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Con alcuni “colleghi” rabbini |
Un’altra giornata intensa. Sembra quasi superfluo parlare di dialogo tra di noi, tanto profonda è l’unità raggiunta. Quando i rabbini parlano si sente tutta la sapienza di secoli.
José Damian mi ha scritto dalla Spagna: “Santa Teresa era ebrea di razza, per questo, tra l'altro, amava tanto la Sacra Scrittura. Anche Edith Stein, che lo fu pure di religione fino alla sua conversione. Conoscendo Gesù non è che abbia rinunciato alla sua tradizione, e ha cominciato a andare con la mamma alla sinagoga. Soltanto che voleva che tutti i suoi conoscessero pure Gesù, e per questo offrì la propria vita. In questo fu un po' come Paolo, e anche come Gesù stesso”. Poi continua: “La GMG è finita. Noi abbiamo avuto per tre giorni le reliquie di santa Teresa di Lisieux. I giovani lasciavano dei piccoli messaggi. Quasi 4000 al giorno”.
Domani dovrò parlare di Gesù come modello del dialogo. Lo farò da credente, consapevole che mi rivolgerò a ebrei. Con semplicità parlerò di lui come Figlio di Dio…. Non per imporre un credo, ma per onestà personale. So bene che il nostro non è l’unico modo per comprendere la persona di Gesù, e quanto può aiutare noi cristiani la lettura ebraica di Gesù, come già hanno fatto in questi ultimi decenni Samuel Sandmel, David Flusser, Geza Vermes, Harvey Falk, Jacod Neusner e tanti altri autori ebrei. Vale anche per la comprensione di Gesù quello che Alan F. Segal afferma in generale del cristianesimo e del giudaismo: “non possono essere compresi pienamente in isolamento l'uno dall'altro. La testimonianza dell'uno è necessaria per dimostrare la verità dell'altro e viceversa”. Gesù di Nazareth appartiene a ebrei e cristiani.
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Non mancano
i momenti artistici |
Egli aveva una missione da compiere, riportare l’umanità al suo disegno originario di comunione e di unità. Disegno compromesso dal peccato che ha frantumato ogni tipo di rapporto: tra il genere umano e Dio, tra l'uomo e la donna, tra fratello e fratello, tra i popoli, tra l'umanità e il creato…
Per compiere questa sua missione ha scelto una strada impervia: la stoltezza e lo scandalo della croce. Con la sua morte sul legno ha riconciliato cielo e terra e ha distrutto il muro di separazione tra giudei e gentili – simbolo di ogni separazione –, riconciliando tutti nell'unità (cfr. Ef 2, 14-16). L’angelo dell’Apocalisse può adesso segnare con il sigillo di Dio, che è ormai il Tau del Crocifisso, le dodici tribù di Israele e la “moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap 7,9). Non più divisioni, ma unità nella ricchezza della molteplicità.
Non a caso il Crocifisso è diventato l’emblema del cristianesimo, anche se nei primi secoli non si osava rappresentarlo, tanto era traumatico questo tremendo supplizio inflitto dai Romani. Più ancora era sconvolgente pensare che il Messia si fosse addossato la maledizione lanciata dal Deuteronomio contro chi pende dalla croce (Deut 21, 23; Gal 3, 13).
Il primo punto del mio discorso sarà: Il Crocifisso icona dell’amore estremo.
L’amore più grande, ha detto Gesù, è quello che arriva a dare la vita per gli amici (Gv 15, 13).
Grazie a questo amore estremo ogni persona gli diventa amica. Chiama amico anche Giuda che lo tradisce. Dà la vita anche per coloro che gli sono nemici, i crocifissori, per i quali chiede il perdono scusandoli, “perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34).
È lo sguardo nuovo chiesto a chiunque è chiamato a costruire la fratellanza universale: vedere in tutti dei fratelli e delle sorelle per i quali essere pronto a dare la vita, trasformare ogni persona con la quale si entra in contatto in un amico, in un’amica.
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Uno dei momenti più belli:
l’esperienza di giovani ebrei e cristiani. Credono nell’unità. C’è speranza!!! |
Chiara Lubich ha tradotto questo amore estremo di Gesù con un’espressione semplice ed esigente: “farsi uno” con l’altro, ossia capire l’altro fino in fondo, entrare nel suo mondo, condividere i suoi sentimenti, fino a “vivere l’altro”. È la premessa per ogni dialogo.
Il suo amore lo porta ad assumere tutto della nostra umanità, e così a dar senso a tutto, a tutto redimere.
La stessa via d’amore è chiesta a chi vuole costruire l’unità.
“Occorre essere assolutamente poveri di mente – ci ha insegnato Chiara –, di cuore, di volontà, occorre essere ‘nulla’ come Gesù abbandonato per poter farci uno con gli altri, per poter ‘vivere gli altri’, sì da non essere noi a vivere, ma essere amore”.
In maniera concreta e pedagogica continua: “Siamo incapaci di farci uno perché il nostro cuore è già occupato dalle nostre preoccupazioni, dai nostri dolori, dalle nostre cose, dai nostri programmi. Come possiamo allora farci uno, e come le preoccupazioni, i dolori, le ansie del fratello possono entrare in noi? È proprio necessario tagliare o posporre tutto quanto riempie la nostra mente e il nostro cuore per farci uno con gli altri”.
Chiara ha applicato questo suo insegnamento nel campo del dialogo interreligioso, ponendosi in atteggiamento di ascolto dei membri delle differenti religioni, così da comprenderli dal di dentro della loro cultura.