore: verrò dovunque voi andrete, e per qualunque luogo passerete passerò anch’io” (Cammino, 26,6).

E non possiamo terminare senza una parola sulla discepola Teresa di Lisieux, per la quale la preghiera è “Un sussulto del cuore... Un semplice sguardo al cielo... Un grido di gratitudine e amore...” (Manoscritto c, 25r)

  

lunedì 14 ottobre 2024

Sant'Eugenio copia la sua Regola...

 

Oggi la comunità è stata a San Silvestro al Quirinale per celebrare l’anniversario della consacrazione episcopale di sant’Eugenio de Mazenod. È il terzo anno che veniamo insieme.  Spero si instauri una tradizione…

https://fabiociardi.blogspot.com/2023/10/a-san-silvestro-per-far-festa-e.html

Poiché stiamo andando verso i 200 anni dell’approvazione pontificia della Regola, ho voluto mostrare a tutti la trascrizione originale che sant’Eugenio ha composto proprio nella casa di San Silvestro dove abitava.

18 febbraio 1926 scriveva a Tempier: “Bisogna ricopiare per intero il manoscritto delle Regole perché questa copia sarà omologata e consegnata nelle mie mani, mentre l'originale [che aveva portata da Aix e che era stata scritta in bella grafia da p. Jeancard] con annesse le approvazioni dei vescovi e la firma dei membri della Società deve restare negli archivi della Congregazione dei Vescovi e Regolari. (…) Oggi andrò a parlarne a un copista nella speranza che fin da domani lunedì si metta al lavoro allo scopo di poter consegnarmi il manoscritto al massimo la settimana prossima”.

Ma non trova i copisti che scrivano bene e in fretta, così dal 21 al 24 febbraio la trascrive direttamente lui, come racconta il 27 febbraio a p. Tempier: “Mi era sembrato facile trovare i copisti desiderati, e invece no; dopo tre giorni che cercavo imbattendomi in persone che scrivevano pessimamente senza promettermi di finire in meno di tre settimane (pur pagandoli, va da sé, con larghezza, cioè cinque o sei luigi per loro degnazione), mi accollai io stesso il grave onere. Me la son sbrigata alla men peggio in tre giorni e qualche nottata; certo è stata un fatica enorme, ma posso dire che mi ci son messo dentro dalla testa ai piedi perché testa petto braccia mani gambe piedi e altro che non nomino erano alla tortura”.

Gli dispiace moltissimo che l’originale, il manoscritto di p. Jeancard, debba restare in Vaticano: “Non potete immaginare la mia sofferenza nel dover lasciare qui il manoscritto; ma è questo che vogliono, verosimilmente per le approvazioni originali dei vescovi e le correzioni apportate al testo. Al posto di questo grazioso volume scritto in modo così nitido e che era un piacere vedere, vi riporterò un volgarissimo manoscritto mal scarabocchiato: 1° perché scrivo molto meno elegantemente di Jeancard; 2° perché ero costretto a scrivere molto in fretta volendo assolutamente finire in tre giorni; 3° perché la carta è ruvida e di cattiva qualità; 4° da ultimo, perché l'inchiostro non filava meglio di quello che sto usando, avevo penne orribili che il mio temperino di ferro danneggiava un più di più quando pensavo di migliorarle”.

Comunque nel nostro Archivio c’è questa bella copia della mano di sant’Eugenio… cn le firme di tutti gli Oblati di allora apposte una volta tornato in Francia.

domenica 13 ottobre 2024

Cinque parole per iniziare a pregare

Inizio per una settimana a guidare gli esercizi spirituali. Il tema? Quasi scontato, la preghiera. Inizierò con cinque parole con cui può iniziare la preghiera:

Ti adoro

È la confessione di Tommaso: «Signore mio e Dio mio». È il canto degli angeli: «Santo: Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell'universo ...».

Adorare significa letteralmente portare la bocca a Dio per baciarlo.

L'adorazione sfocia nel mare infinito dell'amore, con il bacio e l'abbraccio a Dio, con il bacio e l'abbraccio di Dio.

Ti amo

Sembra la parola più facile. Tutti la usano e la ripetono in mille variazioni, fino a farle perdere valore.

Dirgli: «Ti amo» non è soltanto espressione di un sentimento, è dichiararsi pronti all'azione: «Non chi dice Signore, Signore, mi ama, ma chi compie la volontà del Padre mio». Sappiamo qual è la sua volontà: donarsi agli altri, dare la vita per gli amici, amare quelli che non ci amano, amarci gli uni gli altri.

