San Carlo Borromeo e san Carlo Giuseppe Eugenio de Mazenod: tutti e due nobili, conti, titolo che Eugenio rivendicò presso la corte di Napoli e Palermo; tutti e due vi rinunciarono per un titolo ben più nobiliare: servo di Cristo; tutti e due vescovi di due grandi città, Milano e Marsiglia; tutti e due santi.
San Carlo Borromeo era il suo
patrono personale, come di tutta la famiglia de Mazenod nella quale il primo
nome di ogni maschio era Carlo (ma anche la sorella, Eugenio, si chiamava
Carlotta). Celebrava con particolare gioia l’onomastico ed era contento quando,
diventato fondatore, gli Oblati gli facevano gli auguri accompagnati da qualche
regalo.
Nel
suo viaggio a Milano nel 1826 ne visita la tomba (cf. a Tempier, 14 maggio
1826).
Lo
venera con affetto e lo prega regolarmente: “Mi rivolgerò anche al mio
buon angelo custode, a s. Giuseppe, a s. Carlo, a s. Eugenio, a s. Luigi
Gonzaga” (Appunti di ritiro Maggio 1811).
Il confronto tra la propria vita e quella
del santo protettore sarà sempre vivo e di sprone. Ne ricorda lo zelo (cf. a
Tempier, 15 Agosto 1822). Lo prende ad
esempio del distacco interiore dalle cose “imitando s. Carlo mio patrono che
praticava la povertà” (Ritiro compiuto nel seminario di Aix nel dicembre 1814);
della frequenza della confessione richiesta a lui come a ogni sacerdote,
“se vuoi perseverare nella virtù e nella
limpidezza della coscienza richiesta per salire ogni giorno all’altare di
Dio”: “mi limiterò a richiamare l’esempio dei santi, quali un s. Filippo Neri,
un s. Carlo Borromeo e tanti altri che si confessavano tutti i giorni…” (Regolamento redatto
durante il ritiro di Aix nel dicembre del 1812).
“Le grandi imprese di un s. Carlo
Borromeo – affermava con sincerità – hanno sempre suscitato nel mio cuore più
soddisfazione e gioia che non ammirazione” (1 Agosto 1830)
Nel
diario della missione tenuta a Marignane racconta di aver parlato alla gente
“sulla necessità di una grande espiazione sull’esempio di Gesù e quello di
parecchi santi: fra gli altri s. Carlo Borromeo il quale, durante calamità di
minore importanza s’è offerto vittima; ma egli voleva allontanare soltanto
castighi temporali mentre noi vogliamo debellare la malattia orribile che
divora e perde le anime: per questo i missionari volevano imitarlo”.
Ammira il suo coraggio
nell’applicare le riforme richieste dal Concilio di Trento e le paragona a
quanto accade a Marsiglia: “Se per le grate
dei confessionali i parroci di Marsiglia fanno tanto chiasso, che avrebbero detto
delle riforme di S. Carlo, che direbbero di quelle da dover fare anche a
Marsiglia?” (A Tempier, 9 marzo 1826).
San Carlo è punto di riferimento
anche per il suo episcopato. Una volta, confrontandosi con certi provvedimenti
presi da altri vescovi della Francia, affermò chiaramente: “Si vuol passare per
miti e compassionevoli, ed ora che ci si è messi in moto si fa a gara a chi
darà più dispense per non restare indietro. S. Carlo non si sarebbe comportato
in tal modo, e nemmeno io che non sono s. Carlo ma Carlo e basta” (9 luglio
1832).
San Carlo Borromeo non è soltanto
protettore suo e della sua famiglia, ma anche dei suoi missionari, come scrive
allo zio Fortunato: “Noi prenderemo per protettori e per modelli s. Carlo e s.
Francesco di Sales, la nostra casa sarà un seminario per regolarità, la vostra
vita un esempio per i vostri sacerdoti” (17 novembre 1817).
Il nome di san Carlo era apparso fin
dal primo progetto di dar vita ad una comunità di missionari: “Vivremo assieme
in una casa da me comprata – aveva scritto al futuro primo compagno – sotto una
Regola che adotteremo di comune intesa, ispirandoci agli statuti di S. Ignazio,
di S. Carlo, di S. Filippo Neri, di S. Vincenzo de' Paoli e del b. Alfonso dei
Liguori” (9 ottobre 1815).
Al punto che, quando decide di
andare dal Papa per l’approvazione pontificia, cambia il nome di “Missionari di
Provenza” (non più adatto perché i missionari sono ormai anche fuori della
Provenza), in “Oblati di San Carlo”. Quando però si trova davanti al papa gli
chiede: “Vostra Santità approva che la Società prenda il nome di Oblati della
SS. e Immacolata Vergine Maria al posto di quello di Oblati di S. Carlo preso
precedentemente?”. “Il Papa, continua sant’Eugenio, non rispose né si né no… Il
cambiamento m'è parso necessario per non essere confusi con infinite comunità
che portano la medesima denominazione” (A Tempier, 22 dicembre 1825). Al
momento il cambio del nome non gli sembrò di grande importanza e motivato da
contingenze. Solo più tardi si rese conto che, pur con tutto l’amor e la
venerazione per san Carlo, il nome faceva bene la differenza!
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