La strada richiama quelle alberate del Veneto. Soltanto che i grandi alberi che ombreggiano il cammino e formano lunghe gallerie di verde sono manghi. Ognuno porta scolpito nella corteggia un numero progressivo. Durante il tempo della raccolta i comuni li cedono a chi ne fa richiesta, dietro un modico compenso, perché ne raccolgano i frutti: niente va perduto. Ogni tanto si vedono i contadini che stendono la paglia di riso sulla strada; dopo averlo battuto, lasciano che vi passino sopra le macchine, i camion, le autobus in modo che vengano fuori gli ultimi grani rimasti… Ci inoltriamo tra le risaie silenziose, inondate d’acqua, fino alla casa di Joseph Samarakone. Sulla porta sono scolpiti i segni delle otto principali religioni. Entro nella stanza dove il guru mi aspetta, seduto al suo tavolo, capelli e barba lunghi e bianchissimi, ammantato come usano i saggi hindu.
Sono nell’Ashram oblata dell’India, la Aanmodaya Ashram. L’ashram è il luogo dove vive il sapiente con i suoi discepoli e dove egli insegna. Aanman significa l’anima, l’io e Udhayam risveglio: la Aanmodaya Ashram è il luogo del risveglio dell’anima, del risveglio di Dio che è in noi, quasi, mi spiega Padre Jeseph, “un grembo materno del Divino da cui rinasce costantemente la vita nuova”. Col Padre in questi giorni vive uno dei giovani Oblati in formazione.
Tutto iniziò il 17 febbraio 1992, per una scelta degli Oblati indiani: volevano un luogo dove si potesse vivere a fondo la spiritualità oblata nello stile tipico della loro cultura. Affidarono gli inizi ad uno dei tre primi Oblati indiani, Amalraj Jesudass. Subito dopo venne con lui padre Joseph Samarakone, originario dello Sri Lanka. Dopo due anni che stavano insieme padre Analraj morì in un incidente.
“Non è lo stesso Dio quello che tutti preghiamo, anche se con nome diversi?”, mi ricorda Padre Joseph, e mi cita Benedetto XVI in preghiera nella moschea in Turchia, quando disse che Cristiani e Musulmani adoriamo lo stesso Dio. Ma Padre Joseph aggiunge: “Mi sarebbe piaciuto che avesse detto che tutte le religioni, non soltanto cristiani e musulmani, adorano lo stesso Dio”.
Mi recita, in sancrito, la Rig Veda, la scrittura sacra indiana di 3500 anni fa: “Dio è UNO, ma i sapienti parlano di lui in molti modi”. Poi il santo hindu Manikavasagar, che nel Thiruvasgam cantava: “Ti saluto Shiva, che hai preso il popolo delle Terre del Sud per tuo speciale possesso. Tu sei lo stesso Uno che tutte le nazioni della terra adorano come Dio. Ti saluto!”
Suo cavallo di battaglia è il documento conciliare Nostra Aetate e il documento pontificio sull’Atteggiamento della Chiesa davanti ai seguaci delle altre religioni.
Usciamo di casa e andiamo nel tempio dove ogni giorno si svolge la meditazione e la preghiera. Da una parte il santissimo Sacramento, dall’altra la Bibbia, accompagnata da Scritture di altre tradizioni religiose. Iniziamo la preghiera: canta gli inni sacri al suono ritmato dei campanellini, poi legge e commenta alcuni passi della Bibbia, del Corano, della Gita. Infine la lode e l’adorazione con incensi, fiammelle… È la preghiera di un cristiano, espressa con le modalità tipiche del popolo indiano.
Fuori, tra le palme di cocco, le casette per l’ospitalità, dove tanti vengono per la preghiera o per un periodo di scuola di meditazione profonda, l’inculturazione l’amore per tutte le religioni, con uno stile di vita estremamente semplicità. Tutti i giovani Oblati vi svolgono un periodo della loro formazione, così come tanti seminaristi, religiosi, suore, sacerdoti. Anche questo nel servizio che gli Oblati rendono alla Chiesa!