https://www.focolare.org/vivere-il-giubileo-abitando-a-roma/
sabato 8 marzo 2025
venerdì 7 marzo 2025
Il pellegrinaggio: un santo viaggio
https://fabiociardi.blogspot.com/2025/03/il-pellegrinaggio-homo-viator-homo.html
Nelle bolle di indizione degli anni santi il pellegrinaggio è presentato come una pratica essenziale, necessaria. Esso ha tratti antropologici e una ritualità che lo accomunano ad ogni altro tipo di pellegrinaggio umano. Ne accenniamo brevemente ad alcuni:
- domanda una decisione iniziale,
quasi la risposta ad un invito, forse anche inconscio, verso qualcosa di nuovo,
di diverso, di bello. «Ogni Anno giubilare – scriveva Giovanni Paolo II nella
bolla di indizione del Grande Giubileo del 2000, Incarnationis mysterium,
4 – è come un invito ad una festa nuziale. Accorriamo tutti, dalle diverse
Chiese e comunità ecclesiali sparse per il mondo, verso la festa che si
prepara»;
- anche se intrapreso da soli,
durante il viaggio ci si trova in compagnia di altri, con i quali si condivide
il cammino. Per un cristiano è sempre cammino di Chiesa, “sinodale”, capace di
«rafforzare ed esprimere il comune cammino che la Chiesa è chiamata a compiere
per essere meglio segno e strumento di unità di armonia nella diversità» (Incarnationis
mysterium, 4);
- le soste non distolgono dalla
meta, ma rinfrancano le forze per proseguire con maggiore decisione;
- è occasione per conoscere il
mondo attorno, che presenta sempre aspetti di novità. Non a caso il termine peregrinatio,
in latino, significa “viaggio in terra straniera”. «Non trascuriamo, lungo il
cammino, – ricorda Papa Francesco – di contemplare la bellezza del creato e di
prenderci cura della nostra casa comune»;
- è comunque un cammino che ha le
sue difficoltà e le sue prove; vi è legata l’idea di penitenza. Per questo, a
differenza del turismo, privilegia sobrietà ed essenzialità. Alla fine del
primo Anno Santo, il 25 dicembre 1300, Bonifacio VIII nella bolla Ad honorem
Dei, ricordava «la difficoltà del viaggio, la fatica e le spese che il
popolo cristiano ha sostenute nel suo pellegrinaggio» e anche tutti coloro che,
messisi in cammino per ottenere l’indulgenza erano morti durante il viaggio;
- il raggiungimento della meta, che fin
dall’inizio ha attirato con il suo magnetismo spirituale, segna il culmine del
pellegrinaggio: il contatto con Dio – mediato dallo stesso contatto fisico con
edifici, monumenti, reliquie, le tombe degli Apostoli – si fa sensibile,
infondendo un senso di rinascita;
- il rientro alla vita quotidiana
implica la condivisione con gli altri dell’esperienza compiuta.
Assieme a questi tratti comuni ad
ogni tipo di peregrinatio, il cammino giubilare presenta alcune
peculiarità. Anche qui un accenno fugace:
- «la Chiesa ha sempre celebrato
il Giubileo come una tappa significativa del suo incedere verso la pienezza in
Cristo»;
- è come un “sacramento” che fa
prendere coscienza del carattere transeunte della situazione umana, della sua caducità
e provvisorietà: «Poiché non abbiamo qui una città stabile, ma cerchiamo quella
futura» (Eb 13, 14);
- è un appello ad un’esperienza di
distacco interiore, di spogliazione per una libertà dello spirito che non deve
mai lasciarsi imprigionare dal contingente, a riprendere con nuovo slancio e
decisione il cammino spirituale;
- è presa di coscienza della
precarietà della vita e del bisogno di condivisione con gli altri. Con il termine
di età medievale homo peregrinus si descriveva una persona che viaggiava
“per agro” e cioè fuori dalle città, per campi, uno straniero che non conosceva
la strada, che aveva bisognoso di continue informazioni dagli indigeni, di
sostegno, di ospitalità…;
- non è fine a sé stesso, ma è un momento
di grazia che consente di tornare nell’ambiente ordinario di vita, agli impegni
abituali, per portarvi quell’anelito di Cielo che il luogo del pellegrinaggio
ha ravvivato.
In definitiva il pellegrinaggio
pone la stessa domanda che la tradizione pone sulla bocca di Gesù, rivolta a
Pietro che vuole fuggire da Roma e quindi dalla sua piena condivisione con la
croce di Cristo: Quo vadis? Dove è orientata la vita? Il pellegrinaggio
può diventare una benedizione, quella che esprime il salmo 83 (3), 6: «Beato
chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio». Il
pellegrinaggio, la vita stessa, può trasformarsi in un “santo viaggio”.
giovedì 6 marzo 2025
Il pellegrinaggio: homo viator, homo religiosus
Il pellegrinaggio è una particolare espressione dell’itineranza umana.
https://fabiociardi.blogspot.com/2025/03/homo-viator-il-viaggio-della-vita.html
La prima motivazione che fa
muovere l’umanità è la necessità, il bisogno di nuove terre e pascoli, di
sicurezza… Non diversa è la motivazione che fa intraprendere il pellegrinaggio:
c’è sempre una necessità, anche se diversa da quella che muove la migrazione
come tale. C’è un interesse: il bisogno di una guarigione, di una grazia; più
profondamente il bisogno di purificazione, di pace interiore, di ritrovare il
senso della vita, di salvezza…
A
differenza dell’itineranza, che spesso è una fuga verso una terra che non si
sa, il pellegrinaggio ha una meta precisa, un luogo sacro: un fiume, un
santuario, la tomba di un eroe o di santo, una reliquia… Va verso una meta che
le generazioni passate hanno indicato come luogo sicuro dove trovare ciò di cui
si sente il bisogno, capace di appagare i desideri più materiali e quelli più
nascosti e forse inespressi. L’homo viator è anche homo religiosus:
il senso del sacro è peculiare della natura umana.
