«O Leone XII! (…) sarete considerato sempre da noi un benefattore e il padre della nostra Società». Così scriveva sant’Eugenio de Mazenod il 22 dicembre 1825, al termine di un’udienza avuta con il Papa.
Agli Oblato il nome “Leone” è particolarmente caro: è il nome del Papa che ha approvato la nostra Famiglia religiosa: «il padre di famiglia ha voluto spalancare [agli Oblati] le porte della S. Chiesa» (25 marzo 1826).
Nella sua prima enciclica, il 5 maggio 1824, papa Leone XII , prendendo a prestito le parole del grande Leone, il “Magno”, confidava: «Non appena fummo innalzati all’alta dignità del Pontificato, cominciammo subito ad esclamare con San Leone Magno: “Signore, udii la tua voce ed ebbi paura; considerai l’opera tua, e fui colto da spavento. Che cosa, infatti, vi può essere di più straordinario e di più temibile del lavoro per chi è debole, dell’innalzamento per chi si trova in basso, della dignità per chi non la merita? Ciò nonostante, non ci disperiamo, né ci scoraggiamo, perché non presumiamo di noi stessi, ma di Colui che opera in noi”». Quel grande Pontefice, continua Leone XII, diceva così per modestia, invece «Noi, in omaggio alla verità, diciamo ciò e lo confermiamo».
Quanto si sentisse piccolo davanti al suo “Magno
predecessore”, l’ha detto con i fatti, facendosi costruire la tomba nella basilica in san Pietro proprio davanti a quella di Leone Magno: la tomba di Leone XII è un semplice tondo
di marmo sul pavimento, davanti alla solenne tomba di san Leone Magno, di cui
si compiaceva di portare il nome.
E Leone XIV?
Ancora non lo conosciamo. Quello che sappiamo è che sant’Eugenio voleva che gli Oblati
fossero “gli uomini del Papa” (11 luglio 1852), comunque egli si chiami. «Per noi – scriveva l’11
settembre 1832 – prima ancora che il Capo della Chiesa si pronunzi
dogmaticamente in una costituzione apostolica ex cathedra, la sua opinione come dottore di quella Chiesa che con
le sue decisioni ordinarie insegna su tutti i punti della morale o del doma, è
la più grande e la prima autorità sulla terra alla quale noi aderiamo col cuore
e con la mente, senza aspettare le promulgazioni solenni che tante circostanze
ritardano o perfino impediscono. Lo ripeto a voi, miei cari figliuoli: questi
principi siano norma abituale della vostra condotta e trasmetteteli a quelli
che verranno dopo come l’avete ricevuti da me».
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