Nel Vangelo soltanto Pietro dice a Gesù: «Ti amo», ma solo come risposta ad una esplicita richiesta: «Mi ami?», e soltanto dopo essere passato attraverso la prova. Il suo "ti amo" è vero perché purificato dal dolore.

Anche noi a volte ci sentiamo incalzati dalla domanda pressante di Gesù: «Mi ami? Mi ami veramente?». Un po' temiamo a rispondere, un po' ne abbiamo un gran desiderio, perché il cuore ha bisogno di dire: «Ti amo».

Ti ringrazio

Con questa parola mente e cuore si spalancano su cielo e terra. Ringraziamo d'essere stati creati e del creato, del sorgere del sole e del suo tramonto, della luna e delle stelle, degli uccelli del cielo e dei pesci del mare, del pane che ogni giorno il Padre del cielo ci procura e di quanti lo hanno preparato per noi...

Lo ringraziamo per la Parola con cui ci nutre ogni giorno, per la misericordia che ci fa nuovi ogni giorno, per la chiamata a seguirlo, per l'Ideale ricevuto, per i fratelli e le sorelle che egli ci dà...

A mano a mano che il ringraziamento si dilata dagli estremi della terra al più profondo dell'anima, dagli abissi dei mari ai vertici dell'adorabile Santissima Trinità, esso si trasforma in canto di lode e in giubilo: «Opere tutte del Signore, lodate il Signore...».

Il ringraziamento sfocia di nuovo nell'adorazione e diventa espressione d'amore.

Ti chiedo perdono

Sì, perché in mezzo a tanto splendore di luce, si spalanca improvvisa una terribile voragine nera: abbiamo tante volte sciupato i doni del Signore, quelli per i quali lo abbiamo appena ringraziato, abbiamo tradito l'Amore.

«Ti chiedo perdono» è un'espressione liberatoria. Per questo può essere insidiosa. Perché chiediamo perdono? Per mettere la coscienza a posto? Per evitare di cadere nelle fiamme dell'inferno? La domanda di perdono è veramente espressione di amore?

Ciò che dovrebbe dispiacere non è il castigo che ci si attira con il peccato, non la vergogna del tradimento e dell'adulterio, non il giudizio dei fratelli, ma l'aver addolorato l'Amore.

L'amore di Cristo è così grande da entrare nel buio della nostra rivolta, da assumere il nostro peccato e inchiodarlo sulla croce. Ripetere: «Ti chiedo perdono» è riconoscere il nostro peccato, ma soprattutto riconoscere il culmine dell'Amore di Gesù, il suo abbandono, riconoscersi e identificarsi con l'Amore all'estremo della sua espressione. «Ti domando perdono»; e la misericordia inonda l'anima.

Ti chiedo grazie

È la domanda più povera, eppure la preghiera di domanda è nobile al pari dell'adorazione, perché chiedere è riconoscere l'onnipotenza di Dio; al pari della dichiarazione d'amore, perché non si vergogna di domandare; al pari del ringraziamento, perché è fiduciosa di ricevere; al pari della richiesta di perdono, perché nasce dalla medesima consapevolezza di povertà.

Cosa chiediamo? La fedeltà al Vangelo e di non separarsi mai dall'Amore. Poi la preghiera punta decisamente verso gli altri: i piccoli, i soli, i poveri, quanti subiscono violenze e ingiustizie, ma anche i violenti e gli ingiusti perché si convertano, gli oppressi da calamità naturali e da guerre, gli ammalati e i carcerati, i moribondi perché siano accolti da braccia di misericordia e perché siano chiuse per sempre le porte dell'inferno.

Ancora una volta il cuore si dilata sull'umanità intera e attinge all'amore infinito di Dio.

Ognuna di queste parole è pronunciata a nome nostro e di tutta l'umanità. Anche quando siamo nella stanza del cuore e abbiamo chiuso la porta per parlare con Dio: non siamo mai soli.

 

sabato 12 ottobre 2024

Con i bambini a San Pietro

 

C’è un luogo nel cuore del Vaticano dove il Vangelo si fa carne e si manifesta attraverso le centinaia di mamme e bambini che ogni giorno, varcano la soglia dell’ingresso del Perugino, per recarsi al Dispensario Santa Marta. E' un vero e proprio consultorio familiare, che ha iniziato quest’opera di attenzione ai bambini poveri e alle loro famiglie nel 1922. Oggi sono oltre 400 i piccoli che, con le loro mamme, sono assistiti gratuitamente da una sessantina di medici volontari. Sono per la maggior parte persone senza permesso di soggiorno, senza assistenza sanitaria… Visite ginecologiche, pediatriche… Tutti partono con latte, pannolini, omogeneizzati…

È iniziata così oggi la visita a san Pietro dei 33 bambini e 37 grandi ai quali ho fatto da guida, espletando così la mia vocazione nascosta.

