lunedì 30 settembre 2024

Ottobre missionario 2024

 

Ottobre: il “mese missionario” si apre, in maniera significativa, con la festa di Santa Teresa di Gesù Bambino che, grazie all’interessamento degli Oblati, in particolare di mons. Arsène Turquetil, omi, nel 1927 fu proclamata “patrona delle missioni”. L’anno prima, il 14 aprile 1926, Pio XI aveva istituito la “Giornata missionaria mondiale”.

La prima “giornata missionaria” risale però a quasi 2000 anni fa, quando lo Spirito Santo a Pentecoste scese su Maria e gli apostoli riuniti nel cenacolo e li spinse fuori, sulla piazza, a proclamare il grande annuncio della Resurrezione del Signore. Per noi Oblati essa risale a più di 200 anni fa quando, sant’Eugenio de Mazenod sentì scendere su di sé lo Spirito Santo che lo mandava ad annunciare il Vangelo ai poveri.

Papa Francesco, come tema per la giornata di quest’anno, ha scelto ha parabola dell’invito al banchetto del figlio del re (cfr Mt 22,1-14): «Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze» (v. 9). Seguendo il messaggio del Papa possiamo lasciarci ispirare da questa parabola per la nostra missione come Famiglia oblata.

1. “Andate”. I servi erano già andati a trasmettere il messaggio del re agli invitati, ma nessuno aveva risposto (cfr vv. 3-4). Il re li invita a non scoraggiarsi, devono perseverare, continuare ad andare nonostante le difficoltà, gli insuccessi, i rifiuti… Anche quando la pesca degli apostoli era stata infruttuosa, Gesù li aveva invitati ad andare al largo, a gettare nuovamente le reti…  (cfr Lc 5, 4-7; Gv 21, 5-7) Abbiamo un mandato al quale dobbiamo obbedire e dobbiamo aver fiducia in colui che ci manda: è lui che opera! Come Gesù, che ha un mandato da parte del Padre, e non si stanca di noi e va in cerca delle pecore perdute del popolo d’Israele e desidera raggiungere anche le pecore più lontane (cfr Gv 10,16).

Papa Francesco, come il re della parabola, non si stanca di invitare la Chiesa ad andare, ad “uscire”. «Oggi – scrive nel suo messaggio – il dramma della Chiesa è che Gesù continua a bussare alla porta, ma dal di dentro, perché lo lasciamo uscire! Tante volte si finisce per essere una Chiesa […] che non lascia uscire il Signore, che lo tiene come “cosa propria”, mentre il Signore è venuto per la missione e ci vuole missionari… Che tutti noi, battezzati, ci disponiamo ad andare di nuovo, ognuno secondo la propria condizione di vita, per avviare un nuovo movimento missionario, come agli albori del cristianesimo!».

2. Invitate. Il comando del re ai servi nella parabola è di invitare: «Venite alle nozze!» (Mt 22,4). Il Papa nel suo messaggio sottolinea che l’invito è urgente, ma va rivolto «con grande rispetto e gentilezza… con gioia, magnanimità, benevolenza… senza forzatura, coercizione, proselitismo; sempre con vicinanza, compassione e tenerezza, che riflettono il modo di essere e di agire di Dio». Nell’invito e nell’annuncio è impostante il “come”: stare vicini alle persone, ascoltarle, conoscerle, capirle, interessarsi ad esse, immedesimazione nei loro problemi nell’attenzione alle loro necessità…

La “prossimità” è, come ci ricordano le Regole, una delle caratteristiche della missione oblata: «Profondamente vicini alle persone con le quali lavorano, gli Oblati saranno costantemente attenti alle loro aspirazioni e ai valori che esse portano» (C 8). Occorre stare in mezzo alla gente, andare “nei crocicchi delle strade”…

3. Tutti. I destinatari dell’invito del re: «tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni» (Mt 22,10), «i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi» (Lc 14,21), gli ultimi, emarginati della società: nessuno può essere escluso. «Ancora oggi – leggiamo nel messaggio del Papa –, in un mondo lacerato da divisioni e conflitti, il Vangelo di Cristo è la voce mite e forte che chiama gli uomini a incontrarsi, a riconoscersi fratelli e a gioire dell’armonia tra le diversità».

Se c’è una preferenza è per gli ultimi, gli scartati, quelli che più fanno difficoltà a noi e agli altri. «Così, il banchetto nuziale del Figlio che Dio ha preparato rimane per sempre aperto a tutti, perché grande e incondizionato è il suo amore per ognuno di noi. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16)».