Non sappiamo come questo si
esprimesse nella preistoria, ma la documentazione storica è ricchissima al
riguardo. In Giappone lo shintoismo ha dato vita a pellegrinaggi verso numerosi
templi e santuari, come quello di Isé dedicato ad Amaterasu, la dea solare, ai
33 santuarî di Kwannon, dea benevola per le miserie umane, al Fuji-yama, la montagna
più alta… In India i fiumi Gange, Jumnā, Narbada sono alcune tra le tante mete
di pellegrinaggi secolari, così come Kapilavastu dove nacque il Buddha, Budh
Gayā dove ricevette l’illuminazione, Benares dove tenne la prima predica,
Kusinagara dove morì… Potremmo percorrere tutta l’Asia seguendo gli innumerevoli
pellegrinaggi. Più vicino a noi, basta accennare al tempio di Delfi, in Grecia,
dove ci si recava per conoscere gli oracoli del dio Apollo, che parlava per
bocca di una sacerdotessa, la Pizia. A Roma erano meta di pellegrinaggio i santuari
di Giove Laziale, di Diana Nemorense, di Giunone Lanuvina.
La tradizione ebraica si inserisce
in questo substrato umano comune a tutte le religioni. Il pellegrinaggio al
tempio di Gerusalemme, soprattutto in occasione della Pasqua, ma anche quelli
di Pentecoste e dei Tabernacoli, caratterizza la religione di Israele e i salmi
graduali, i canti "della salita", ne esprimono la spiritualità.
L’Islam e il cristianesimo continuano
questa esperienza. A ogni credente musulmano che ne abbia le possibilità e la
salute fisica, è richiesto di compiere almeno una volta nella vita il
pellegrinaggio alla Mecca, dove è conservata la Ka‘ba: è uno dei cinque pilastri
dell’Islam.
Per il cristiano il viaggio in
Terra Santa, dove può conoscere e venerare i luoghi di Gesù, è una pratica che
risale ai primi secoli. Come non ricordare le testimonianze di Elena madre di
Costantino, Girolamo, Egeria, fino a Francesco d’Assisi, Brigida di Svezia,
Ignazio di Loyola… Le mete si sono poi diversificate, da Santiago di
Compostella ai Sacri Monti della Lombardia e del Piemonte: Varallo, Orta, Oropa,
Domodossola… Fino a Guadalupe, Lourdes, Fatima, Medjugorje… Le tombe degli
apostoli a Roma fin dall’antichità divennero la meta più ambita, soprattutto
dopo che l’accesso alla Terra Santa fu precluso dalle nuove conquiste. Nel
Medioevo nuovamente “tutte le strade portano a Roma”, la via Francigena, la via
Romea…
mercoledì 5 marzo 2025
don Enrico Pepe: una roccia
Oggi il funerale di don Enrico Pepe, primo di nove fratelli
e sorelle: eloquente la testimonianza di una delle 72 tra nipoti e pronipoti.
Li ha sposati tutti lui! Nel 1964 lascia questa bella famiglia per
un’esperienza missionaria fidei donum in Brasile, dove rimarrà per venti anni,
evangelizzando e formando generazioni di preti, di cui più di una decina sono
poi diventati vescovi. Tornato in Italia si è stabilito a Grottaferrata, nel
Centro Sacerdotale. È lì che l’ho conosciuto, con il suo perenne sorriso: una
persona che dava il senso della sicurezza, della fedeltà…
Una volta ha detto: “Ho passato anch'io le mie notti e quando la tentazione mi voleva far prendere decisioni fuori dell'unità ho avuto la grazia di ragionare così: «Se mi trovo in questo carisma è perché Gesù in mezzo mi ha attratto e chiamato. Se devo uscire da questo carisma, è lui che mi deve buttar fuori. Io, pur non capendone il perché e soffrendo magari le pene dell'inferno, devo rimanere fedele alla sua chiamata». Abbracciando Gesù abbandonato, anche quando umanamente sembrava assurdo, ho sempre ritrovato la luce del Risorto, di Gesù in mezzo a noi. E ho visto ravvivarsi attorno a me la vita della Chiesa: nelle parrocchie in cui ho lavorato, fra i tanti sacerdoti con cui ho potuto condividere l'Ideale, fra i centinaia di seminaristi per i quali ho tenuto esercizi e ritiri spirituali e molti dei quali hanno fatto loro la vita dell'unità. Alcuni di loro oggi sono vescovi".
martedì 4 marzo 2025
Quaresima: alla scoperta dei cieli
“Il cielo dentro di me”. Il titolo del libro scritto lo
scorso anno sembra essere adatto per iniziare la Quaresima, richiama l’interiorità
che questo periodo liturgico domanda di vivere.
Oggi, nella lettura del commento al Cantico dei Cantici di Bernardo
di Chiaravalle, sono giunto alla descrizione dell’anima definita come un “cielo”.
L’aveva definita così già Gregorio Magno. Ma l’aveva definita così, ricorda
Bernardo, Gesù stesso dicendo: “Io e il Padre verremo a lui e prenderemo dimora
presso di lui”. L’aveva detto anche Paolo affermando che “per la fede Cristo abita
nei nostri cuori”.
L’anima, continua Bernardo, si chiama “cielo” perché viene
dal cielo. «Ogni anima può non solo essere detta “celeste” a motivo della
propria origina, ma anche essere giustamente chiamata “cielo”, perché lo
riproduce… Un’anima santa è infatti un cielo…».
Però attenzione! «perché un’anima possa diventare come un
cielo e una dimora di Dio, dovrà essersi innanzitutto svuotata da tutte le cose
cattive… Inoltre è necessario che essa cresca e si dilati per poter accogliere
Dio». E come fare? «La sua ampiezza è il suo amore, come dice l’Apostolo: “Dilatatevi
nella carità”… Dunque, la grandezza di un’anima si misura dalla carità che
possiede…».
Poi Bernardo si guarda attorno e con sorpresa scopre tanti altri
cieli oltre la sua anima: «questa Chiesa, che è ancora pellegrina, ha i suoi
cieli, cioè gli uomini spirituali, insigni per vita e fama, puri nella fede,
saldi nella speranza, generosi nella carità, trepidanti nella contemplazione…
Essi mostrano il vangelo della pace».
Dilatare il proprio cielo con la carità e scoprire i cieli
degli altri: un bel programma per questa Quaresima.
lunedì 3 marzo 2025
Scrittori Oblati
Mi dicono che in Italia si pubblicano 12 libri l’ora, ossia 282
titoli ogni giorno e 102.987 in un anno. Che siano più gli scrittori che i
lettori?
