sabato 12 aprile 2025

Un povero somaro, ma Gesù ne ha bisogno

Cantavo a tutta voce “Púeri Hebræórum, portantes ramos olivárum”. Sì, in latino, in gregoriano, perché in quei primi anni Sessanta del secolo scorso la liturgia era ancora in latino. Mi rivedo ragazzo durante la processione delle palme che si svolgeva nella piazza del duomo con tutta la gente che ci guardava… Mi sentivo importante e pensavo che la gente guardasse me.

Proprio come accadde all’asino che portava Gesù in groppa. Di sicuro quell’asinello si sarà montato la testa. Vedendo che tutti battevano le mani, stendevano i mantelli sotto i suoi zoccoli, agitavano davanti a lui rami in segno di festa, avrà pensato che tutto questo fosse per lui: “Guarda quanto sono bravo, come mi acclamano!”.

L’asino è un animale testardo, sembra poco intelligente, eppure, sorprendentemente, Gesù dice che ne ha bisogno: «Troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”» (Lc 19, 30-31). 

Anch’io come quell’asino. Gesù ha bisogno di me? Ma io sono un asino! Proprio per questo ha bisogno di me. Quello che deve apparire non è l’asino ma colui che l'asino porta su di sé. L’asino vale solo e in quanto porta Gesù. Come me, valgo solo e in quanto porto Gesù.

Non montiamoci la testa. Che non ci venga in mente di mettere in mostra noi stessi. Sì, Gesù ha bisogno di noi, ci usa come vuole, ci fa fare cose alle quali non avremmo mai pensato. Rimaniamo comunque dei poveri somari, non contano le nostre doti, i nostri meriti, le nostre qualità. Vale solo colui che portiamo sulle nostre spalle, valiamo solo se siamo strumenti del suo amore. Siamo a suo servizio. Eppure, bontà sua, ha comunque bisogno di noi... troppo grande il suo amore che ci prende in seria considerazione.

venerdì 11 aprile 2025

Tenere viva la tensione verso la meta

 

Ho scritto tante volte che non c’è viaggio vero senza meta. Senza una meta non si parte neppure. Deve essere ben chiara, seducente per accendere il desiderio, far bruciare dall’ansia di raggiungerla, infondere il coraggio per affrontare i rischi che il cammino certamente implica.

L’aveva ben capito questo padre del deserto: «A un anziano fu chiesto: “Come può un monaco pieno di zelo non restare scandalizzato quando vede qualcuno ritornare nel mondo?”. Ed egli rispose: “Bisogna guardare i cani che cacciano le lepri: uno di loro, avvistata la lepre, la insegue finché non l’abbia raggiunta, senza lasciarsi trattenere da nulla; gli altri invece vedono soltanto il cane che insegue e corrono con lui per un po’, poi ci ripensano e tornano indietro. Solo quello che ha visto la lepre la insegue finché non l’abbia raggiunta e nel perseguire la meta della sua corsa non si lascia trattenere da quelli che sono tornati indietro, né si preoccupa dei precipizi, dei rovi o delle spine. Così anche colui che cerca Cristo, fissando incessantemente la croce, supera tutti gli ostacoli che incontra, finché non abbia raggiunto il Crocifisso”».

giovedì 10 aprile 2025

Non amiamo la via più della patria

Nelle lezioni all’Internoviziato dei Castelli oggi sono arrivato alla fine del primo millennio, passando attraverso i monaci itineranti che attraversavano l’Europa come autentichi pellegrini, che con la loro vita testimoniavano il cammino verso il cielo. Tra gli altri ho letto questo passo si san Colombano che dall’Irlanda è sceso fino all’Italia…

Non amiamo la via più della patria, per non perdere la patria eterna (…). Conserviamo salda in noi questa convinzione, così da vivere nella via come viandanti, come pellegrini, quali ospiti del mondo, senza legarci ad alcuna passione, senza desiderio alcuno dei beni terreni, ma in modo tale da colmate le nostre anime della bellezza delle realtà celesti e spirituali, cantando con la virtù e con la vita: «Quando verrò e apparirò davanti al volto di Dio? Infatti l’anima mia ha sete del Dio forte, vivo» (Sal 42, 3). (San Colombano, Istruzioni, VIII, 2)



mercoledì 9 aprile 2025

Fare strada insieme

Che bel libro! Fa capire la bellezza del camminare insieme, questa famosa sinodalità… Un libro idealista e realista, come il suo autore. Inizia col fare vedere l’importanza dell’essere insieme, uguali e diversi, “un’unità nella quale le differenze si esaltino e si integrino nello stesso tempo”, nella complementarietà tra società e la persona che “quando si integra cordialmente in una comunità, non si annulla ma riceve sempre nuovi stimoli per il proprio sviluppo”. Belle le pagine sulle diversità delle culture e sul bisogno di accogliersi così come si è, scoprendo il bello dell’altro…