4. Il banchetto di nozze. La parabola indica la finalità dell’invio e dell’annuncio: portare al banchetto delle nozze del figlio del re. Il Papa, giustamente, sottolinea il significato escatologico del banchetto, immagine della salvezza finale nel Regno di Dio. «È importante tener presente tale prospettiva, perché essa ci aiuta ad evangelizzare con la gioia di chi sa che “il Signore è vicino” e con la speranza di chi è proteso alla meta, quando saremo tutti con Cristo al suo banchetto nuziale nel Regno di Dio. Mentre dunque il mondo propone i vari “banchetti” del consumismo, del benessere egoistico, dell’accumulo, dell’individualismo, il Vangelo chiama tutti al banchetto divino dove regnano la gioia, la condivisione, la giustizia, la fraternità, nella comunione con Dio e con gli altri». Quel momento, continua il Papa, «è anticipato già ora nel banchetto dell’Eucaristia, che la Chiesa celebra su mandato del Signore in memoria di Lui».

Il banchetto evoca anche la fraternità, la gioia del ritrovarsi insieme. Non ci si siede attorno alla stessa tavola quando si è in lite, in discordia, quando ci si odia o si è in guerra. L’obiettivo del missionario è riconciliare le persone (come già facevano i primi Missionari di Provenza durante le missioni al popolo), far scoprire che siamo figli dello stesso Padre e quindi fratelli e sorelle tra di noi: in una parola, creare la comunità cristiana.

Questa la nostra vocazione missionaria: andare incontro a tutti, amare tutti, senza preferenze, senza esclusioni, di ogni condizione sociale o anche morale, e “invitare”, con la testimonianza della vita e l’annuncio di un “notizia” bella e buona.

domenica 29 settembre 2024

E quando il fondatore non c'è più?

La chiesa della Theotokos stamani mi ha accolto nel mistero, avvolta nella nebbia, preludio di una giornata limpida di sole.

Ritiro a un centinaio di focolarini sul “dopo fondatrice”. Eh ho iniziato con esempi del dopo di grandi fondatori.

Emblematica la vicenda di Francesco d’Assisi, a tutti nota. Basterà limitarsi alle ultime sue parole riportate da san Bonaventura: «Così disteso sulla terra, dopo aver deposto la veste di sacco, sollevò la faccia al cielo, secondo la sua abitudine, totalmente intento a quella gloria celeste, mentre con la mano sinistra copriva la ferita del fianco destro perché non si vedesse. E disse ai frati: “Io ho fatto la mia parte; la vostra…”. La nostra? Ho chiesto ai presenti. Domanda a tranello, infatti mi hanno risosto: Voi fate la vostra. Invece san Francesco ha detto sapientemente: “la vostra, Cristo ve la insegni”» (Bonaventura da Bagnoregio, Leggenda Maggiore, XIV,3: FF 1239). Lui si è lasciato guidare da Cristo, così devono fare i suoi discepoli…

Il dettato di sant’Angela Merici è ancora più esplicito. Dopo aver spiegato nei Ricordi che Dio l’ha «eleta di esser madre», arriva a dire, con piena coscienza del proprio ruolo di fondatrice, che «obedendo a mi, obedireti a Jesu Christo» (Tertio Precetto). Questo non soltanto da viva, ma anche nel periodo successivo, che si protrae per tutta l’esistenza futura della Compagnia, nella convinzione che Gesù Cristo «mi ha eletta di esser matre et viva et morta di così nobil compagnia» (Tertio Precetto). In proposito scrive: «Vi prego tutte, anzi ve supplico per amor della passione di Jesu Christo, et della Madonna, che vi sforzati di metter in opera questi puochi arricordi, che adesso vi lasso, da essequire doppo la morte mia: li quali vi saranno una memoria almancho d’una parte del voler et de­siderio mio» (Arricordi). Vi ritorna nel Testamento: «per la Passione et il Sangue di Jesu Christo... vogliate metter in opera con ogni sollecitudine questi puochi arricordi... Imperocché io adesso partendomene di questa vita, et lassando voi in pe mio et sicome herede mie, questi avvisi vi saranno sicome legati, li quali nella mia superiore voluntade ve lasso da esequire fidelmente».

Questa insistenza nel seguire la via da lei tracciata, non le impedisce di comprendere la necessità di adattare in futuro la vita della Compagnia ai diversi tempi e luoghi, lasciando aperto il cammino: «Et se secondo li tempi et bisogni accadesse de ordenare de nuovo o fare altramente qualche cosa, fatilo pru­dentemente, et con buon consiglio» (Legato Ultimo).

Il criterio sarà l’ascolto dello Spirito e la docilità all’azione di Cristo presente in mezzo alle future vergini. Sono queste le due Persone che hanno dato origine alla Compagnia e saranno loro che continueranno a guidarla, come scrive nel Testamento.