Poi ho raccontato la storia di Pietro, con dei disegni. Per chi non la conoscesse ancora:

Gesù incontra Simone il pescatore e lo invita a seguirlo. “Vieni con me, gli dice, ti farò pescatore di uomini”. E gli dà un nome nuovo, lo chiama Pietro, che vuol dire pietra, perché vuole costruire su di lui la sua Chiesa.

Un giorno Gesù domanda ai suoi apostoli: “Voi chi dite che io sia?” Pietro risponde: “Tu sei il Figlio di Dio”. Allora Gesù gli dà le chiavi per aprire il cielo a tutti noi.

Ma un giorno, quando Gesù è fatto prigioniero e lo portano via per essere ucciso, Pietro ha paura e dice che non lo conosce! Gesù glielo aveva detto: “Questa notte, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte”. Pietro, dopo aver rinnegato Gesù senti il canto del gallo. Poi Gesù passò, incatenato, lo guardò con amore e Pietro si pentì, chiese perdono e pianse.

Dopo la resurrezione Pietro era tornato a pescare sul lago con gli altri apostoli. Gesù apparve, ma da lontano non lo riconobbero. Gesù disse a lui e agli altri di gettare la rete in acqua. Presero tantissimi pesci… Allora lo riconobbero: era proprio Gesù!

Dopo la pesca miracolosa Gesù prese da parte Pietro e gli chiese, per tre volte: “Mi ami, tu?” Per tre volte perché Pietro lo aveva rinnegato per tre volte. E per tre volte Pietro gli disse: “Ti voglio bene”. Allora Gesù affidò a Pietro il suo gregge, la sua Chiesa, tutti noi.

Pietro venne a Roma. Quando Nerone incendiò la città diede la colpa ai cristiani e Pietro fu ucciso nel circo dell’imperatore Caligola che Nerone aveva rinnovato…

E finalmente la tomba di san Pietro nella sua basilica…

Forse la catechesi si fa anche così…



 

venerdì 11 ottobre 2024

Antonietta Rinaldi e Romano Guardini

Molto probabilmente è già morta. Mi piacerebbe comunque sapere chi era Antonietta Rinaldi che nel 1950 comprò e lesse un libro di Romano Guardini, La figura di Gesù Cristo nel Nuovo Testamento. Ottima scelta!

Non so come mi è capitato tra mano questo libro. Spesso leggo libri che mi capitano tra mano, così. Sulla copertina le iniziali della donna, A.R., nella prima pagina interna il nome per intero, con una grafia distinta: Antonietta Rinaldi.

Un libro che è un piacere tenere in mano. Sono uno che ama ancora tenere il libro in mano. Stampa ottima, della Morcelliana, con caratteri nitidi e la pagina ariosa dal colore leggermente avoriato.

L’oggetto è bello. Il contenuto molto bello. In Italia è apparso nel 1950, ma Guardini l’ha scritto nel 1935. Sembra quasi una poesia. Fa emergere la figura di Gesù in san Paolo, nella Lettera agli Ebrei, nel Vangelo di Giovanni, nell’Apocalisse, nei Sinottici.

“L’Uomo-Dio – leggo a p. 69 – non porta la luce, ma è luce lui stesso. Cristo non insegna la via, ma la sua persona è nella confusione del mondo ciò che solo rappresenta la direzione vera e può guidare chi le si affida. Il Signore non annuncia la verità, ma la verità è la sua stessa essenza viva, essa sola schietta e senza alterazioni”.

Sono rimasto attratto soprattutto dai due capitoli dedicati alla figura di Gesù nell’Apocalisse. Quello di Guardini è un modo originale di leggere l’ultimo libro della Bibbia, arioso, onirico, poetico e cosmico, pieno di speranza, dove il Signore si erge in tutta la sua maestà e potenza.

Ha scelto bene Antonietta. Grazie per avermelo posto, dopo tanti anni, così vivo nelle mie mani.

