mercoledì 20 novembre 2024

All'eremo di Lecceto

Le nubi si adagiano sulle colline toscane e le nebbie scendono tra le valli sfumando gli orizzonti. Nel bosco il solo rumore è quello delle foglie che cadono frusciando tra i rami. Gli aceri rossi e gialli segnano la stagione di mezz’autunno. Nessun senso di fine, ma di compimento.

L’eremo di Lecceto è nascosto, in silenzio, luogo adatto per gli esercizi spirituali che da lunedì mattina e per tutta la settimana sto guidando a trenta sacerdoti, alcuni di loro religiosi. Una buona metà è della diocesi di Firenze, gli altri spaziano per tutta Italia.

Il convento, con la sua bella chiesa, risale al 1500, costruito dai Domenicani di san Marco di Firenze come loro luogo di ritiro. Poi divenne sede estiva del seminario di Firenze, ed oggi è gestito dal Sacramentini, con p. Manuel come superiore… amici di gioventù, e gli amici non invecchiano mai!

Il tema è uno dei miei abituali: "Il cenacolo, la nostra casa". Dove meglio che nel cenacolo possono riunirsi questi trenta preti? Lì sono nati e lì devono costantemente tornare come luogo ispiratore. Quanto avvenne in quella sala 2000 anni fa è realtà quotidiana della nostra vita cristiana, che si attualizza nei secoli, di generazione in generazione, fino a quando sederemo a mensa in Paradiso e berremo il vino nuovo tenuto in serbo per noi.

Siamo saliti nella “sala al piano superiore” assieme a papa Francesco che, lunedì 26 maggio 2014, in visita a Gerusalemme, seppe riassumere in poche parole l’intero mistero racchiuso nel cenacolo: «Qui, dove Gesù consumò l’Ultima Cena con gli Apostoli; dove, risorto, apparve in mezzo a loro; dove lo Spirito Santo scese con potenza su Maria e i discepoli, qui è nata la Chiesa, ed è nata in uscita. Da qui è partita, con il Pane spezzato tra le mani, le piaghe di Gesù negli occhi, e lo Spirito d’amore nel cuore. Gesù risorto, inviato dal Padre, nel Cenacolo comunicò agli Apostoli il suo stesso Spirito e con la sua forza li inviò a rinnovare la faccia della terra (cf. Sal 104, 30). Uscire, partire, non vuol dire dimenticare. La Chiesa in uscita custodisce la memoria di ciò che qui è accaduto; lo Spirito Paraclito le ricorda ogni parola, ogni gesto, e ne rivela il senso».

E noi ci stiamo ricordando parole e gesti del cenacolo…

martedì 19 novembre 2024

Padre Tito: Anche in prigione posso amare

Tito Banchong, laotiano, dopo essere stato con noi in Italia, ordinato sacerdote, tornò nel suo Paese proprio nel momento in cui i comunisti salivano al potere a Vientiane. Pur senza mai usare parole critiche nei confronti dei governanti, padre Tito fu incarcerato tre volte, imparando a trovare anche nelle ristrettezze più crude la tenerezza dell’amore di Dio. Nominato "amministratore apostolico" di Luang Prabang, l’antica capitale, padre Tito continua ad essere un vero missionario. La sua storia è stata raccolta in un libro da Michele Zanzucchi: Anche in prigione posso amare.

Leggo anche pagine che mi riguardano personalmente, come questa che trascrivo:

Nel collegio di Propaganda Fide, dove avrebbe dovuto essere alloggiato, non c’erano posti disponibili, cosicché Tito dovette vivere dagli scolastici, a San Giorgio al Celio [non San Giorgio al Celio, ma San Giorgio Canavese… uno dei tanti errori che perdoniamo…]. Ma nel 1973 raggiunse di nuovo gli oblati, a Vermicino. Lì conobbe un giovane religioso, più o meno suo coetaneo, sempre sorridente, pacifico, sereno, felice. Ecco, questo lo colpi, era felice. Si chiamava Fabio, Fabio Ciardi, una figura che da quel momento ebbe molta importanza nella sua vita di uomo e poi di sacerdote. [Ci conoscevamo già da San Giorgio dove vivevamo insieme, dove gli insegnavo l'italiano, e da dove insieme ci siamo spostati a Roma] «Fu consigliandomi con lui continua padre Tito - che, dopo appena un anno di studi di filosofia, decisi di cominciare la teologia. Ero ancora incerto sulla mia vocazione, ma poco alla volta avvertii sorgere nel mio cuore il desiderio di seguire Gesù in modo radicale, di seguire cioè quel Signore che sembrava desiderare immensamente che io lo amassi. Era lui a interessarsi di me, non io di lui. Mi aveva preso poco alla volta, facendomi capire che in lui avrei sempre trovato il vero senso della mia vita». 

Padre Fabio Ciardi frequentava il Movimento dei Focolari. Non era tanto un’appartenenza, quanto un’adesione allo spirito del Vangelo dell’unita. «Non ricordo, in effetti, come giunsi anche io ad aderire allo spirito evangelico proposto da Chiara Lubich. Allora c’era tra gli amici del Movimento un clima così intenso di vita della Parola e una familiarità costante con gli altri religiosi di altri ordini e congregazioni vicini ai Focolari che ci si trovava coinvolti senza rendersene conto. Per Fabio avvenne la stessa cosa: partecipava ai loro incontri con sempre maggiore regolarità e fu “contagiato" da tale spirito. Certamente, vi fu un momento in cui fece sua la spiritualità in maniera consapevole e personale. Ma padre Fabio non si accorse né del come né del quando».

lunedì 18 novembre 2024

Tu sei tutto per me

Bologna: che bella comunità oblata! E che bella chiesa: un santuario mariano, la Madonna del Soccorso.