La presenza di Cristo innanzitutto, perché è lui che ha fondato la Compagnia e che quindi continuerà a guidarla: «Et sempre il Prin­cipal ridotto vostro sia il ricorrere alli piedi di Jesu Christo... Perché cosi senza dubio Jesu Christo sarà in mezzo di voi, et ve illuminarà et amaestrarà si come vero et bon Maestro, di quello che havereti a fare. Teneti questo per cento che questa Regola di diritto è piantata per la santa man sua, né mai abbandonerà questa Compagnia finché ’l mondo durarà…».

Quindi la presenza dello Spirito Santo: «Queste ed altre simili cose fidelmente si fareti, sicome secondo li tempi et le importantie vi detterà il Spirito Santo, rallegratevene, state di buona voglia».

Un altro esempio è quello di Camillo de Lellis che, già in vita, aveva conosciuto opposizioni e deviazioni dal suo progetto carismatico. Nella Lettera Testamento poteva quindi scrivere di non meravigliarsi che «il diavolo non abbia cessato e non cessi ora mai di tentare di far che questa povera pianta, dalla quale Dio si aspetta tanta gloria, venga distrutta, annientata e maltrattata in un modo o in un altro. Se il diavolo non ci riuscirà sotto apparenza di un male lo tenterà sotto apparenza di bene, cercando tutte le strade e tutti i mezzi possibili. In particolare potrà servirsi di alcuni religiosi di questo stesso nostro Ordine suggerendo loro, sotto apparenza di bene, che cerchino di far deviare e alterare lo scopo del nostro santo istituto. (…) Esorto quindi tutti i religiosi presenti e futuri a non pretendere di sapere di più di quello che occorre, ma a camminare in santa semplicità nelle cose stabilite nelle nostre Bolle approvate dalla Santa Sede Apostolica. Esorto tutti a esserne fedelissimi difensori. Felice chi lo sarà e infelice che non lo sarà!».

Emblematiche le ultime parole di san Giovanni Bosco: «Vi raccomando di non piangere la mia morte. Questo è un debito che tutti dobbiamo pagare, ma dopo ci sarà largamente ricompensata ogni fatica sostenuta per amor del nostro Maestro buon Gesù. Invece di piangere fate delle ferme ed efficaci risoluzioni di rimanere saldi nella vocazione fino alla morte. […] Se mi avete amato in passato, continuate ad amarmi in avvenire colla esatta osservanza delle nostre costituzioni». Come per gli altri Fondatori la fiducia nel futuro gli viene dalla fiducia nella presenza e nell’ascolto di Cristo Signore: «Il vostro primo Rettore è morto. Ma il nostro vero Superiore Cristo Gesù, non morrà. Egli sarà sempre nostro Maestro, nostra guida, nostro modello; ma ritenete che a suo tempo egli stesso sarà nostro Giudice e rimuneratore della nostra fedeltà nel suo servizio» (Testamento spiritualeMemorie Biografiche XVII, 258-273).

Sono andato avanti con altri esempi, ma questi dicono già quanto basta… 

venerdì 27 settembre 2024

giovedì 26 settembre 2024

Ciò che passa e ciò che non passa

 

Sono una quarantina nella casa di riposo. Ogni tanto vado a trovarle. Donne che hanno avuto mansioni importanti e che ora si ritrovano ammalate, disabili, o semplicemente anziane.

Questa mattina abbiamo letto l’inizio del libro di Qoelet: “Tutto è vanità di vanità… Tutto passa”. Guardando queste donne alla fine del loro cammino, ti accorgi di come sono vere queste parole. Parole che potrebbero ingenerare tristezza. Invece sono un invito a guardare a ciò che non passa e a ricentrare la propria vita in Dio. Guardi questi donne e capisci la verità di ciò che non passa.

mercoledì 25 settembre 2024

Natalia: "Siamo fratelli"

Ho letto la biografia di Natalia Dalla Piccola, scritta da Matilde Cocchiaro. 

Mi ha colpito un piccolo episodio raccontato da Kosho Niwano, buddista, mentre la accompagnava in macchina per le strade di Roma. A un semaforo uno dei tanti uomini che vendono fazzoletti. "Immediatamente le ha dato del denaro e sorridendo a cominciato a parlargli: 'Grazie! Oggi è una bella giornata, vero? Io sono Natalia e tu come ti chiami? Hai figli? Abbi cura di te...'. Ho pensato stesse parlando con un vecchio amico. Avevo l'impressione che quel signore dialogasse con lei come avrebbe fatto con la sua mamma. Quando la vettura è ripartita, sono rimasta colpita dallo sguardo di quell'uomo, in piedi, con la foto dei sui figli in una mano e che con l'altra ci salutava felice".