Comunque questa sera ho presentato in comunità gli ultimi
libri scritti da Oblati. Accanto ai libri di Macaire Manimba Mane, Marcellino Sgarbossa,
Athanasius
von Whedon, Emmanuel Fernando, l’ultimo numero della rivista
“Oblatio”: vale proprio la pena leggerlo! La parte dedicata all’attualità
racconta dell’impegno degli Oblati nel campo della giustizia e della pace, con
un’esperienza mozzafiato di p. Maurice LeBlanche in Sud America e all’ONU. La sezione
storica ripercorre l’affascinante avventura del nostro vescovo di Aosta Maturino
Blanchet. Non mancano visioni sulla nostra vocazione nel mondo di oggi, offerte
dal superiore generale, dal procuratore generale, dal responsabile centrale del
laicato oblato…
10 articoli che mostrano una famiglia carismatica viva.
domenica 2 marzo 2025
Homo viator: il viaggio della vita
Sto preparando un articolo sul “pellegrinaggio”, uno dei temi del Giubileo. Per adesso ho scritto una specie di introduzione…
Accanto all’homo sapiens, l’homo faber, l’homo ludens, potremmo descrivere l'umano come homo viator. Originariamente questo termine indicava un messaggero, uomo che conosce la via e la meta, consapevole del cammino che sta per percorrere, sicuro di compiere la sua missione. Potremmo pensare l’homo viatos anche come un homo vagans, termine imparentato con vāhas, carro, veicolo, bestia da soma, che indica una precisa mancanza di meta. L’espressione appare forse per la prima volta nel corpus di leggi emanato da Enrico I d’Inghilterra, ove si riuniscono sotto un unico genere i fuggitivi e i vagabondi. Si conoscevano già comunque i clerici vagantes. Un termine, “vagus”, che indica irrequietezza, instabilità, una connotazione piuttosto negativa, molto diversa da quella di viator. Tuttavia nelle fonti latine vagans si accompagna a dispersus, exsul, errans, come i pesci nel mare (Orazio, Satirae 2, 4, 77), gli uccelli in cielo (ivi, 4, 4, 2), le pecore per i pascoli (Id. Carm., 3, 13, 12), i corpi celesti (stellae, luna, aurora) … Homo vagans dice dunque più di irrequietezza e instabilità, dice vita che domanda di crescere e di espandersi, desiderio di ricerca, di esplorazione, di novità. È semplicemente homo itinerans, perennemente in viaggio (iter-itineris). Scegliamo dunque il termine homo viator che esprime in maniera più positiva il suo essere in cammino, senza tuttavia dover rinunciare a quel senso di insoddisfazione, insito nel termine vagus, che caratterizza l’uomo per la sua tensione a trascendersi costantemente.
L’uomo e la donna sono in cammino fin dalle origini – fa parte della loro natura –, da quando Adamo ed Eva, primi esuli, lasciarono il paradiso terrestre. Il tema del viaggio, tra ritorno ad una patria perduta e ricerca di mondi nuovi, attraversa le letterature di ogni secolo e di ogni latitudine, da Gilgamesh agli Argonauti, da Ulisse a Enea, dai romanzi di Verne ai libri di viaggio.Viaggi storici, da Pitea, il
primo greco a spingersi nel nord Europa e a descrivere fenomeni come l’aurora
boreale e il sole di mezzanotte, a Marco Polo e i grandi esploratori e
colonizzatori del Cinquecento e del Seicento, da Matteo Ricci a Magellano, da
Willem Janszoon a James Cook. Viaggi fantastici, come quello di Dante nella Commedia,
dell’Ariosto nell’Orlando furioso.
Anche Abramo si mette in
cammino e da allora la storia sua e della sua gente sarà quella di un “arameo
errante”, tanto che questa espressione lo definisce per sempre ed entra nel
“credo” ebraico (cf. Deut 26, 5). Con l’Esodo dall’Egitto l’itineranza
diventerà una categoria chiave per esprimere la natura e la vocazione del
popolo d’Israele.
Dalla letteratura e dalla
storia potremmo passare alla musica, ad esempio, alla «Wanderer-Fantasie» di
Franz Schubert, pietra miliare di tutto il pianismo. Il secondo movimento è
basato su un frammento del Lied «Der Wanderer» (da cui il titolo apocrifo dell’opera
pianistica) che canta:
«Con quanta chiarezza la
luce della luna
mi parla,
animandomi al viaggio:
“Segui fedele l'antico sentiero,
non scegliere nessuna patria.
Eterne pene
ti recheranno altrimenti i giorni duri.
Via, verso altri luoghi
tu devi andare, devi errare,
sfuggire leggero ogni lamento».
Reale o immaginario, il
viaggio ci accompagna sin dalle origini: ci si muove fisicamente o con la
fantasia. La dimensione migratoria che ha guidato per 200.000 anni l’homo
sapiens – sedentarizzato soltanto da poche migliaia di anni – rimane un
istinto potente che spinge al cambiamento, al nuovo, con in fondo l’obiettivo di
conoscere il mondo e soprattutto sé stessi. Al punto da arrivare a dire «Navigare
necesse est, vivere non necesse», l’esortazione che, secondo Plutarco,
Gneo Pompeo diede ai suoi marinai, i quali opponevano resistenza a
imbarcarsi alla volta di Roma a causa del cattivo tempo.
Ma l’uomo è diventato viator
non soltanto e non primariamente per questioni filosofiche o romantiche, ma mosso
dalla necessità: la carestia che genera la fame, le avverse condizioni atmosferiche
che spingono alla ricerca di nuovi pascoli e nuove terre, le invasioni di
popoli nemici e le guerre che causano la morte e spingono alla fuga…
Motivazioni che si perdono nella notte dei tempi, le stesse che obbligano oggi
ad attraversare il deserto del Sahara sfidando la morte, il Mediterraneo su
barche fatiscenti, i Balcani tra le più feroci angherie, i confini con gli
Stati Uniti per poi essere espulsi… E l’uomo si ritrova ad essere vagans,
dispersus, exsul, errans… Condanna, scelta, anelito, opportunità…
L’essere in itinere assurge a figura del cammino della vita, anche
interiore, con grande ricchezza di simboli.
sabato 1 marzo 2025
La grazia del Giubileo: ricominciare
Questo pomeriggio nella chiesa delle Clarisse ad Abano per il primo dei tre incontri sul Giubileo. Il tema affidatomi: "La grazia del Giubileo". Mi sono bastate tre parole. La prima: ricominciare. Mi sembra sia questa la parola centrale del Giubileo, anche guardando al Giubileo indetto dalla Bibbia che ne raccomanda la convocazione ogni 50 anni.
