Convegno all’Università
Antonianum, con la partecipazione dell’Università Salesiana, Claretianum, Seraphicum,
l’Auxilium, l’Istituto universitario Sophia.
https://www.youtube.com/watch?v=rDA7Rk6zXDY
Nelle conclusioni che
ho dovuto trarre dopo una giornata ricca di interventi mi sono mosso tra le due
parole del sottotitolo e che si richiamano l’un l’altra: carisma – e ne ho
parlato avendo presente l’università a cui esso dà vita – e università –
espressione del carisma.
Prima mi sono
soffermato sulla prima parola che ha dato il titolo al convegno: Gioia! Questa
giornata mi ha dato gioia! Mi viene da esclamare: “Che cosa bella!”. E per
spiegare questo mio sentimento ho riferito un pensiero di papa Francesco.
In una delle prime catechesi
dedicata alla Chiesa, il 1° ottobre 2014, papa Francesco parlando dei carismi poneva
una domanda a prima vista imbarazzante: «Il fatto che nella Chiesa ci sia una
diversità e una molteplicità di carismi, va visto in senso positivo, come una
cosa bella, oppure come un problema?».
Dietro il pensiero
del Papa vi è il passaggio da una Chiesa a modello della sfera a una Chiesa a
modello del poliedro.
«L’esperienza più
bella – continua Francesco – è scoprire di quanti carismi diversi e di quanti
doni del suo Spirito il Padre ricolma la sua Chiesa! Questo non deve essere
visto come un motivo di confusione, di disagio: sono tutti regali che Dio fa
alla comunità cristiana, perché possa crescere armoniosa, nella fede e nel suo
amore, come un corpo solo, il corpo di Cristo. Lo stesso Spirito che dà questa
differenza di carismi, fa l’unità della Chiesa. È sempre lo stesso Spirito. Di
fronte a questa molteplicità di carismi, quindi, il nostro cuore si deve aprire
alla gioia e dobbiamo pensare: “Che bella cosa! Tanti doni diversi, perché
siamo tutti figli di Dio, e tutti amati in modo unico”. […] Questa è la
Chiesa!».
Potremmo parafrasare queste
parole del Papa e chiederci: la molteplicità delle istituzioni accademiche va
vista in senso positivo, come una cosa bella, oppure come un problema?
Perché tante
università? Non sarebbe meglio unificare? Ci sarebbero tanti vantaggi,
economici, di personale, di incidenza culturale…
È la stessa questione
che si pone ciclicamente riguarda alla molteplicità degli istituti di vita
consacrata, sia da parte degli stati e sia della stessa istituzione ecclesiale,
come i Concili.
Di fronte alla
molteplicità dei carismi e delle istituzioni accademiche il nostro cuore –
dovremmo dire parafrasando papa Francesco – «si deve aprire alla gioia e
dobbiamo pensare: “Che bella cosa!”».
Ogni carisma è un
volto della verità ed ha quindi l’esigenza e il dovere di esplicitare la sua
specifica comprensione del Vangelo anche in forma dottrinale. Il carisma ha una
comprensione sapienziale della verità, una particolare sensibilità nei modi di
approccio alla verità e questo dà un determinato stile all’insegnamento. Era
evidente nelle presentazioni: parla l’Antonianum, il Seraphicum e si odono
parole come esperienza sapienziale, fraternità, minorità; parlano i Salesiani
ed ecco parole come pedagogia, educazione, metodo preventivo; parlano i
Focolarini ed ecco cultura dell’unità, laboratorio di sperimentazione di
comunione…
Ma la verità è sempre
sinfonica, plurale e nessun carisma da solo può abbracciarla in tutta la sua
ricchezza. Soltanto insieme possiamo camminare verso la pienezza della verità.
È vero che nel
frammento c’è il tutto – per ricordare l’assioma di von Balthasar. Questa
affermazione – il tutto nel frammento – è vera: ogni carisma e ogni istituzione
accademica che esso esprime ha una sua completezza, una sua pienezza. Nello
stesso tempo il frammento vive nella comunione e della comunione, della
condivisione del dare e del ricevere.
Tutti i carismi e le
università, convergono – uni-vergere, uni-versitas, ricordava p. Wodka questa
mattina – verso la verità tutta intera, che raggiungeremo soltanto insieme.
Dietro vi una verità o almeno una convinzione: tutte le parole evangeliche sono
dirette e convengono verso l’adempimento della preghiera di Gesù: “Che tutti
siano una cosa sola”, è questo l’uni-vergere, l’uni-versitas.