Ho poi trovato uno dei pensieri di Natalia che mi ha spiegato il suo comportamento: "Ad ogni prossimo che incontri bisogna dare tutto, non risparmiare nulla, come se tu non lo vedessi più. Dare Dio. E' un seme che poi fruttificherà".

Ho tanti ricordi di lei, a cominciare da quando imitava perfettamente la mia parlata toscana, o quando mi raccontava di nuovo del suo primo viaggio a Firenze… Mi voleva bene e me lo dimostrava. 

Ma indubbiamente il ricordo più bello, forse l’ultimo incontro personale avuto con lei, è quanto accadde a Montet. Naturalmente non ricordo l’anno… Ero in viaggio verso St-Maurice, sempre in Svizzera. Assieme a sr. Antonia Moioli dovevamo parlare alle scuole, forse degli “aspetti” nella vita religiosa. A guidare l’incontro, Natalia. Ero seduto alla sua sinistra. Io parlai un po’ sopra le righe, forse con una certa spavalderia, e sentivo Natalia che, dispiaciuta, mormorava a bassa voce: “Non è così”.

Alla fine dell’incontro salutai Fede, Silvana e altri che erano seduti in prima fila. Non salutai Natalia perché già eravamo stati insieme sul palco… Poi uscii in fretta perché dovevo appunto andare a St-Maurice. Natalia mi corse dietro: “Vai via così, senza neppure salutarmi? Ma noi siamo fratelli”. Non potevamo separarci con quel filo di incomprensione, non era da Natalia. Non poteva lasciarmi andare via senza che tra noi ci fosse l’unità piena. 

“Siamo fratelli”. È l’ultima consegna che mi ha lasciato Natalia.

martedì 24 settembre 2024

Siamo una famiglia

Il breve viaggio che mi ha portato a Manfredonia e ai santuari della zona, aveva come metà Santa Maria a Vico. L’ho presa un po’ alla larga, ma ne valeva la pena. Forse fra non molto tempo la comunità di Santa Maria a Vico sarà la mia destinazione finale: casa di riposo per gli Oblati anziani e ammalati.

Fa sempre bene tornare a visitare i vecchi amici, soprattutto quelli più malandati. Siamo una famiglia!

Per l’occasione il sindaco mi ha fatto trovare un bello spettacolo in piazza, davanti alla nostra casa.

Poi nel chiostro, nel silenzio: luogo di pace e di contemplazione.



lunedì 23 settembre 2024

Da Padre Pio per imparare cos'è la santità

Domenica mattina: siamo alla vigilia della festa di san Pio da Pietralcina. Una breve visita a San Giovanni Rotondo, nel mio viaggio verso Santa Maria a Vico.

L’impatto previo non è dei più felici: gruppi di uomini violenti gestiscono abusivamente viabilità e parcheggi, con la tolleranza delle forze dell’ordine. Davanti a un altro palese sopruso, questa volta da parte degli stessi vigili urbani, ne domando loro ragione. Candidamente mi rispondono: “Sono le contraddizioni dell’Italia”.

Ma questo è solo il piccolo prezzo d’ingresso. Una volta dentro eccoci avvolti dal calore di una moltitudine di pellegrini dalla fede profonda che ti compensa di tutto.

Non posso raggiungere la tomba perché non soltanto il santuario, ma la piazza stessa è gremita all’inverosimile. Non posso vedere neppure i famosi mosaici di Rupnik. Sarà per un’altra volta, se ci sarà. Mi basta entrare nell’antica chiesa, accostarmi al confessionale di padre Pio dove anche mia mamma si è confessata, visitare il convento con la cella, la cripta dove una volta riposavano le spoglie del santo. Lì mi è facile pregare.

C’è un angolino tranquillo dove posso rileggere con calma una pagina di diario di Chiara Lubich (ne sono l’editore). Il 3 maggio 1999 riporta le impressioni avute durante il ritiro nel quale ha meditato sul padre francescano da poco beatificato: «Una vita straordinaria la sua per i doni di Dio: le stigmate e la conquista delle anime, ma anche per le durissime prove soprattutto da parte della Chiesa. Una vita semplice dal confessionale alla Santa Messa per altro eccezionale, al rosario, alle opere di misericordia: il grandissimo ospedale. Una vita ascetica tutta incentrata su Gesù Crocefisso che riviveva in sé». L’ammirazione va di pari passo con la costatazione che la santità così come vissuta da Padre Pio è per lei inimitabile. Avverte «una grande differenza fra Lui e me», che la lascia con un interrogativo.