Secondo
il libro del Levitico 25, 8-13 durante il cinquantesimo anno
• I debiti sono cancellati.
• Gli schiavi sono liberati e le famiglie possono riunirsi.
• Le terre confiscate o vendute tornano ai proprietari
originali.
• I campi restano incolti per permettere alla terra di
riposare.
«Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la
liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo;
ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il
cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina né mietitura
di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non
potate. Poiché è un giubileo: esso sarà per voi santo; potrete però mangiare il
prodotto che daranno i campi. In quest'anno del giubileo ciascuno tornerà nella
sua proprietà».
Forse gli ebrei non hanno mai messo in pratica queste norme.
Esse costituiscono come un’utopia, un sogno di rinnovamento totale, il bisogno
di rinnovare l’alleanza con Dio, il desiderio che venga offerta la possibilità
di ristabilire equità e armonia nella comunità, ricordando che tutto appartiene
a Dio e che l’uomo è solo un amministratore dei beni della creazione. Era
un’offerta di grazia data a chi era rimasto indietro, un modo per non
dimenticare nessuno, perché nessuno rimanesse schiacciato dai propri fallimenti
o ingabbiato dentro logiche di morte. Potremmo dire che era un tempo che
offriva la possibilità di ripartire, una sosta per ricominciare a vivere e a
sperare; perciò un tempo di grazia.
Anche Gesù ha indetto un Giubileo. Luca 4, 16-21: «Venne
a Nazaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella
sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il
rotolo e trovò il passo dove era scritto:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l'anno di grazia del Signore.
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e
sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora
cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete
ascoltato».
Cos’è tutta la vita pubblica di Gesù se non la proclamazione della “buona novella” che saremo finalmente liberi? la proclamazione del “regno di Dio”, «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace»?
L’Anno Santo risponde a questo desiderio che ogni persona
ha in cuore: concedetemi un’amnistia totale dei miei sbagli, dei miei
fallimenti, che non debba portarmeli addosso per sempre, sono un peso che non
mi permette più di andare avanti; datemi la possibilità di essere nuova, non
continuate a giudicami per quello che ho fatto di male, lo riconosco, ma adesso
basta, fatemi ricominciare…
È questo il
Giubileo, l’anno di grazia del Signore: azzerare per ricominciare.
venerdì 28 febbraio 2025
Parva ma sancta Congregatio
Sì, per sant’Eugenio la sua famiglia è piccola e tanto limitata, ma nello stesso tempo è “santa”. Nella formula di oblazione ci insegna a dire: “faccio voto di perseverare fino alla morte nel santo Istituto e nella Società…”. Ogni mattina, pronunciando questa “formula”, penso a quanto noi Oblati siamo fragili, peccatori, “una specie di Gesuiti di campagna”, come li definiva il dizionario Larousse. Tante volte a sant’Eugenio, guardando i suoi compagni, cascavano le braccia! È come quando guardiamo la Chiesa: è una Chiesa di peccatore, ma una delle sue note caratteristiche è quella di essere Santa, perché in essa c’è il Santo, è il corpo di Cristo, il tempio dello Spirito!
Così gli Oblati. Più uno ci sta dentro più ne scopre le
debolezze e povertà. Ugualmente, più uno ci sta dentro più scopre la bellezza
di questa vocazione. È una famiglia santa: se la sono formata il Salvatore e
Maria Immacolata. È una famiglia di santi e beati. Allora vale la pena
perseverare, fino alla morte, in questa famiglia, così com’è, così come Dio
l’ha pensata e amata.
giovedì 27 febbraio 2025
Parva Congregatio
Per il mio ufficio sto
facendo un lavoro di edizione minuzioso e puntuale, più adatto a un certosino
che a un oblato. Comunque questo mi rimette tra le mani tanti fonti preziose,
come la Regola di sant’Eugenio del 1825. Gli Oblati si stanno infatti incamminando
verso i 200 anni dall’approvazione della Regola e della loro famiglia. Allora
non c’erano fotocopie o pdf e sant’Eugenio arrivò a Roma con una sola copia
della Regola che voleva fare approvare dal Papa. L’aveva copiata in bella scrittura
p. Jeancard, un letterato. Ma quella copia doveva rimanere nell’Archivio del Vaticano
e occorreva un’altra copia da riportare a casa. Un po’ per i tempi stretti, un
po’ per mancanza di soldi sant’Eugenio pensò che faceva prima e gli costava
meno copiarsela tutta lui in tempo di record.
Oggi ho ripreso in mano
quella copia. Non è scritta con la bella grafia di p. Jeancard, le righe
tendono un po’ verso il basso… ha fatto quello che ha potuto. È comunque un un'opera preziosa. Ma soprattutto vale il contento. A cominciare dalla prima riga, anzi
dalle terza parola: “Finis hujus parva Societatis…”. Il fine di questa “piccola”
Congregazione. Piccola, commentava già pochi anni dopo p. Yanveaux, non si
riferisce all’esiguità del numero dei suoi membri, ma alla “loro umiltà, alla
loro modestia e alla loro semplicità”, senza rivalità nei confronti degli altri
ordini o congregazione, verso i quali occorre invece mantenere una grande
stima.
“Parva” mi fa pensare anche
a tutti i nostri limiti, alle fragilità che ci sono tra di noi. Chi è
all’altezza della vocazione? Sapienza è accettare le nostre debolezze,
l’inadeguatezza, essere riconciliati con le nostre povertà. E come sarà il
futuro? Avremo energie e capacità per affrontare le sempre nuove sfide? Fiducia
e speranza è fidarsi di Dio che nella sua provvidenza vede e provvede anche ai
fiorellini del campo.
Sì, “parva”, piccola
congregazione, senza pretese: servi inutili che svolgono la missione che Dio ci
ha affidato, con gioia e con le forze che abbiamo, fino all’ultimo, “usque ad
internicionem”, come scriveva sant’Eugenio nella Regola.
mercoledì 26 febbraio 2025
Da 100 anni gli Oblati nel Chaco
Con una pubblicazione all’anno
Oblatio Studia (il supplemento della rivista Oblatio) è arrivato al 13° volume.
Complimenti! Ho infatti appena pubblicato l’opera di Miguel Fritz: 10 anni di
presenta Oblata nel Chaco.
