È il più fortunato degli incipit di
Gesù: «Un uomo aveva dei figli...». Appare subito il Padre misericordioso, che
dà corda alla fuga ribelle, vive in trepida attesa, accoglie senza
recriminazione, perdona con generosità, dona la possibilità di ricominciare. Se
non lo avesse detto Gesù, chi avrebbe creduto che Dio è così? Perché, a
immagine d’uomo, l’abbiamo dipinto irato e vendicativo e non nell’abbraccio
rigenerante, nel bacio della pace?
Tra i due figli ci piace identificarci
con il più giovane. Riconosciamo in lui le nostre rivolte, le fughe dalla volontà
del Padre, l’insofferenza alla tua legge, gli errori, i peccati di cui siamo
capaci, la tristezza e la solitudine in cui ci gettano le scelte sbagliate.
Ma soprattutto ci vediamo espressi nel
desiderio del ritorno, anche se con l’incertezza di come saremo accolti, col
timore del meritato castigo. Più ancora il figlio minore ci dà la speranza del
perdono, ci svela il volto di un Padre capace di inaspettato amore, ci protende
al suo bacio, ci apre all’intimità della casa ritrovata.
Più difficile identificarci col figlio
maggiore, sdegnoso, geloso, intollerante, gretto e meschino, senza quell’aura
d’intraprendenza e d’avventura che rende comunque affascinante il giovane. «Questo
tuo figlio», dice al padre per indicare il fratello, che non riconosce più come
tale. «Questo tuo fratello», risponde il padre, ricordandogli che il prodigo
peccatore è pur sempre suo fratello.
Soltanto quando nel fallito, nel
ribelle, nel cattivo riconosco “mio fratello”, come il Padre misericordioso
saprò pregare, sperare, attendere, accogliere, perdonare, donare fiducia
perché, morto ritorni in vita, perduto sia ritrovato.
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