A sera, in visita alla Madonna del Divino Amore, in preghiera di fronte al Santissimo Sacramento, avverte dentro di sé la risposta: «Non ricordi – mi parve di sentire in cuore – con quale forza t’ho messo in anima i primi tempi, che tu non devi imitare nessun santo perché Io avevo una via tutta particolare per te?». Comprende allora che «nemmeno i santi di oggi avrei dovuto imitare (pensavo finora, infatti, a quelli passati) e che avrei potuto cogliere le norme della mia santità nello Statuto e nei Regolamenti (la sua Regola). Lì era descritta la nostra via, la particolare volontà di Dio su di me, di noi. E tornò piena la pace». Il rapporto con Pio da Pietralcina la riporta alla via di santità tracciata da Dio per lei: ambedue chiamati alla santità, per  due vie diverse nella ricchezza dei doni dello Spirito. Il Diario precisa con chiarezza che, anche in tanta diversità, il rapporto con padre Pio l'ha arricchita, richiamandola all'esigenza di vivere il cammino di santità con la stessa radicalità vissuta da lui: «Non è tuttavia che aver vissuto un giorno con un Santo non abbia lasciato anche in me qualche segno. Soprattutto mi ha rimesso in cuore la radicalità con cui devo vivere la mia vocazione».

Mi ci rispecchio.

domenica 22 settembre 2024

La Manfredonia di sant'Eugenio

Manfredonia. Sabato. Sul mezzo del giorno. Città deserta. Non un negozio aperto. Per trovare un panino per il pranzo giriamo mezza città. “A pranzo la famiglia sta unita, stiamo tutti in casa, si pranza insieme. I negozi aprono alle 17.00”. A sera la città non si riconosce. Strade e piazze invase dalla folla. Bambini e ragazzi che giocano tra loro. Uomini, donne a passeggio o seduti sulle panchine. Di tutte le età. Vestiti a festa, anzi qualcuno sfoggia abiti da sera, elegantissimi. Conversazioni a tu per tu, a crocchi. Molti negozi per bambini, nessuno per cani. Di cani a guinzaglio neppure l’ombra. Non si vedono neppure cellulari e se qualcuno squilla, raramente, si sente rispondere: “Scusa sono con gli amici”. Si conversa con i vicini non con i lontani. Cose di un altro mondo, ossia cose di una Puglia di altri tempi che qui sono tempi di adesso.

Doveva essere diversa la Manfredonia di sant’Eugenio de Mazenod, se la definisce “città triste”. Forse non era così curata e bella come oggi, forse era molto più povera. O forse era triste il suo sguardo di ragazzo di 15 anni, dopo tanti giorni in giro per l’Adriatico su una barcaccia. Leggiamo il racconto del suo viaggio da Venezia a Manfredonia (il racconto è lunghissimo, con tutte le peripezie... Qui solo poche righe):

“Ci restava poco denaro dei diamanti che la mia buona madre ci aveva lasciato; bisognò dunque pensare al mezzo di trasporto più economico; il viaggio per terra sarebbe stato troppo caro: quindi non c'era che da fare il tragitto per mare. Ma quale vascello scegliemmo? Una malmessa 'manzera', così chiamata perché serve a trasportare buoi (manzi) dall'Istria e dalla Dalmazia a Venezia”. 

Navigarono per l'Adriatico fino a Manfredonia. Erano partiti da Venezia l'11 novembre 1797 e arrivarono a Manfredonia dopo quarantacinque giorni!!!

“Contenti di essere sfuggiti ai pirati algerini che infestavano questo mare, ringraziammo Dio di toccare terra… Restammo otto lunghi giorni in questa triste città. C'erano le feste di Natale. Mi ricordo che dopo la messa solenne di mezzanotte, si fa baciare a tutti un piccolo bambino Gesù: lo baciai come gli altri, non dirò con più devozione, ma con più rispetto, perché è una vera ressa… Passate le feste ci incamminammo verso Napoli passando per Foggia, Ariano ed Avellino... Ammirammo dappertutto, in questi paesi che attraversammo, la bellezza della vegetazione; la terra è coltivata fino alla cima delle più alte montagne. Arrivammo a Napoli alla sera del 1° gennaio 1798. Eravamo partiti da Venezia l'11 novembre. Terminammo dunque un viaggio di cinquantun giorni”.

Oggi sono stato all’antica chiesa di Siponto. Uno dei capolavori del romanico pugliese. L’apostolo Pietro, nel suo viaggio da Antiochia a Roma, è passato da qui.

San Lorenzo, un’altra chiesa d’inizio secondo millennio, anche questa, come quella di Siponto, solitaria nella campagna. Invita alla preghiera. Il suo portale racconta Vangelo, porta alla contemplazione.