 

giovedì 10 ottobre 2024

Due Oblati con i soldati in Ucraina

Due gli Oblati cappellani tra i soldati ucraini: Vadym Dorosh e Anton Litvinov.

p. Anton condivide la sua esperienza:

«Alcuni mesi fa, un'unità militare si è rivolta alla nostra comunità Oblata in Ucraina per richiedere un cappellano per la sua brigata. Nell’ambito della mia missione, mi sono arruolato nell’esercito per sostenere i difensori del nostro Paese. Ho iniziato servendo un battaglione, ma ora fornisco assistenza spirituale a un’intera brigata che abbraccia sei distretti. Con sette battaglioni e un unico cappellano, le necessità sono numerose. Faccio tutto il possibile per nutrire spiritualmente questi uomini e donne. In piena guerra ho celebrato la messa in varie circostanze. Ogni domenica e nei giorni festivi una cinquantina di agenti in divisa si riuniscono con me in una chiesa ristrutturata, un vero rifugio di pace in mezzo al caos. Visito anche i soldati sul posto di lavoro, prego con loro, li benedico e distribuisco Bibbie. Un soldato un giorno mi ha detto: “Le vostre visite ci ricordano che non siamo soli, che Dio è con noi”.

Un aspetto fondamentale del mio ministero è sostenere i soldati che ritornano dal fronte. Aiutarli a ritrovare la fiducia è essenziale, poiché molti affrontano paura e traumi. Tuttavia, in questi tempi difficili, vedo che sono molto aperti a Dio. Un giovane soldato mi chiede: “Padre, come posso trovare la pace dopo tutto quello che ho passato?” Ci sediamo insieme e l'ascolto condividere la sua esperienza. Quanto è essenziale il sostegno spirituale…»

I Missionari Oblati di Maria Immacolata sono arrivati ​​in Ucraina nel 1989. Dall’invasione russa del 2022 aiutano i rifugiati e le persone più vulnerabili aprendo case e chiese. Oggi circa 30 Oblati prestano servizio in Ucraina, Crimea e Russia. Tra loro ci sono i vescovi Radosław Zmitrowicz, e Jacek Pyl.






mercoledì 9 ottobre 2024

La Roma di Cesare Guasti

 

Preparando la guida per la visita ai santi di Prato, ho letto parecchio riguardo al venerabile Cesare Guasti, uomo dell’Ottocento. Non è un santo che a primo acchito risulti a tutti simpatico. È riservato e operoso, di ufficio, di carte, di archivio, di ricerca, di libri: un intellettuale. Fra l’altro questo è un mondo e un lavoro che gli piace. «Queste cartapecore – scrive scherzando – hanno per noi dell’attraente, pogniamo che non s’abbia poi una cartapecora per cuore». È una dimostrazione che si può essere santi in ogni condizione di vita, anche facendo l’archivista.

Quello che non ho riportato nella guida sono le sue impressioni di Roma (la guida è su Prato!). Venne una volta sola a Roma, dal primo al 15 aprile 1869, allo scopo di svolgere un’indagine sui manoscritti e codici del monastero di Farfa.

La cupola di san Pietro non gli fa nessuna impressione: la mette a confronto con quella di Brunelleschi a Firenze e naturalmente la trova meno bella… Anche l’interno non gli piace. «Ma arrivato alla Confessione, che è dinanzi all’altare di mezzo, e affacciatomi, e veduto il bel Pio sesto che prega inginocchiato dinanzi il Sepolcro di S. Pietro, in verità vi dico, che mi sentii commosso, e pregai di cuore».

Comunque alla fine anche lui si lascia ammaliare da Roma:

«Domenica mattina mi feci portare a San Giovanni Laterano, che è una basilica bellissima all’estremità di Roma; e lì presso è la Scala santa. Veduto San Giovanni me ne venni bel bello al Colosseo, che veramente mi commosse. Mi pareva di vedere sbucare da certe fosse le fiere, e i Martiri aspettarle sereni, tra le grida di una plebe feroce: plebe anche l’imperatore che comandava la strage de’ Cristiani, e stava a mirarne lo strazio. Quella terra che io pestavo (ma vi dico, con riverenza) era stata inzuppata di sangue cristiano! E però si veggono intorno intorno disposte quattordici edicole con i fatti della Passione di Nostro Signore, che si contemplano nella via crucis. Nel mezzo poi sorge una gran Croce; e lì presso è un povero pulpito, dove in certi giorni si fa una specie di missione. Cominciò questo pio uso il beato Leonardo da Porto Maurizio [...] Uscito dal Colosseo, salii al Campidoglio, passando di sotto agli archi trionfali, in mezzo a colonne che sono avanzi di templi pagani, presso la via detta Sacra (si vede l’antico selciato scoperto) per la quale i trionfatori romani andavano al tempio di Giove Capitolino, là dove oggi nella chiesa di Araceli stanno i poveri figliuoli di S. Francesco!».

Allora lo facciamo santo davvero!