Il corso sui Fondatori a Roma si è concluso a San Pantaleo con San Giuseppe Calasanzio (1556-1648). Con l’eccellente guida
di p. Angel Ayala abbiamo visitato il palazzo della
famiglia Torres (sorto sulle rovine dell’odeon di Domiziano), dove è nata la
Famiglia delle Scuole Pie, la stanza
di san Giuseppe Calasanzio, la cappella delle origini, la chiesa e il museo di
San Pantaleo. La stanza, ancora intatta,
contiene
oggetti e suppellettili appartenuti al santo: il letto, la poltrona, il tavolino,
l’inginocchiatoio, la sedia e i sandali... Nei grandi armadi settecenteschi
sono custoditi altri oggetti. Persino il pavimento di mattoni è quello
originale, così le pareti, così le porte e le finestre. Vi è, poi, la sala
detta “delle reliquie”.
Compiuti i primi studi in patria, fu ordinato sacerdote nel 1583. Giunse
a Roma nel 1592. Conduceva una vita molto riservata, dedito
alla preghiera e alle penitenze. Alle prime luci del giorno si metteva in
cammino per visitare
una delle basiliche romane; poi andava ad assistere gli
ammalati come infermiere negli ospedali e visitava i carcerati. Si sentiva
attratto verso gli ultimi: servirli era come stare in adorazione davanti al
Santissimo Sacramento.
Passando però per le vie di Trastevere scopriva che, come in
tutte le grandi città, c’erano molti ragazzi abbandonati a se stessi e
destinati presto o tardi alla malavita. Davanti a queste scene che
quotidianamente si ripresentavano ai suoi occhi, Giuseppe incontrò la propria
vocazione: una voce interiore gli chiedeva di farsi padre dei ragazzi di
strada. Nel settembre del 1597 mise su una scuola gratuita per i ragazzi
poveri, la prima in Europa. Solo i figli dei ricchi a quel tempo avevano
accesso all’istruzione; gli altri erano condannati all’analfabetismo. La sua
iniziativa suscitò ammirazione in alcuni, stupore in molti, sarcasmo e ostilità
in altri. Uno dei timori era che istruendo i poveri venisse poi a mancare la
manodopera per i lavori umili.
Inizia
in due povere stanze attigue alla sacrestia di s.
Dorotea
nel quartiere di Trastevere. Chiama le sue scuole “pie”, ossia gratuite: autentiche
scuole con istruzione scientifica, letteraria, religiosa; puntualità di orari,
serietà d'esami…
Aumentando
il numero dei ragazzi deve trasferirsi prima presso s. Andrea della Valle, poi
presso S. Pantaleone, dove trova la dimora definitiva.
Il concilio di Trento aveva indicato nell’istruzione
religiosa dei ragazzi un mezzo prezioso per il rinnovamento della società e
dappertutto nelle parrocchie, nelle confraternite e negli oratori erano sorte
scuole domenicali di catechismo.
Giuseppe ebbe una visione più ampia delle direttive
conciliari, guardando alla formazione integrale dell’uomo e non solo
all’insegnamento religioso. Nelle sue scuole si usava la lingua italiana, in
modo che tutti potessero capire; poi non si davano solo nozioni astratte, ma si
preparavano i ragazzi all’esercizio di un mestiere; e quelli di loro che
rivelavano spiccate qualità per gli studi venivano accompagnati e assistiti
anche economicamente per seguire le scuole superiori e anche l’università;
infine l’insegnamento religioso doveva essere trasmesso dai maestri non tanto a
parole ma con l’esempio.
Volle che al centro della scuola ci fosse sempre la cappella
con la presenza eucaristica, perché risultasse chiaro, anche visibilmente, che
il vero maestro di tutti, professori, collaboratori e alunni, era il Cristo.
Per questo, cosa unica a quel tempo, faceva leggere il vangelo in italiano e lo
commentava con la vita dei santi attraverso letture e rappresentazioni
teatrali. Egli puntava sulla parola di Dio per educare i ragazzi, mostrando
loro il volto amoroso del Padre in un tempo in cui era ancora forte un’immagine
autoritaria di Dio.
Attorno al Calasanzio si strinsero altri collaboratori,
sacerdoti e laici, che si costituirono in congregazione religiosa col nome di Congregazione
Paolina dei Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie. Il popolo
semplificò il nome chiamandoli scolopi. Gregorio XV elevò la
congregazione a Ordine regolare con voti solenni e nel 1622 Giuseppe fu
eletto superiore a vita. Ai tre voti tradizionali essi ne aggiunsero un quarto,
quello di consacrarsi all’istruzione dei giovani, specialmente dei più poveri.
Le Scuole Pie divennero numerose non solo a Roma, ma anche in varie città
d’Italia, Germania, Boemia, Moravia e Polonia. Mentre i gesuiti penetravano
nelle università ed evangelizzavano il mondo della cultura, gli scolopi
istruivano ed evangelizzavano il mondo dei poveri.
«È missione nobilissima – scriveva ai suoi discepoli – e
fonte di grandi meriti quella di dedicarsi all’educazione dei fanciulli,
specialmente poveri, per aiutarli a conseguire la vita eterna. Chi si fa loro
maestro e, attraverso la formazione intellettuale, s’impegna a educarli,
soprattutto nella fede e nella pietà, compie in qualche modo verso i fanciulli
l’ufficio stesso del loro angelo custode, ed è altamente benemerito del loro
sviluppo umano e cristiano».
La grande e improvvisa espansione dell’Ordine e le impellenti
richieste che venivano da ogni parte non permisero al fondatore di dedicare
molto tempo alla formazione dei membri. Alcuni di essi lo accusarono al
Sant’Ufficio di favoreggiare Galileo e di aver nascosto documenti
compromettenti. L’amicizia e la stima che egli aveva del grande scienziato e la
sua apertura alle nuove conquiste della scienza furono interpretate come
disobbedienza alle direttive della Santa Sede. Per questo fu tratto in arresto,
anche se per breve tempo, e poi destituito dal suo incarico di superiore
generale ed espulso dall’Ordine, che per decreto papale nel 1646 venne
declassato a semplice confraternita senza il vincolo dei voti.
Scompariva così nel nulla la sua
creatura tanto amata. Molti religiosi l’abbandonarono e solo pochissimi gli
rimasero fedeli. Fu la sua notte oscura, che egli sopportò con una fede
incrollabile. A chi gli faceva notare le ingiustizie subite e lo invitava a
difendersi amava ripetere: «Sarebbe follia preoccuparsi delle cause seconde,
che sono gli uomini, e non vedere la causa prima, cioè Dio, che invia questi
uomini per il nostro maggior bene».
Dopo pochi anni, nel 1656, la riabilitazione della sua opera.
Egli era già morto, il 25 agosto del 1648, all’età di 92 anni.
Cento anni dopo veniva elevato agli onori degli altari.