Poi si passa alla Chiesa come popolo di Dio in cammino, in una solidarietà che va ben al di là dei ruoli. Quindi la vita consacrata come persone mescolate tra tutti, con il loro apporto peculiare. E avanti con le modalità concrete della sinodalità, per una missione comune…

La tematica si fa vicina, interessante, attraente, concreta, perché affrontata tenendo presente le difficoltà, le remore… In definitiva camminare insieme sembra proprio possibile, basta solo un po’ di buona volontà e tanta voglia di conoscere, di imparare gli uni dagli altri…

Grazie al Preside del Claretianum, Maurizio Bevilacqua, per averci dato questo piccolo prezioso libro: Fare strada insieme. La sinodalità nella vita consacrata.

Buon cammino!

martedì 8 aprile 2025

La nostra vita un pellegrinaggio

La vita consacrata può essere letta come un’espressione profetica del cammino e del pellegrinaggio umano e soprattutto cristiano: un pellegrinaggio. Essa, convenzionalmente, nasce con il mettersi in cammino di Antonio del deserto. Il suo è un itinerario che lo porta nel deserto, sempre più lontano dal villaggio di origine. La Vita Antonii descrive le tappe progressive del viaggio, che acquista una valenza teologica e si trasforma in un autentico pellegrinaggio: è un cammino verso Dio, verso una comprensione e una immedesimazione sempre più profonda di Cristo: diviene “l’amico di Dio”; ha una valenza antropologica: è la progressiva liberazione della propria umanità da ogni condizionamento per trovare l’armonia e la purezza delle origini, fino a far nascere l’”uomo nuovo”; ha una valenza ecclesiale: più egli si allontana dal consorzio umano più la sua vita diventa feconda per la Chiesa sbocciando in autentica paternità, fino a farlo diventare “apa” Antonio. La sua motivazione iniziare è decisamente evangelica, rispondente all’invito: “Va, vendi tutto, dallo ai poveri, e seguimi” (cf. Mc 10, 21). È una interpretazione letterale della sequela Christi.

L’itineranza fisica verrà presto guardata con sospetto, a favore della stabilità, anzi sarà espressamente condannata, almeno in certe sue evidenti deviazioni. Basterà ricordare la Regola di Benedetto che ostracizza i “girovaghi” «perché per tutta la vita passano da un paese all’altro, restando tre o quattro giorni come ospiti nei vari monasteri, sempre vagabondi e instabili, schiavi delle proprie voglie e dei piaceri della gola, peggiori dei sarabaiti sotto ogni aspetto» (1, 10-12). Nello stesso tempo la stabilitas, intesa come perseveranza, che si attualizza nel radicamento nella propria cella, nel monastero, nella comunità, è sempre una stabilitas in peregrinatione; il monaco rimane uno straniero, perché la sua patria è il cielo.

Eppure il richiamo al viaggio e al pellegrinaggio fisico, anche in considerazione dei modelli biblici, continua ad attrarre. A volte si esprime in maniera personale, devozionale, basti pensare alla monaca (?) Egeria “pellegrina” che dalla Spagna va in Terra Santa, e al suo scritto Itinerarium o Peregrinatio. Presto la peregrinatio pro Christo diviene una vera e propria istituzione, soprattutto a partire dall’Irlanda. Non vi sono deserti nella verde Irlanda, né monti su cui ritirarsi – vi sono soltanto dolci colline. Ecco allora che il viaggio si compie sul mare, come per Brendano, o verso le isole, o in terre straniere come per Colombano. Molti monaci, già inclini alla vita nomade, si fanno pellegrini ed emigrano verso la Scozia, la Gallia, la Germania, l’Italia. Mossi da una iniziale motivazione ascetica, si trasformano presto in grandi evangelizzatori. Il movimento missionario non caratterizzerà soltanto il monachesimo irlandese, ma diverrà una caratteristica di gran parte dei monaci e successivamente delle più differenti forme di vita consacrata.

lunedì 7 aprile 2025

Amare significa...



Amare significa
pensare a qualcuno
dimenticando se stessi.

domenica 6 aprile 2025

La vita è come uno specchio


La vita è come uno 
specchio:

Ti sorride se la guardi
sorridendo.

E' una delle tante frasi che affiancano la lunga strada pedonale che da Valle Aurelia conduce a Monte Mario, disegnate dai ragazzi delle scuole...

sabato 5 aprile 2025

Semplicemente: "il missionario"

Qualche volta accompagna una persona a Roma. Le porta pacchi e valigie, aspetta con pazienza in piedi tutto il tempo voluto dall’altro, e sempre con grazia. “Dovere!”.

