“Sapevo che ero amato da Dio. In questi
giorni l’ho sperimentato!”. Così uno di quelli che stanno seguendo il ritiro
qui al Celio. “Tutto mi ha portato a fare questa esperienza, le catechesi, la
preghiera… All’inizio sono rimasto un po’ sconcertato vedendo che il programma
prevedeva un momento di condivisione, inusuale durante gli esercizi. Invece è
stato utilissimo…”.
Proseguiamo con la contemplazione del Chiesa
del cenacolo:
La Chiesa del cenacolo è il luogo
permanente della presenza del Signore risorto, dove lo si può incontrare, riconoscere
nella fede, sperimentare e proclamare “Signore mio, Dio mio” in una benedizione
e lode perenni. Un’esperienza che non può essere taciuta, ma che domanda di
essere condivisa con tutti. La Chiesa è una Persona, quella di Cristo presente tra i suoi, fatti lui da
questa presenza.
La Chiesa del
cenacolo è mariana. La presenza nel suo seno della Madre del Signore è segno
della piena accoglienza del dono di Dio, della Parola e dell’Eucaristia.
Assicura il primato dell’ascolto, del carisma, del sacerdozio regale, della
laicità del popolo di Dio, della sua essenziale componente femminile.
La Chiesa del
cenacolo è carismatica, avvolta dal fuoco dello Spirito Santo. Niente meglio
della Lumen gentium n. 4 ha saputo
sintetizzare la presenza e l’opera dello Spirito nella Chiesa: egli inabita in essa e nel
cuore dei fedeli «come in un tempio (cf. 1
Cor 3, 16; 6, 19), in essi prega e attesta la loro condizione di figli
adottivi (cf. Gal 4, 6; Rm 8, 15-16 e 26). Egli guida la Chiesa
verso la verità tutta intera (cf. Gv 16,
13), la unifica nella comunione e nel servizio, la costruisce e la dirige mediante
i diversi doni gerarchici e carismatici, e la arricchisce dei suoi frutti (cf. Ef 4, 11-12; 1 Cor 12, 4; Gal 5, 22).
Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, la rinnova continuamente e
la conduce all’unione perfetta col suo Sposo. Infatti lo Spirito e la Sposa
dicono al Signore Gesù: Vieni! (cf. Ap 22,
17)».
La
Chiesa del cenacolo è una famiglia, con un solo cuore e una sola anima, unita
attorno alla mensa della parola e dell’Eucaristia, pronta alla condivisione dell’esperienza
di fede e di beni materiali. Una famiglia che mantiene rapporti veri e semplici
tra tutti i suoi membri, come quella che si viveva nelle case di Giovanna madre
di Marco, a Gerusalemme, di Aquila e Priscilla a Corinto e a Roma, dove c’era anche
la comunità che si riuniva nella casa di Narciso, di Filòlogo e Giulia, Nereo e
Olimpias.
La
Chiesa del cenacolo deve continuare a essere una famiglia, che sa accogliere
sempre nuovi membri provenienti da culture e nazioni diverse, aperta alla
diversità dei riti e delle espressioni popolari e colte. Una famiglia
“cattolica”, che valorizza le tradizioni del passato senza imporle, rimanendo
aperta al nuovo, credendo nella ricchezza della pluralità.
La
Chiesa del cenacolo è obbediente al comando di andare e di condividere
l’esperienza del Signore Risorto, fiduciosa non nelle proprie risorse, ma nella
grazia. È “Chiesa in uscita”.
In
quest’ora in cui la Chiesa sta perdendo credibilità e sembra soccombere sotto
il peso degli scandali, quando il Papa, suo segno visibile di unità, viene
criticato e rifiutato, la tentazione è la stessa degli apostoli: rinnegare e
fuggire. Chiesa in uscita è condividere l’umiliazione di Cristo, la sua
angoscia nel vedersi tradito, rifiutato, abbandonato. «Volete andarvene anche
voi?», sembra ripetere Gesù (Gv 6,
67). Chiesa in uscita è far proprio l’invito della Lettera agli Ebrei: «Usciamo dunque
verso di lui fuori dell'accampamento, portando il suo disonore» (Eb 13, 13).
«Nata dal sangue di un
Dio che muore sulla croce – scriveva sant’Eugenio de Mazenod ai suoi fedeli di
Marsiglia –, [la Chiesa] avrà un’esistenza conforme alla sua origine e sempre, tanto
sotto la porpora come nelle galere, porterà la croce dolorosa, dove è sospesa
la salvezza del mondo. Indissolubilmente unita a Gesù Cristo, calunniato,
perseguitato, condannato dagli ingrati che voleva salvare, camminerà con
costanza sino alla fine dei secoli nella via delle sue sofferenze e in
un’unione ineffabile che l’inferno fremente di rabbia proverà incessantemente a
turbare; dovrà sempre lottare, come il suo sposo divino che è anche il suo
eterno modello, contro tutti gli errori e tutte le passioni scongiurate, e
sostenere i diritti eterni di Dio, che sono la verità e la giustizia» (Lettera pastorale, 19 gennaio 1845).
Al
termine della vita, nella sua ultima Lettera
pastorale del 16 febbraio 1860, sant’Eugenio cantava il suo inno d’amore a
Cristo e alla Chiesa, indissolubilmente compenetrati l’uno nell’altro: «Come è
possibile separare il nostro amore per Gesù Cristo da quello per la sua Chiesa?
Questi due amori si confondono: amare la Chiesa è amare Gesù Cristo e
viceversa. Si ama Gesù Cristo nella Chiesa perché essa è la sua sposa
immacolata uscita dal costato aperto sulla croce, come Eva è uscita dal primo
Adamo».