La collaborazione tra
università che nascono da carismi, è una concreta espressione della comunione
tra carismi, ed è una straordinaria manifestazione del cammino sinodale della
Chiesa, come ha evidenziato il cardinale de Aviz nel suo indirizzo iniziale di
questa mattina.
È una risposta all’invito
rivolto da papa Francesco nella Veritatis gaudium a fare rete tra le
istituzioni accademiche. Non è sincretismo, ma ricerca di una autentica
comunione, via imprescindibile per una piena identità, come ha rilevato, sempre
questa mattina, il Rettore dell’Antonianum.
La comunione è un
aspetto essenziale dell’ermeneutica di un carisma. Solo nel rapporto di
comunione si prende coscienza dei propri valori, come anche dei propri limiti,
e ci si riconosce nella propria irripetibile unicità e nella propria identità.
Nello stesso tempo il dialogo sincero porta alla scoperta dell’altro nella sua
unicità, irripetibilità e quindi dell’arricchimento offerto dalla comunione.
I carismi, direbbe
papa Francesco, «non sono un patrimonio chiuso, consegnato ad un gruppo perché
lo custodisca; piuttosto si tratta di regali dello Spirito integrati nel corpo
ecclesiale. È nella comunione […] che un carisma si rivela autenticamente e
misteriosamente fecondo» (EG 130), da condividere.
Analogamente, le
università, in quanto “specchio” dei carismi nella loro valenza di luce, di
dottrina, di sapienza, sono chiamate a riflettere la dinamica di comunione
richiesta tra i carismi stessi.
Questo implica
innanzitutto la conoscenza reciproca, la stima reciproca, il riconoscimento
dell’alterità e della complementarietà. Potremmo applicare al rapporto tra le
nostre istituzioni accademiche l’invito di san Paolo: Aemulamini carismata
meliora.
Ma non basta
conoscersi, stimarsi. Non basta neppure l’uniformazione delle prassi, delle
istituzioni. In questa giornata si è molto parlato della dinamica di comunione
all’interno delle singole istituzioni, o tra istituzioni afferenti allo stesso
carisma, come quello francescano. Questo ci ha consentito tra l’altro di
conoscerci meglio.
Adesso però occorre
un passo ulteriore mirando a crescere nella comunione tra le differenti
istituzioni accademiche. Questo richiede una forte convinzione della necessità
di camminare insieme, una sincera volontà di incontro e di condivisione, una
chiara spiritualità di comunione.
Se c’è questo le
strade e gli strumenti di collaborazione seguiranno di conseguenza. Si
esprimeranno ad esempio nella programmazione di ricerche portate avanti
insieme, nella condivisione tra professori che lavorano nello stesso ambito di
ricerca e di insegnamento. Senza gelosie o timore di concorrenza, senza
sentirci concorrenti ma partner fratelli e sorelle. Si troveranno anche le
modalità per la condivisione tra gli studenti, fattore essenziale che non si
può programmare senza il loro coinvolgimento.
Infine, il carisma
dell’Istituto lo si comprende appieno nella misura in cui ci si lascia
interpellare dalle domande sempre nuove che ci giungono dal di fuori, dalle
necessità che ad esso sono rivolte dalla società, e a cui è chiamato a
rispondere. Anche questo è emerso dal dialogo di fine mattinata.
Rimane sempre attuale
l’inquietudine espressa nel Sinodo del 1994: «Ci si preoccupa eccessivamente
del proprio carisma prescindendo dal suo reale inserimento nel santo popolo di
Dio, confrontandosi con le necessità concrete della storia».
In questo senso
l’“essere Chiesa in uscita”, il movimento verso le “periferie” e tutti gli
altri input che il Papa lancia,
non sono soltanto un metodo pastorale, un porre in atto il carisma, ma un
metodo ermeneutico. Il carisma lo si comprende appieno mettendolo in gioco con
la storia, lasciandosi interpellare da essa, nel contatto concreto e quotidiano
con le persone in mezzo alle quali il carisma è chiamato a vivere e a cui è
inviato.
Lo stesso vale per le
istituzioni accademiche legate al carisma. Le nostre ricerche, i nostri
insegnamenti, i nostri studi rimangono “accademici” – nel senso deteriore del
termine – astrusi, avulsi dalla storia, senza un ascolto attento della società
che ci circonda, un ascolto appassionato, capace di coinvolgere.
Anche questo è un
cammino che domanda di essere percorso insieme.
Il cammino sinodale
ci interpella davvero e attende fantasia, coraggio, buona volontà.
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