Rialza da terra un bambino spaurito e in lacrime e lo porta alla mamma un po’ lontana, magari tenendolo in braccio e accarezzandolo finché la mamma non abbia finito un lavoro urgente.

Si priva della frutta per portarla ai bambini e racconta loro delle novelle per tenerli buoni.

Se accompagna una persona anziana o sofferente, le dà delicatamente il braccio, va piano per non stancarla, fermandosi di tanto in tanto, portando lui stesso quanto necessario. Porta il tabacco ai vecchi, si presta a cercare gli oggetti smarriti…

È il padre buono. Anzi, per tutti è semplicemente “il missionario”: lo chiamano così.

Giorno di festa. Ha terminato la terza messa in campagna. Naturalmente non aveva preso nulla con sé da mangiare. Una famiglia amica lo invita in casa e la signora gli prepara una tazzina di caffè con un uovo con tre cucchiaini di zucchero. Per quanto sbatta, l'uovo non cresce. C'è poco zucchero, pensa la signora: e giù un altro cucchiaino di zucchero, poi un altro e un altro ancora, fino a sette. Senza fretta, p. Armando, un cucchiaino dopo l'altro, centellina il preparato, come per meglio gustarlo. Il suocero mette lo zucchero nel suo caffè: al primo sorso fa una smorfia e chiede alla nuora: “Cosa ci hai messo?”. Distrattamente aveva vuotato nella zuccheriera un pacchetto di sale raffinato!... Piovono i rimproveri e lui si intromette a scusare con una pietosa bugia: “Per me andava benissimo; altre volte l'ho preso così, in alta Italia”.

Era fatto così p. Armando. Sì… è p. Armando Messuri.


venerdì 4 aprile 2025

Le belle foto di una volta

Ho terminato di scrivere un piccolo libro su p. Armando Messuri. Cercando tra le foto ecco apparirne una del 19 marzo 1920: che bella squadra. Tutti in posa! I più disinvolti sono i più piccoli, seduti in prima fila.

Ci sono gli Oblati, gli apostolini, ossia i giovani seminaristi che si preparavo a diventare “apostoli” (hanno tutti la veste nera e un piccolo crocifisso), e i collegiali: la Scuola apostolica e il Convitto di Santa Maria a Vico al completo.

Impalato, terzo da destra nella terza fila a partire dall’alto, Armando Messuri, dallo sguardo un po’ incerto; ha 18 anni e non sa ancora bene cosa farà nella vita. Comunque il mese successivo sarà già in Valle d’Aosta per iniziare il noviziato.

La foto dentro gliel’ha fatta il superiore, p. Giuseppe Drago: “Timido per natura, spesso mostra meno di quel che sa. In compenso è dotato di una grande bontà di cuore e di ottima volontà, cosa che ci ha fatto passar sopra a qualche difettosità dal lato dello studio. Con il riposo dagli studi potrà riacquistare robustezza e sviluppo di intelligenza, e potremo avere in lui un buon missionario”. Niente di straordinario. Comunque avanti. Riuscirà? Diventerà davvero un buon missionario? Vedremo… Lo racconto nel libro!

Intanto ci godiamo questa bella foto. Da quei bambini e ragazzi, oltre che a grandi missionari, sbocceranno magistrati, avvocati, medici, professori, farmacisti, amministratori, impiegati, sacerdoti…

giovedì 3 aprile 2025

Solidarietà

Oggi, parlando alla comunità di Marino, mi sono reso contro dell’importanza di una parola che non è molto messa in evidenza: la “solidarietà”. La nostra Regola la usa quattro volte, assieme al termine “solidali”. Una parola che non trova molto impiego nel linguaggio corrente, eppure nasconde grandi potenzialità. La prima volta compare nella C 38: “Uniti dall’obbedienza e dalla carità, tutti, Sacerdoti e Fratelli, sono solidali gli uni gli altri nella loro vita e azione missionaria anche se, sparsi per il bene del Vangelo, possono solo per brevi intervalli gustare i benefici della vita comune”.

Le attività possono completarsi a vicenda ed essere portate avanti l'una accanto all'altra, ma a volte senza profondi rapporti tra loro. In questo caso c’è una coesistenza più o meno pacifica, ma non molto di più! Non basta stare attenti a non pestarsi i piedi e far bene ognuno il suo lavoro. Perché ci sia una perfetta coesione nella missione comune, è necessario che ci sia la solidarietà, ossia intesa, stima, incoraggiamento reciproco, sostegno, attenzione e interesse al lavoro dell’altro...