Arrivarono in 5, dalla
Germania. Vivevano sulle rive del fiume Pilcomayo, di fronte all'Argentina, in
una zona occupata dai soldati boliviani. Sapevano poco o nulla del fatto che
quella regione era oggetto di contesa tra Bolivia e Paraguay. Arrivarono nel
Chaco boliviano, su richiesta del presidente boliviano Saavedra e inviati da
“Propaganda Fide” del Vaticano.
Il libro offre un saggio di
cosa sia stata quell’epopea, con lo scoraggiamento (infatti, presero la
decisione di abbandonare la missione, ma poi sono rimati…), i vari
ostacoli: il caldo, le inondazioni, gli incendi, le povertà; ma anche da parte
delle autorità militari ed ecclesiastiche… Senza dimenticare le prove causate dai
limiti e dagli errori umani.
Fu un incredibile mix di
tenacia, obbedienza, creatività e certamente anche di Spirito Santo che
protesse gli Oblati in questa parte del Chaco, che da “boliviano” divenne
“paraguaiano”, un bel cambiamento. Ma il cambiamento maggiore fu quello della
visione missionaria: dal “salvare le anime” al salvare un’intera cultura, un
gruppo etnico. “Ci hanno salvati”: è quanto è rimasto immortalato nella memoria
viva del popolo Nivaĉle. Si allargava anche il territorio nel quale gli Oblati
operavano, raggiungendo altri popoli indigeni (e non indigeni). Quando, alla
fine degli anni '30, a seguito della guerra del Chaco, gli indiani Guaraní
furono portati nel Chaco paraguaiano, si aprì ancora un altro campo di missione…
Nell’introduzione il Padre Generale
scrive: «Se in questo libro sono evidenti le diverse e numerose occasioni in
cui l’azione dei missionari riesce a salvare un popolo dall’estinzione,
possiamo anche leggere come quello stesso popolo “salva” i missionari dalle
loro idee e perfino dalla loro ecclesiologia, chiamiamole etnocentriche. In
questo senso, non solo i Nivaĉle possono dire che i missionari “ci hanno
salvato”, ma anche i missionari possono dire che i Nivaĉle “ci hanno salvato”,
perché leggendo questi documenti possiamo vedere l’evoluzione della mentalità
dei missionari prodotta grazie al contatto e al cammino mano nella mano con i
popoli indigeni».
martedì 25 febbraio 2025
Testimoni della grandezza e piccolezza di Dio
Oggi, con la visita ai luoghi dove ha vissuto la Piccola sorella di Gesù, sr. Magdeleine, è terminato il corso sui Fondatori a Roma con 85 studenti. L’accoglienza delle Piccole sorelle è sempre una testimonianza eccezionale. Quella di cui parlò Giovanni Paolo II quando il 22 dicembre 1985 andò a trovare la piccola sorella Magdeleine. Dopo aver pregato in silenzio nella cappella il Papa con la Piccola Sorella nel suo ufficio… Rimasero un po’ soli a parlare, ma presto Mons. Stanislas Dziwisz, il segretario, fece cenno alla piccola sorella Carla, la responsabile, di entrare e insieme andarono in sala dove, rivolgendosi alle suore, il Papa disse, tra l’altro:
"… voi siete “piccole” sorelle, quindi dovete avere un
rapporto con il “piccolo” Gesù, soprattutto con lui, il piccolo, il “piccolissimo”
Gesù… Voi volete dare una testimonianza in silenzio, volete testimoniare Gesù
Cristo, la grandezza e la piccolezza di Dio. Voi date questa testimonianza
senza parole… dovete dare testimonianza, anche senza parole. Dovete
testimoniarlo attraverso la vostra identità. A volte mi sono anche chiesto
perché sono sempre in silenzio, perché non parlano? Ma capisco sempre di più
che è giusto, che dobbiamo - in questa grande ricchezza, in questa grande
diversità di vocazioni nella Chiesa - anche questa vocazione del tutto eccezionale,
questa vocazione di presenza, l’apostolato di presenza per testimoniare la
verità, la realtà di Dio, di Dio che non può essere espresso con nessuna parola
umana… Quindi è un buon modo per esprimerlo senza parole, per esprimerlo nel
silenzio, nella contemplazione, nell’adorazione, nell’amore".
lunedì 24 febbraio 2025
Ancora dalla Theotokos
Ancora una volta
accompagno al giubileo, in Santa Maria Maggiore. Ancora guido alla visita della
basilica… E racconto la solita bella storia…
La leggenda racconta
che la mattina del 5 agosto 352 gli abitanti del colle Esquilino ebbero una
strana sorpresa: durante la notte era caduta la neve ed un soffice manto ne
ricopriva un tratto. Con tale prodigio la Vergine Maria aveva indicato, ad un
patrizio di nome Giovanni ed a sua moglie, che in quel luogo desiderava fosse
eretto un tempio in suo onore.
Da gran tempo i due
anziani coniugi, che non avevano avuto figli, desideravano impiegare le loro
ricchezze in un’opera che onorasse la Madre di Dio e, a tal fine, la pregavano
con fervore affinché mostrasse loro in qual modo potessero esaudire il desiderio.
La Vergine, commossa dalla pietà dei due, sarebbe apparsa loro in sogno dicendo
che nel luogo ove la mattina seguente avessero trovato la neve caduta
miracolosamente durante la notte, dovevano edificare, a loro spese, una chiesa
dedicata al nome di Maria.
Emozionato dal
prodigio, il mattino seguente Giovanni si recò da papa Liberio (352-366), a
narrargli l’accaduto: il pontefice aveva, durante la notte, sognato la medesima
cosa! Liberio, seguito dal patrizio Giovanni e da un grande corteo di popolo e
prelati, si recò sull’Esquilino e, sulla neve ancora intatta, segnò il
tracciato della nuova chiesa, che fu edificata a spese del patrizio e di sua
moglie.
I mosaici medioevali
della facciata narrano questa leggenda di fondazione e proprio dal nome di
questo papa prende anche il nome di basilica Liberiana.
Della basilica di
papa Liberio non abbiamo più traccia. L’attuale è dovuta a papa Sisto III, ed è
iniziata nel 432, un anno dopo il concilio di Efeso, celebrato nel 431.
