«La chiamata di Gesù Cristo…».
Le nostre Regole – quelle che dovrei commentare il prossimo anno nell’anniversario
della loro approvazione – iniziano così. Poteva esserci inizio migliore? Tutto
nasce dalla chiamata a seguirlo.
Noi non seguiamo un ideale, un progetto,
neppure un carisma. Seguiamo una persona viva con la
quale siamo chiamati a vivere. Ai membri di “Comunione e
Liberazione” papa Francesco ricordava che «il centro non è il carisma, il
centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo
spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di
strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere “decentrati”:
al centro c’è solo il Signore!» (7 marzo 2015).
Non è una nostra
iniziativa, una nostra scelta. Non scegliamo, siamo scelti, siamo chiamati. L’iniziativa
è sempre sua. È suo il primato d’amore. «Come possiamo amare, se prima non
siamo stati amati?», si domandava sant’Agostino. Se «noi amiamo», ci ricorda
ancora l’apostolo Giovanni, è «perché egli ci ha amato per primo» (1 Gv 4, 19). Dio – ci ricorda il
Concilio – «nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si
intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé» (DV 2).
Da dove nasce la
chiamata? Da qualche nostro merito? No, è pura espressione dell’amore di Gesù,
che a sua volta manifesta l’amore del Padre. Un amore gratuito, che chiama alla
comunione con sé. «In questo sta l’amore – ci ricorda l’apostolo Giovanni –:
non siamo stati noi ad amare Dio, ma è
lui che ha amato noi» (1 Gv 4,
10). È lui che per primo, come lo sposo del Cantico dei Cantici, ci viene
incontro e chiama: «Alzati amica mia, mia bella, e vieni» (Ct 2, 10).
Egli si apre e si
rivela, chiama e si comunica. Quanti, raggiunti da tale amore, rispondono e a
loro volta si aprono e si donano, si trovano coinvolti in un rapporto con lui
che tende alla comunione più piena.
È la grande luce
che brilla nel cuore di colui che crede e che gli fa gridare: “Sono amato dall’Amore!”.
L’evangelista Giovanni
ricordava il giorno e l’ora del suo incontro con Gesù, quanto si sentì
rivolgere l’invito: “Venite e vedete”. Gli apostoli ricordavano il luogo
preciso della loro vocazione: il lago, il tavolo delle imposte...
“Ho visto il Signore”, grida
Maria Maddalena il giorno di Pasqua: l’ha incontrato nel giardino. “Abbiamo
visto il Signore”, testimoniano gli apostoli a Tommaso: l’avevano visto
arrivare nel cenacolo. E la prima Lettera di Giovanni: «Ciò che
noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi
abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo
della vita; (…) quello che abbiamo veduto
e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con
noi» (1
Gv 1, 1-3).
Con la stessa forza si esprime Paolo. Pur
vivendo in un tempo ormai lontano da quello di Gesù, anche lui può gridare:
«Non ho visto Gesù, nostro Signore?» (1 Cor 9, 1). Sì, l’ha
realmente incontrato sulla via di Damasco: «Ultimo fra tutti apparve anche a me
come a un aborto» (1 Cor 15, 8); «Dio si compiacque di rivelare a me
il Figlio suo» (Gal 1, 16).
Non potremmo anche
noi fare memoria della nostra chiamata personale? Quando, dove, come sono stato
“guardato” da Gesù? Ognuno di noi conserva in cuore il ricordo della propria
chiamata, quell’istante in cui ci siamo sentiti guardati ed amati da Gesù che svela
un amore presente da sempre, da tutta l’eternità: «Ti ho amato con amore
eterno» (Ger 31, 3).
Gli inizi sono
sempre luminosi, generosi, radicali. Quanti momenti di gioia da allora, di
intimità con lui, di donazione generosa, di edificazione della Chiesa. Successivamente
forse possono essere subentrati i distinguo, gli adattamenti, i compromessi,
assieme alle delusioni. Non saranno mancate le difficoltà, le prove, la presa
di coscienza della propria debolezza e fragilità, i fallimenti… Eppure quegli
inizi sono stati luminosi, generosi, proprio per quel primo sguardo posato da
Gesù su ognuno.
È la scoperta gioiosa di avere un Padre
che ci ama al punto «da dare il suo Figlio, l’Unigenito» (Gv 3, 16). La scoperta che il Figlio, fattosi uomo per amore, ci
ama fino a dare «la sua vita per noi» (1
Gv 3, 16). La scoperta che lo Spirito si riversa in noi come amore (cf. Rm 5, 5): Dio è Amore! E perché amore ci
ama, personalmente. San Paolo comunicava con gioia ai suoi cristiani della
Galazia la scoperta che aveva sconvolto la sua vita dandole finalmente un
senso: il Figlio di Dio «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (2, 20).
Perché non fermarsi
e prendere il tempo per tornare agli inizi, alla prima autentica illuminazione
interiore, seguendo il suggerimento della lettera agli Ebrei: «Richiamate alla
memoria quei primi giorni nei quali foste illuminati» (10, 32)?
Non è un ricordo
nostalgico, ma un percorso che fa riemergere le scelte inalienabili che stanno
all’origine del nostro cammino. Se ne può scorgere l’ingenuità iniziale, ma
anche la sincerità, assieme all’apprensione con cui esso è iniziato, le
insufficienze della risposta. Perché non raccontiamo a noi stessi e impariamo a
raccontare agli altri la storia della nostra vocazione?
Paolo l’ha
incontrato sulla via di Damasco. I primi discepoli sul lago, sulle vie di
Galilea. Sant’Eugenio nella cattedrale di Aix. Ognuno di noi ha la sua storia…
possiamo raccontarla a noi stessi e agli altri.