Sant’Eugenio sentiva molto intensamente la solidarietà in questo senso e la chiedeva a tutti per il bene di tutti. Nel gennaio 1850, scrivendo a padre Baudrand, superiore a Longueuil, in Canada, gli dava notizia dell'attività degli Oblati in Inghilterra, aggiungendo: “Rallegriamoci di tutto il bene che viene fatto dai nostri nelle quattro parti del mondo. Tutto è solidale tra noi. Ciascuno lavora per tutti e tutti per ciascuno. Oh, quanto è bella e commovente la comunione di santi!”. Anche nella lettera ai neo-professi, il 24 luglio 1858: “Calcolo, per così dire, in anticipo tutto il bene che farete nel corso della vostra vita. Non solo sarete arricchiti da questi meriti, ma nella solidarietà della nostra famiglia, sarete arricchiti da tutto ciò che sarà meritorio nell'opera dei vostri fratelli in tutte le parti del mondo”.

Inviando le sue ultime raccomandazioni alla prima comunità di Oblati in partenza per il Canada, il 9 ottobre 1841, aveva scritto: “Siamo tutti membri di uno stesso corpo; ognuno di noi contribuisca con tutti i suoi sforzi e sacrifici, se necessario, al benessere di questo corpo e allo sviluppo di tutte le sue facoltà”.

La nostra Regola riprende questi pensieri e afferma: “Siamo tutti responsabili in solido della vita e dell'apostolato della comunità” (73) e richiede la partecipazione di tutti per realizzare insieme la missione (C 96).

Questa solidarietà presuppone una “unità di spirito e di cuore” radicata in Cristo, che ci fa una cosa sola e ci invia ad annunciare il suo Regno (C 37 § 3). Essa richiede accoglienza, sostegno e condivisione nella fiducia reciproca, come è scritto nella C 39: “Ciascuno metterà a servizio di tutti i doni di amicizia e i talenti ricevuti da Dio. Questa comunione contribuirà a intensificare la nostra vita spirituale, la crescita intellettuale e l’azione apostolica”.

Sono suggerimenti semplici e profondi: comunicare quello che si vive, diventare amici, mettere in comunione i doni ricevuti…

Mi piace leggere la rubrica quotidiana “Una parola al giorno”. La parola “solidarietà” è stata commentata il 7 giugno 2013, come al solito con un bel commento:

La solidarietà è il sostegno reciproco, al modo in cui ogni parte di un solido è retta e tenuta salda da tutte le altre: nessuna si ritrova sola nel vuoto. La solidarietà è quindi la compattezza del corpo sociale, il suo essere massiccio - e ci spiega che la forza di un corpo sta nella sua coesione. Coesione che si esprime innanzitutto nella mutua assistenza, in una fratellanza che scaturisce dalla coscienza di far parte di un uno.

Quando non ci curiamo di qualcuno che sta male o è in difficoltà - càpita -, ecco che nel solido si apre una crepa: una sola, una crepa da nulla. Ma di crepa in crepa il corpo si indebolisce, le fenditure si allargano fino a renderlo fragilissimo, incoerente - che perde pezzi, fra i quali ci siamo anche noi. Il modo in cui questa parola viene usata ci dice che è l’aiuto il cemento del corpo in cui viviamo, il venirsi incontro nella partecipazione di un destino comune in cui nessuno dovrebbe essere lasciato indietro o dimenticato: una società solidale è una società solida. (E pare che sia un valore di un certo rilevo, da qualche milione di anni a questa parte.)

 

mercoledì 2 aprile 2025

Il presente

Ho preparato le lezioni per domani, il ritiro per la comunità oblata di Marino, un altro ritiro per sabato, ho lavorato all’ultima stesura della biografia di Armando Messuri, ho fatto una bella chiacchierata con uno dei nostri studenti… 

E il blog? E se non ci fosse niente da scrivere perché oggi ho già scritto tanto? Il passa parola di oggi dice: “Vivere l’attimo presente”. Che vuoi di più? Forse basta aver vissuto un po' quello…

martedì 1 aprile 2025

Diceva ciò che viveva

Mi sono capitati tra mano due libri su p. Giovanni Giuseppe Françon, una missionario oblato della seconda metà del 1800. Sant’Eugenio lo stimava e sapeva il gran bene che faceva nella sua predicazione nelle campagne, ma lo riteneva un po’ troppo rozzo e grossolano. Eppure il suo primo biografo scrive di lui un elogio che mi pare straordinario:

«Padre Françon era prima di tutto un missionario santo; uomo di preghiera e di orazione, viveva di Dio, in Dio, per Dio. Non si mai allontanato dalla sua presenza». Ed ecco ciò che più mi ha colpito: «Era penetrato fino al profondo dell'anima dalle verità che annunciava. Non predicava le sue letture; i suoi discorsi non erano tanto frutto dei suoi studi, quanto delle sue meditazioni quotidiane e dei suoi ritiri».

Diceva ciò che viveva! Ti pare poco?