L’intenzione di papa Sisto III, nel progettare la basilica, nel dedicarla a
Maria e nell’ispirarne la decorazione è chiaramente programmatica: vuole che
celebri in Roma la verità riconosciuta dal concilio, cioè che Maria deve essere
giustamente detta Madre di Dio, perché madre dell’unica persona divina di Gesù.
domenica 23 febbraio 2025
Un futuro di gioia e di speranza
Sto cercando una foto conservata in qualche disco esterno: come cercare un ago in un pagliaio. Non l’ho ancora trovata, in compenso ne ho riviste tante altre che non ricordavo di avere.
Come questa, del 2010. Ma che staranno guardando tutti questi religiosi?
Mi sembrano tutti protesi verso un futuro pieno di gioia e di speranza. Alcuni,
almeno quattro, hanno già raggiunto il futuro definitivo. Gli altri… siamo protesi verso quel traguardo… pieni di gioia e di speranza.
sabato 22 febbraio 2025
La croce oblata di Giovanni Santolini
Sto preparando il ritiro mensile per la comunità oblata di Marino. Questa volta sarà sulla Costituzione 4: la croce oblata. Così mi è tornata tra le mani la lettera che p. Giovanni Santolini scrisse il 7 agosto 1978, ben tre anni prima dell’oblazione perpetua, per chiedere se poteva avere la croce oblata di p. Roger Buliard, l’autore di un fortunato libro, Inuk, sulla storia delle missioni degli Oblati nelle terre artiche. Era il libro che aveva aiutato Giovanni nel discernimento per la vita missionaria. La lettera era indirizzata a p. Michel Dupuich su suggerimento di p. Italo Miceli che lo conosceva: era stato economo generale e il quel momento si trovava in Francia dove p. Buliard era appena morto, il 4 giugno 1978.
Il superiore generale accordò che gli fosse consegnata quella
croce e in un nota bene, in fondo alla lettera di Giovanni, scrisse: «Ho
consegnato a G. Santolini la croce di p. Buliard, 17 novembre 1981». È bello
rileggere quella lettera:
Marino 7/8/78
Reverendo Padre Michel.
Sono un Novizio della provincia italiana e con l’aiuto del
Signore farò i primi voti alla fine di settembre prossimo.
Ultimamente, mentre dopo pranzo si parlava un poco, io
espressi un mio desiderio, e P. Italo Miceli, che sta in comunità con noi, mi ha
consigliato di rivolgermi a Lei; e ora le spiego.
Mi trovo ad aver scelto la nostra famiglia religiosa per un
caso particolare. Ero in Seminario a Genova e dovevo essere ordinato Diacono,
quando decisi di farmi Missionario. Ma quale istituto scegliere? La scelta non
era facile, anche perché constatavo che ormai ogni nazione è paese di missione,
e tanto valeva restare ad evangelizzare la mia città. Però sentivo forte la
chiamata per i poveri; ma chi erano?
Nel bel mezzo di questo travaglio venni a conoscere le “Missioni del Nord” anche grazie al libro di P. Roger Buliard: “Inuk”. Ecco che il Signore mi suggeriva una strada per concretizzare il desiderio che mi aveva messo in cuore. Gli Esquimesi erano veramente “i più poveri”. Quindi io dovevo scegliere quella famiglia che aveva pensato a loro.
Scrissi subito al P. Generale e conobbi gli Oblati
personalmente. Mi piacque molto lo spirito del Beato Eugenio e sentii che era
anche il mio. Fu così che decisi di entrare.
Quest’estate con rammarico e dolore appresi la notizia
della morte del P. Buliard con il quale mi sentivo particolarmente legato per
motivi di stima e di affetto.
Penso che sarebbe bello continuare con lui questo rapporto
così intimo che mi ha generato alla nostra famiglia, e per questo mi era sorto il
desiderio di avere la sua croce di Oblato.
Penso che Lei stando lì in Francia avrà la possibilità di
sapere se essa è già stata destinata per qualche museo o è già stata affidata a
qualcuno. Nel caso non ci fosse nessun impegno per la sua destinazione gradirei
portarla io.
So che Lei per i suoi impegni ha molti contatti con
monasteri di vita contemplativa. Voglia affidare a quelle anime la nostra prima
oblazione che faremo il prossimo 29 settembre.
La ringrazio per tutto quello che può fare per me e le assicuro
un ricordo nella mia preghiera.
Sempre uniti nel carisma del nostro fondatore porgo i miei
più sentiti ossequi.
devotissimo Giovanni Santolini
venerdì 21 febbraio 2025
Festa della Cattedra di San Pietro Apostolo
Tre pensieri a partire dal Vangelo della festa:
1. Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio
del Dio vivente».
Pietro vive la C 2 della Regola degli Oblati (è uno dei
nostri primi padri! I nostri primi padri, diceva sant’Eugenio, sono gli
apostoli…): «Gli Oblati si impegnano a conoscere Gesù più intimamente…».
A ognuno è richiesta una conoscenza-esperienza personale
sempre più profonda, in crescita costante. La conoscenza che Pietro ha di Gesù in
quel momento non è ancora completa, tanto da essere rimproverato perché non
pensa come lui; gli rimane da vivere un’altra parte della C 2: «Gli Oblati si
impegnano… a immedesimarsi con lui, a lasciarlo vivere in loro».
Per arrivare alla vera conoscenza di Gesù Pietro deve passare
attraverso la prova…
2. E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di
Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è
nei cieli».
La conoscenza di Gesù avviene soltanto attraverso “rivelazione”:
è un dono di Dio. Lo stesso per l’apostolo Paolo: «Quando Dio, che mi scelse
fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di
rivelare in me il Figlio suo…» (Gal 1, 15). «Nessuno può dire: “Gesù è
Signore!” se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1Cor 12, 3).
Lo si conosce davvero soltanto nell’intimità della
preghiera, nella contemplazione…
3. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra
edificherò la mia Chiesa…».
Pietro riconosce Gesù e Gesù riconosce Pietro. La conoscenza
di Gesù illumina la conoscenza di noi stesso, ci riconosciamo in lui: «Cristo,
che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore
svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima
vocazione» (Gaudium et spes, 22).
Comprendo appieno la mia vocazione, ossia la mia identità, nel
rapporto personale con Gesù: lo conosco, sono da lui conosciuto, mi conosco…
giovedì 20 febbraio 2025
Chi dite che io sia?
Chi è per me Gesù?