Sembra d’essere fuori dal tempo, già un po’ nell’eternità.




sabato 21 settembre 2024

San Michele Arcangelo sul Gargano

 

Il Tavoliere delle Puglie, con i mandorli, gli olivi, il grano… Il grano è già stato tagliato da tempo, ma i ricordi delle cose imparate alle elementari rimangono impressi per sempre. Eccolo finalmente il Tavoliere… Oggi è terra di caporali e dello sfruttamento dei braccianti, ma è sempre luminoso e promettente.

Si erge poi il Gargano, che da questa parte è arido e pietroso, mentre dall’altra si apre alla Selva umbra. Saliamo su, fino alla sommità, 900 metri, mentre sotto si spalanca il golfo di Manfredonia.

Sono venuto per incontrare san Michele Arcangelo. Sapevo che il suo santuario era una grotta nascosta nella montagna, ma lo immaginavo solitario. Attorno, dall’anno 1000, è sorto un borgo medievale, sempre più grande, fino all’attuale città, con un magnifico castello piantato sulla rocca, con chiese che narrano tante storie… Oggi le case si arrampicano bianche su per le strade ripide, facendo largo a piccole piazze e aprendo squarci sul mare. Non immaginavo neppure tanta folla, gruppi e gruppi di pellegrini.

Scendi sempre più giù lungo le scale tra arcate antiche fino all’entrata della grotta, maestosa, solenne, tutta pietra viva. Immaginavo la solitudine e il silenzio. Invece una folla che prega, che canta. E lui lì, nella sua nicchia, con la spada in mano.

Non si sa bene quando, ma l’arcangelo Michele gettò sulla terra la sua spada, quella con la quale aveva scacciato il diavolo dal cielo, e tracciò una linea retta, che parte del nord dell’Irlanda e giunge fino al nord di Israele.

Lungo questa linea, la stessa che percorre il sole al tramonto durante il solstizio d’estate, sono collocati sette santuari dedicati all’Arcangelo. Sono stato nel primo nel 1998, assieme a Jonathan Cotton, un’esperienza straordinaria. Su quell’isola sperduta nell’oceano dell’Irlanda l’Arcangelo apparve a San Patrizio, per aiutarlo, nella sua missione di evangelizzazione. ora rimangono i ruderi fantastici dell’antico monastero.

A Mont Saint Michael sono stato il 28 maggio 2016, attraversando a piedi la laguna, con la bassa marea. Ho celebrato nella grande basilica, assieme ai monaci della Comunità di Gerusalemme…

Alla Sagra di san Michele, in val di Susa, sono stato il 16 agosto 2021.

Nell’ultimo luogo, al Monastero del Monte Carmelo, ad Haifa, sono stato con tutta la mia famiglia nel maggio 2011.

Ed eccomi finalmente a Monte sant’Angelo sul Gargano!


Era l’anno 492 dell’era cristiana quando Michele, l’Arcangelo, apparve al Vescovo dell’antica diocesi di Siponto, fondata dall’apostolo Pietro, rivelandogli di un luogo inaccessibile e misterioso che, per volontà di Dio, era stato designato a sua dimora terrena: “Io sono l’Arcangelo Michele… Questa è una dimora molto particolare poiché, dove si apre la caverna in tutta la sua ampiezza, proprio lì verranno sciolti i vincoli conseguenti ad ogni genere di peccato commesso.”

Da allora il pellegrinaggio è ininterrotto, dal primo papa Gelasio I, che nel 493 concesse l'indulgenza del «Perdono angelico», fino a Giovanni Paolo II e un’altra decina di papi. Per non parlare dei santi: San Bernardo, Guglielmo da Vercelli, San Tommaso d'Aquino, Santa Caterina da Siena, San Francesco d'Assisi (nel 1221, ritenendosi indegno di entrare nella grotta sacra, si sarebbe fermato all'ingresso, incidendo un segno di croce su una pietra); le sante Brigida e Caterina di Svezia, P. Pio naturalmente. 

Non ho proprio un buon rapporto con san Michele. Tante volte litigo con lui: Possibile che il diavolo sia più forte di te? Non vedi che vince sempre lui? Quante guerre, quante violenze… E tu che fai? Il tuo esercito sembra sempre perdente. Lui mi risponde calmo che le battaglie sono una cosa, la guerra un’altra: la guerra la vincerà lui.

Mi manca il San Michele in Cornovaglia (Gran Bretagna) e quello sull’isola di Symi in Grecia. Chissà…





venerdì 20 settembre 2024

Marcello Zago e le Storie cristiane dal Vaticano II

A cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, Mario Vergottini ci regalò uno splendido libro: Perle del Concilio. Dal tesoro del Vaticano II. Erano 365 frasi tratte dai documenti conciliari – delle autentiche perle – una per ogni giorno dell’anno, con il commento di autori di prestigio.

