A Marsiglia per seguire il cammino di sant’Eugenio. Abbiamo iniziato dalla chiesa di san Ferréol, sul porto. In una cappella c’è la tomba di famiglia, dal 1500, con tanto di stemma! Ultimo sepolto è il nonno di Eugenio
Nel mio romanzo sulla vocazione di sant’Eugenio mi immagino
che appena sbarca a Marsiglia va subito sulla tomba di famiglia e promette agli
antenati che rifarà grande il casato…
In questa stessa chiesa tornerò regolarmente anni dopo, per
incontrare ogni mese il vecchio p. Magy per discernere con lui la propria
vocazione. Deve proprio diventare prete? Alla fine p. Magy gli scrive: «Sono inutili ulteriori esami, la tua
vocazione è luminosa come il sole in pieno meriggio nel giorno più sereno».
Vi tornò anni dopo con i suoi Missionari di Provenza per
predicare la missione cittadina, nel 1820. Parlava ogni giorno alla gente nella
chiesa, in provenzale, cominciando alle 6 del mattino, prima che iniziasse il
lavoro. Gli ascoltatori erano gente semplice, marinai, pescatori, pescivendole…
Alle 4 del mattino c’era la fila ad aspettare che aprissero la chiesa.
Di quella missione non ha lasciato niente di scritto perché
troppo preso dalla gente: l’ascolto, le confessioni, le visite alle famiglie...
Sappiamo però tanto sia dai giornali, sia soprattutto dalle lettere che il
padre di Eugenio scriveva al fratello Fortunato che stava a Aix. Carlo Antonio
de Mazenod era rientrato in Francia due anni prima, dopo ventisette anni di
esilio in Italia. Si era fermato in un modesto appartamento a Marsiglia perché non
poteva certo andare a Aix, dove non aveva più casa, la moglie si era divorziata
e l’attendevano solo i creditori. Naturalmente durante quella memorabile
missione non mancava di essere presente in chiesa a sentire suo figlio. Una
volta, al termine della predica, la gente scoppiò in un applauso che non finiva
più. Allora il povero vecchio non potette trattenersi e a una donna che aveva
vicino disse tutto orgoglioso: “Quello è mio figlio!”. La donna lo abbracciò di
slancio… Forse fu la sola consolazione di quegli ultimi difficili anni.
Soltanto il fratello Fortunato, ogni mese, andava a trovarlo, nessun’altro
della famiglia.
Poteva essere orgoglioso di quel figlio. Aveva seguito la
processione finale della missione. Una grande croce, che dovette essere portata
da 16 uomini tanto era pesante, iniziò la processione dalla chiesa sul porto e
attraversò tutta la città parata a festa. Durò sei ore, fino a quando giunse di
nuovo al porto dove la croce venne caricata su un barcone assieme alla banda
musicale, attraversò il porto, e fu accolta dal vescovo dall’altra parte del
porto e piantata alle Accoules.
Sono tornato a vedere la casa dove il presidente della corte
dei conti di Aix (ormai aveva dimenticato da tempo quel titolo!) aveva il suo
piccolo appartamento e dove è morto il 20 ottobre 1829, l’anno stesso che aveva
seguito la missione.
«Che bella morte! – ricorderà anni dopo sant’Eugenio. Quanta
pazienza, quanta rassegnazione, quanta devozione alla Beata Vergine, quanta
pietà! Fui io ad amministrargli il sacramento dell'estrema unzione. Con quanta
fede rispondeva a tutte le preghiere! Stavo adempiendo a un dovere molto
doloroso per la mia natura, ma molto consolante su piano spirituale,
esortandolo fino all'ultimo respiro. Quanto apprezzò tutto ciò che il buon Dio
mi diede la forza di dirgli! "Abbi cura della mia povera anima, mio buon figlio", mi disse. Quando
non ne potevo più, uscivo un
momento nel vestibolo per dare sfogo ai miei singhiozzi. Poi tornavo, sostenuto
dalla grazia del mio santo ministero, per continuare le mie brevi ma continue
esortazioni. Mai ho parlato a un morente con più unzione. Mi sembrava che con ogni parola elevassi mio padre a
un grado di gloria nell'eternità. Godeva molto delle mie parole, o meglio dei
sentimenti che il buon Dio mi ispirava. Conservò la conoscenza, fino al suo
ultimo respiro. Mi aveva confidato che non aveva passato un solo giorno della vita
senza invocare la Beata Vergine e che non aveva mai voluto leggere un libro
contro la religione, eppure la sua giovinezza era stata tempestosa. Oh! santa
fede, quale tesoro per un'anima che la custodisce!».
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