Il Figlio
di Dio (Mt 14, 32)
Figlio Unigenito del Padre
Pieno di grazia e di verità
Dio da Dio
Luce da Luce
L’Amato, il Prediletto
Irradiazione della gloria ed impronta della realtà del Padre
Immagine dell’invisibile Iddio
Il Cristo, il Figlio di Dio vivente (Mt 16, 16)
La Luce del mondo
Il figlio
di David (Mt 9, 27)
Il figlio primogenito della Vergine Maria
Il più bello tra i figli dell’uomo
Il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea (Mt 21, 11)
Colui che solo ha parole di vita eterna (Gv 6, 68)
Colui che comanda al vento e al mare (Mt 8, 27) …
Re dei Re e Signore dei Signori
L’Emmanuele
Il Dio vicino
Il Dio in noi
Il Dio con noi
Il Dio tra noi
Via che
conduce al Padre
Verità che illumina le menti
Vita che dà vita alla nostra vita
Pastore buono e misericordioso
Compassionevole
In cerca della pecora smarrita
Medico dei corpi e delle anime
Che passa facendo del bene a tutti
Maestro
Parola di vita
Pane vivo disceso dal Cielo
Acqua viva
L’Amico
Il Fratello
Lo Sposo
Sempre fedele
Amore più
grande che dà la vita
Agnello di Dio
Che prendi su di te il peccato del mondo
Amore annichilito
Servo e Figlio obbediente
Il mio Salvatore
Il Signore Risorto
Il Signore mio e il mio Dio.
Ma cosa
dice Gesù di se stesso?
Io Sono (Gv 8, 24, 28, 50; 13, 19)
Io sono il pane della vita (Gv 6, 35)
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo (Gv 6, 51)
Io sono la luce del mondo (Gv 8, 12; 9, 5)
Io sono la porta delle pecore (Gv 10, 7)
Io sono il buon pastore (Gv 10, 11, 14)
Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11, 25)
Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14, 6)
Io sono la vite vera (Gv 15, 1, 5)
Io sono re (Gv 18, 37)
Io sono Gesù, che tu perséguiti! (At 9, 5; 22, 8; 26, 15)
Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene,
L’Onnipotente! (Ap 1, 8)
Io sono il Primo e l’Ultimo (Ap 1, 17; 22, 13)
Io sono Colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini (Ap 2, 23)
Io sono l’Alfa e l’Omèga, il Principio e la Fine (Ap 2, 23)
Io sono la radice e la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino (Ap 22, 16)
…
mercoledì 19 febbraio 2025
Il fondatore e il suo carisma
Quando penso alla figura del fondatore di un’opera
carismatica nella Chiesa, Istituto o Movimento, mi viene naturale il
riferimento alla descrizione che ne ha dato p. Marcello Zago. Egli ci ha
insegnato a guardare al fondatore, in modo particolare a quello dei Missionari Oblati
di Maria Immacolata, sant’Eugenio de Mazenod, come a: 1. Un santo da imitare,
2. Un fondatore da seguire, 3. Un maestro da ascoltare, 4. Un padre da amare,
5. Un intercessore da invocare.
Ma come facevo a dire queste cose ai Legionari di Cristo
quando la relazione con il loro fondatore è un po’ problematica? Oggi ho tenuto
infatti una lezione alla loro università, allora ho cercato di distinguere bene
tra la persona del fondatore e il carisma. I fondatori stessi sono pienamente
consapevoli di tale doverosa distinzione.
Sant’Angela Marici si considera «insufficientissima, et inutilissima
serva», della quale Dio ha usato per la costruzione di un’opera che rimane di
Dio.
San Camillo de Lellis scrive: «Ho detto essere questo
miracolo manifesto, questa nostra fondatione, et in particolare di servirsi di
me peccatoraccio, ignorante, et ripieno di molti defetti, et mancamenti, et
degno di mille inferni». Se però Dio si è comportato così, scegliendo proprio
lui, è perché egli «è il patrone, et può fare quello gli piace, et è
infinitamente ben fatto». Non vi è quindi da meravigliarsi se «per mezzo d’un
tale instromento habbia Dio operato, essendo maggior gloria sua che di niente facci
mirabilia». «Soffriva quando era chiamato fondatore, e aggiungeva subito: Il
Fondatore è Dio, ed io non sono che un vilissimo strumento».
San Paolo della Croce si sente davanti a Dio «una sporchissima
cloaca». Egli sa, però, come gli altri fondatori, che Dio si serve proprio
degli ultimi per far risplendere maggiormente «le sue infinite misericordie
perché le fà al più gran peccatore». «Oh grande Iddio! — esclama ancora
guardando alle origini della sua famiglia religiosa —. E chi avrebbe mai
creduto che questo puzzolentissimo peccatore dovesse camminare per queste
vie!». Si considerava un «semplice volante» (un postino), che porta la lettera
affidatagli dal padrone.
Il beato Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia
paolina, ha scritto nel tuo testamento: «Sento la gravità, innanzi a Dio ed
agli uomini, della missione affidatami dal Signore; il quale se avesse trovato
persona più indegna ed incapace l’avrebbe preferita. Questo tuttavia è per me e
per tutti garanzia che il Signore ha voluto ed ha fatto fare lui; così come
l’artista prende qualsiasi pennello, da pochi soldi e cieco circa l’opera da
eseguirsi, fosse pure un bel divino Maestro Gesù Cristo». La stessa immagine è
ripresa da Madre Teresa di Calcutta, che si reputava una semplice matita con la
quale Dio scriveva quello a lui piaceva. Chiara Lubich continua in questa
stessa convinzione: «La penna non sa quello che dovrà scrivere. Il pennello non
sa quello che dovrà dipingere. Lo scalpello non sa ciò che dovrà scolpire.
Così, quando Dio prende in mano una creatura, per far sorgere nella Chiesa
qualche sua opera, la persona non sa quello che dovrà fare. È uno strumento. E
questo, penso, può essere il caso mio».
Si sente qui riecheggiare il paolino infirma mundi elegit
Deus (cf. 1 Cor 1, 27), che mette in evidenza la potenza di Dio.
Occorre sempre distinguere tra il dono di Dio – il tesoro, in questo caso il
carisma – e il vaso di creta nel quale esso è contenuto (cf. 2 Cor 4,
7).
martedì 18 febbraio 2025
Il grande Bernardo
«Dio ha fatto e patito tante cose non per un’anima sola, ma
per raccoglierne molte in una sola Chiesa, per formarne un’unica sposa».