Adesso giunge in libreria un altro libro di cui è nuovamente il curatore: Sulle spalle di giganti. Storie cristiane dal Vaticano II, dell’editrice Vita e Pensiero.

Materialmente la continuità dei due volumi balza agli occhi dall’immagine di copertina: è la stessa per ambedue, un’illustrazione di Lello Scorzelli, Chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II (1965).

La vera continuità è data dal contenuto, il tema è sempre lo stesso, il Concilio. Con una grande differenza: il primo volume mette in luce l’insegnamento del Concilio, questo secondo la vita del Concilio. Sono i profili di una quarantina di testimoni che hanno contribuito a far nascere, crescere e fruttificare il Concilio. Da Giorgio La Pira, primo testimone, fino a Cataldo Naro, teologo a pastore, passando attraverso altre figure notissime e meno note, come Lazzati, Carretto, Dossetti, Mario Luzzi, Aldo Moro, Luigi Bettazzi, Vittorio Bachelet, Tina Anselmi, Ermanno Olmi, Pino Puglisi…

Tra loro c’è posto anche per p. Marcello Zago! Di lui Andrea Riccardi, che lo ha conosciuto personalmente e con il quale ha collaborato, ha scritto: «Marcello Zago è stato una grande personalità della Chiesa nella seconda metà del Novecento. È una affermazione che può sembrare esagerata, perché questa figura di religioso e di vescovo non ha mai occupato la scena né è mai comparsa sui giornali o nei dibattiti. Eppure mons. Zago ha incarnato i grandi problemi del cattolicesimo sugli scenari del mondo: la missione del Vangelo e il dialogo con le religioni».

giovedì 19 settembre 2024

Il velo della Madonna

 

Nella mia ultima visita ad Assisi sono stato colpito da un grande bassorilievo in bronzo nel braccio sinistro della Basilica inferiore. Ho domandato cosa custodisse: “Il velo della Madonna”. Il velo della Madonna? Va bene la cintura, ma il velo?

Quando i Re Magi portarono i doni a Gesù Bambino, oltre a oro incenso e mirra, portarono anche un velo di bisso (una sorta di seta maturale marina…). L’aveva dato al principe Tommaso Orsini il Pascià di Damasco, suo prigioniero di guerra al tempo delle Crociate, il quale l’aveva tolto da una chiesa di Gerusalemme. Tommaso Orsini lo donò alla Basilica di san Francesco nel 1319. (La cintura Michele la portò a Prato nel 1141!)

Ma sarà proprio il velo della Madonna? Se lo domandò anche san Giuseppe da Copertino vissuto tanti anni in quel convento. Anzi, lui che poteva, in una delle sue estasi abituali lo chiesto alla stessa interessata, che gli rispose: “Credimi, figlio, quello è il mio velo, e mi servì per avvolgere il Bambino Gesù”.

Quando sono stato nella Cappella Baglioni a Spello ho visto che il Pinturicchio ha adagiato Gesù Bambino su… un velo di bisso, sorretto da un angelo! Un richiamo a quello di Assisi?



 

mercoledì 18 settembre 2024

Emmanuel ‘Mabathoana: con tutti

Il 19 settembre 1966 l’arcivescovo Emmanuel ‘Mabathoana moriva in aereo, per un attacco cardiaco, mentre stava raggiungendo la Conferenza dei vescovi del Sud Africa a Pretoria. Discendente del famoso Moshesh, l’uomo leader del Basutoland, oggi Lesotho, che accolse Padre Gerard e gli Oblati e aprì il Paese al cristianesimo, Emmanule ‘Mabathoana è il primo Oblato Mosotho e il primo vescovo autoctono del Lesotho. Le 1° settembre 1964, nel momento di massima tensione per il dibattito sull’indipendenza del Paese, inviò una lettera ai sacerdoti, ai fratelli e alle suore chiedendo di rimanere al di sopra delle parti:

Possiamo dire che, nonostante la nostra condanna di atteggiamenti e modi sbagliati di agire, amiamo veramente ognuno dei politici, cercando di indurli ad amare il prossimo come Dio l’ama? Noi siamo apprezzati, siamo voluti, diventiamo parte essenziale della struttura sociale quando diventiamo simili a Cristo, servitori della comunità, affinché possano capire quanto Dio li ama. Se sapessero quanto sono amati da Dio, potrebbero diventare uno come il Padre e il Figlio sono uno. Lasciamo ai politici il loro lavoro necessario, restando fuori da ogni fedeltà politica, insegnando a tutti a lavorare, non PER il proprio Partito, ma CON il Partito, per la comunità, la sua pace, il suo sostegno e la sua serenità. Per essere efficaci, però, dobbiamo rimanere in contatto con tutti… Chiunque viene in contattato con noi, dovrebbe partire con un rinnovato senso della sua missione e un nuovo amore per i poveri e per coloro che non conoscono. Agiamo in modo che ogni Mosotho, a prescindere dalla sua fede, possa dire di ciascuno di noi: “Sono padri, sorelle, fratelli, non solo di nome, ma di fatto, perché amano veramente il nostro Paese”.