Del santuario del 1500, distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, è rimasto solo la statua della Madonna, con sotto scritto: ”L’è la nostra, la Madona”. Si può salire fino davanti alla piccola statua e pregare con calma…

Mi ha attratto un grande quadro su un altare laterale, raffigurante santa Margherita Maria Alacoque; una pittura moderna, davvero bella. E ho ripetuto, e fatto ripetere alla gente, una delle preghiere che leggo nei suoi pensieri:



“Mio Dio, mio Unico, mio tutto.
Tu sei tutto per me e 
io sono tutta per te”.



domenica 17 novembre 2024

Un diario che porta in alto


Ancora una volta eccomi a presentare il Diario di Chiara che ho avuto la gioia di pubblicare lo scorso anno. Sono gli Oblati di Bologna che mi accolgono: è la prima volta che visito questa comunità da poco costituita. Ed è un Oblato, Gennaro Cicchese, che conduce l’incontro di presentazione. Un bel  numero di presenti. Si crea un clima di grande ascolto e interesse, di profonda “unità”, come diremmo noi. Alla fine tanti vogliono parlare personalmente: “Avevo proprio bisogno di un tuffo nella spiritualità”, “Ci hai portato in alto”, “Abbiamo respirato aria di cielo”…

Ma non sono io, è il libro di Chiara che parla. Esso nasce dal desiderio di condividere il proprio vissuto. È un’esigenza insita nella sua spiritualità comunitaria dove tutto va condiviso e messo in circolazione. «Mi sembrava – scrive nel 1961 – che ciò che non è utile all’umanità o almeno agli altri non ha valore».

La volontà di condivisione e la destinazione “pubblica” – anche se riservata a un gruppo ben definito come il focolare – potrebbero indurre a pensare che nei diari di Chiara vengano penalizzate l’intimità e la riservatezza proprie del diario spirituale. La comunione e la comunicazione come lei le intende presuppongono invece proprio una personale e profonda esperienza interiore che sola consente l’autenticità del dono di sé agli altri.

Il diario inizia col viaggio in America, il 28 marzo 1964, Sabato Santo. Interminabile il volo aereo da Roma a New York: «Era bello veder il sole sempre splendido, senza tramonto. Ho intuito perché l’eternità si paragoni ad un eterno giorno. Il Canada, che abbiamo attraversato seguendo la rotta, era tutto un gelo. I laghi sembravano, dagli 11.000 m. da cui guardavamo, pozze di latte can­dido. Nel mare le correnti gelate e gli icebergs. Poi sorvoliamo New York, sconfinata… Dapprima costruzioni sempre uguali, così uguali da impressionare. Infine, in fondo, i grattacieli e il porto. All’arrivo, focolarini e focolarine che salutano, distinguibili dagli altri. Sono venuta per loro, perché siano meno soli in questo sterminato paese. […] Di notte è un paese di fate. Inimmaginabile».

In questa prima pagina sono già presenti gli elementi che caratterizzeranno i diari: l’ambiente circostante, sempre colto con ammirazione; il rapporto con le persone e la particolare attenzione per i membri della sua famiglia («Sono venuta per loro, perché siano meno soli in questo sterminato paese»); la lettura profonda di ogni evento («Ho intuito perché l’eternità si paragoni ad un eterno giorno»)… Così lentamente siamo introdotti nel mondo “vero”.

Buona lettura.

sabato 16 novembre 2024

Buon viaggio...

 


Una foto vale più di molte parole.

Com’è stato il mio corso sulla teologia spirituale? Gran parte si è incentrato sul cammino spirituale…

Ma forse questa foto dice di più di molte pagine dei miei appunti…

Buon viaggio, ragazzi!

giovedì 14 novembre 2024

Solidali con tutto il creato

 

La spiritualità è la presa di coscienza del rapporto che ci lega con il creato, di cui siamo parte e con il quale siamo in cammino verso il compimento. Siamo creature, con un’anima che informa un corpo che nasce dalla terra e torna alla terra. È bello riscoprire la solidarietà con il mondo che ci circonda, che ha anch’esso un’anima.

La spiritualità cristiana ci porta a scoprire la presenza di Dio nel creato: tutto è stato creato in Cristo ed egli tutto ricapitola per donarlo al Padre così che Dio sia tutto in tutti. Siamo in cammino verso i “cieli nuova e la terra nuova”.



Un sogno di speranza

 

La spiritualità è la modalità dei rapporti profondi che costruiamo con gli altri e del cammino che siamo chiamati a percorrere insieme per una armoniosa relazione sociale così da giungere alla piena comunione. Quando nei rapporti manca una dimensione spirituale, capace di attingere all’interiorità di ciascuno, alla verità del vivere, c’è l’indifferenza, la rivalità, l’odio, la guerra.

La spiritualità cristiana offre un di più per la modalità dei rapporti: l’amore reciproco, sulla misura di quello di Gesù, dare la vita per l’altro; amore riversato nei cuori dallo Spirito Santo. E fiorisce una comunità nuova, che rispecchia quella dei primi cristiani a Gerusalemme, ed è capace di offrire il proprio contributo nel campo sociale, politico…

È un sogno di speranza.