Una delle tante perle che trovo nei sermoni sul Cantico dei
Cantici di san Bernardo di Chiaravalle che sto leggendo con passione in questi
giorni…
Papa Francesco ad agosto ha scritto una lettera sull'importanza di leggere i classici della letteratura. Non parla della grande letteratura cristiana eppure è di una ricchezza inimmaginabile. Avevo già letto tempo fa quest'opera di Bernardo, ma rileggerla adesso... mi sembra di leggerla per la prima volta... è segno che è una grande opera letteraria!
lunedì 17 febbraio 2025
Qual è il senso dei laici nella Chiesa?
Mattinata con la Famiglia carismatica di san Vincenzo
Pallotti sul tema: “L’unità del popolo di Dio e il senso ecclesiologico delle
diverse vocazioni”.
Tra le altre cose ho mostrato un grafico sulla Chiesa che permette di collocare, numericamente, i sacerdoti (207.000: 0,017%) e i consacrati laici (612.000 = 0,0246%), accanto ai laici (2.400.000.000).
Davanti a questa immagine appare un po’ problematica la solita domanda su qual è il senso dei laici nella Chiesa (come se si chiedesse qual è il posto dell’acqua nel mare!). Verrebbe piuttosto da chiedere qual è il senso dei sacerdoti e dei religiosi!
domenica 16 febbraio 2025
Per favore, riportate il presepe in basilica
Prima i
bambini, poi i ragazzi, poi i giovani e oggi gli adulti. San Giovanni in
Laterano, San Pietro, San Paolo, e oggi Santa Maria Maggiore. Così vivo e
faccio vivere il Giubileo.
Racconto
di storia, di arte, di spiritualità, perché è tutto intrecciato, umano e
divino, passato e presente. Sono monumenti vivi, che parlano ancora dopo centinaia
di anni, e continuano a narrare cose sempre belle.
Mi
dispiace solo che il presepe di Arnolfo di Cambio l’abbiano tolto dalla basilica
e confinato nel museo. L’aveva scolpito nel 1291, su commissione del primo
papa francescano. Erano passati meno di settant’anni da quando san Francesco aveva
ideato il presepe “vivente” a Greccio.
Il capolavoro d’arte e di fede di Arnolfo di Cambio rilegato in un museo! Ma non è nato per stare in un museo, è nato ma per stare in basilica, oggetto di contemplazione e di preghiera dei fedeli, non per la curiosità dei turisti.
Io continuo
a portarmi in cuore ognuno dei personaggi di quel presepe e non so in quale di
essi vorrei identificarmi. In Giuseppe, con le mani saldamente appoggiate sul
bastone, fedele al suo posto, in gioiosa e semplice contemplazione?
Nell’ammirazione dei due Magi riccamente vestiti che stanno parlando tra di
loro, forse scambiandosi le prime impressioni nel trovarsi davanti a un re
bambino che va al di là delle aspettative? In quello inginocchiato, la testa sollevata,
che non toglie lo sguardo dal Bambino? Oppure semplicemente nel bue e nell’asino
che, estranei, si sentono comunque protagonisti? Vorrei essere ognuno di loro.
Per
favore, riportate il presepe in basilica: è nato per stare lì, per tutti! È la basilica del presepe, che conserva i resti della culla di Betlemme. E fatecela vedere la scena di quel presepe!
sabato 15 febbraio 2025
Il cardinale Pacca: chi era costui?
Anche
oggi, seguendo un’antica tradizione, la Famiglia oblata di Roma si è ritrovata
in santa Maria in Campitelli per ricordare il 15 febbraio 1826. Quella
mattinata sarebbe stata decisiva: se i cardinali avessero dato parere positivo,
il papa avrebbe certamente approvato la Regola degli Oblati. Sant’Eugenio era
rimasto d’accordo con l’usciere del palazzo che appena i cardinali avessero
finito lo avrebbe avvertito. L’usciere se ne dimenticò, così sant’Eugenio se ne
rimase tranquillo ad ascoltare le famose nove messe, fino all’una! Intanto però
il parere dei cardinali era stato positivo. Due giorni dopo giunse
l’approvazione di Leone XII.
La
riunione si tenne nel palazzo davanti alla chiesa, dove abitava il cardinale
Bartolomeo Pacca, che oggi riposa a destra del transetto della chiesa in un bel
mausoleo.
Anche
oggi l’ho ringraziato!
Di
antica famiglia patrizia (Benevento 1756 - Roma 1844), Pacca, grazie alla passione per le
lettere e per la storia, fu ammesso, giovanissimo, all’Accademia
dell’Arcadia. Fu nunzio pontificio a Colonia, a Monaco e a Lisbona dove nel 1801
ricevette la berretta cardinalizia. Entrati i francesi a Roma nel 1808 fu
chiamato alla carica di prosegretario essendo il Card. Consalvi, segretario di
stato, forzatamente dimesso. Fu poi arrestato con Pio VII, dopo l’assalto al
Quirinale del 6 luglio 1809, e subì una dura prigionia nel forte di Fenestrelle
(Pinerolo). Nel 1813 poté riunirsi a Pio VII e fu di nuovo prigioniero in
Francia. Il Papa lo volle a suo fianco nel giorno del suo ritorno trionfale
a Roma, il 24 maggio 1814. Di nuovo in esilio con il Papa a Genova, quando
durante i 100 giorni di Napoleone, Murat invase lo stato pontificio (marzo
1815).
L’apporto
del Cardinale Pacca all’approvazione delle Regole degli Oblati è stato
determinante. Basta ricordare che lo stesso Leone XII lo scelse come il
Cardinale “più mite della Congregazione”, per permettere una facile
approvazione delle Regole. Ed è il Pacca che ottiene dal Papa il 18 gennaio
1826 la semplificazione delle formalità abituali riducendo da sette a tre i
cardinali esaminatori. Gli altri due cardinali, che si riuniscono nel suo
palazzo di fronte S. Maria in Campiteli, dove il Fondatore è in preghiera,
erano Pedicini e Palletta.
Nel suo
Diario (11 luglio 1845) il Fondatore rivelerà in seguito che il Card. Pacca nel
1825-26 aveva proposto a Leone XII di crearlo cardinale, ma Eugenio aveva
rifiutato per dedicarsi completamente all’evangelizzazione dei poveri. Nel 1845
andò a pregare sulla sua tomba nella Chiesa in Monticelli, dove era stato
sepolto prima di essere traslato in Santa Maria in Campitelli.