 

martedì 17 settembre 2024

Tutti i veri cristiani degli stigmatizzati

800 anni da quando Francesco diventò così simile a Gesù da avere impresso nella sua carne i chiodi della sua crocifissione. Ho rivissuto questo anniversario con le Clarisse di Albano, eredi di Francesco e ho riletto con loro un breve scritto di Chiara Lubich dopo che ebbe visitato quel luogo nel 1966: «Tempo fa sono stata alla Verna. Vi ho meditato l’eccezionale dono delle stigmate che Dio ha fatto a Francesco, a suggello della sua imitazione di Cristo, del suo essere cristiano. Ho pensato che tutti i veri cristiani dovrebbero essere degli stigmatizzati, non già nel senso straordinario ed esterno, ma spirituale. E mi è parso di capire che le stigmate del cristiano dei nostri giorni sono appunto le misteriose ma reali piaghe della Chiesa di oggi. Se la carità di Cristo non è così dilatata da provare in noi il dolore di queste piaghe, non siamo come Dio oggi ci vuole. In questo tempo non è sufficiente una santità solo individuale, e nemmeno una comunitaria, ma chiusa. Occorre sentire in noi i sentimenti di dolore e anche di gioia che Cristo nella sua Sposa oggi sente. Occorre santificarci Chiesa».



lunedì 16 settembre 2024

Era il 17 settembre 1948

Ecco finalmente cosa ho scritto questa sera nel diario. Mi sono bastate poche parole: «Stamani a Montecitorio sono stato chiamato da angeli. (Sono tre religiosi e due terziari, tutti francescani). Tra essi c’era una “giovanetta” che stava iniziando un movimento comunitario a Trento; parlava come un’anima ispirata dallo Spirito Santo».

C’era un timbro inusitato in quella voce: il timbro d’una convinzione profonda e sicura che nasceva da un sentimento soprannaturale. Perciò, di colpo la mia curiosità si è svegliata e un fuoco dentro ha preso a vampare.

Quando, dopo mezz’ora, ebbe finito di parlare, sono stato preso in un’atmosfera incantata, come in un nimbo di luce e di felicità: avrei desiderato che quella voce continuasse. Era la voce che, senza rendermene conto, avevo atteso, da tanto tempo. Essa mette la santità a portata di tutti; toglie via i cancelli che separano il mondo laicale dalla vita mistica. Mette in piazza i tesori d’un castello a cui solo pochi erano ammessi. Avvicina Dio: lo fa sentire Padre, fratello, amico, presente all’umanità.

Ho riconosciuto in quella esperienza l’attuazione del desiderio struggente di san Giovanni Crisostomo: che i laici vivessero a mo’ di monaci, con in meno il celibato.

Una vita interiore, che esce dai ridotti delle case religiose, da certo esclusivismo di ceti privilegiati, si dilata nelle piazze, nelle officine e negli uffici, nelle case e nei campi, poiché dappertutto, incontrando uomini, s’incontrano candidati alla perfezione.

L’avevo coltivato tanto, dentro di me, quel desiderio. L’idea di Dio questa mattina ha ceduto il posto all’amore di Dio, l’immagine ideale al Dio vivo. 

Se esamino il fatto criticamente, trovo che non ho scoperto nulla di nuovo: eppure tutto nuovo: gli elementi della mia formazione culturale e spirituale vengono a disporsi secondo il disegno di Dio. Si mettono al loro giusto posto.

Questa mattina tutto san Francesco, con tutti i rami della sua opera, è venuto a trovarmi in Parlamento. Non è un caso che oggi sia la festa delle stimmate. In questa giovane donna che lui mi ha mandato, mi è sembrato di vedere la luce di Chiara d’Assisi.

È una pagina del reading che ho scritto questa estate sull’incontro avvenuto a Montecitorio, nel giorno delle stigmate di san Francesco del 1948, tra Igino Giordani e Chiara Lubich. Lo abbiamo rappresentato a Falcade in luglio, non causalmente con un gruppo dell’Umbria! È bello rileggere quell’evento a 800 anni dalle stigmate di San Francesco. Fu un caso che quell’incontro in parlamento avvenisse proprio il giorno delle stigmate?

 

domenica 15 settembre 2024

La mia giornata

 

L’aurora dischiude il giorno
domenicale
in un silenzio di colori
pregno di promesse.

La sera il cielo
pacato
ne raccoglie fecondi
i frutti.