31 km per attraversare 5.000 anni di storia. È il cammino che sto
percorrendo in questi giorni e che porta da Gonnesa a Sant’Antioco. Gonnesa, un paesotto
arruffato e sgraziato nella punta meridionale della Sardegna, con una storia
che risale al 1000. Spopolato nel 1400
a causa di carestie e pestilenze o delle frequenti incursioni piratesche,
riprese vita alla fine del 1700 con la tipica attività pastorizia, fin quando
nella seconda metà del 1800 si sviluppò l'attività mineraria. La crisi
dell'industria mineraria del secondo dopoguerra ne ha ridisegnato lo scenario
economico-sociale ed ora punta sul turismo delle sue spiagge.
Ma il mio itinerario parte da
fuori paese, da una collina appena segnalata dalle indicazioni stradali: il
complesso nuragico di Seruci, uno dei più grandi della Sardegna.
Nel pomeriggio assolato, le
pecore immobili all’ombra di piante di sughero che il vento ha irrimediabilmente
piegato sono l’unica presenza vivente in una campagna arida e silenziosa. Una strada
solitaria, che si dirama dalla provinciale, altrettanto solitaria, si perde
sulla collina lasciando davanti l’imponete sito archeologico: il grande nuraghe.
Le misteriose costruzioni megalitiche conosciute dai libri delle elementare, che
ho sempre sognato di vedere, si materializzano in questo imponente mastio
contornato da almeno cinque torri unite da un bastione. Tutto attorno il villaggio,
composto da oltre cento capanne circolari divise da strette stradine che
portano tutte verso una piazza centrale, al centro del villaggio, dove si trova
quella che è stata denominata la Sala del Consiglio.
Entro nella massiccia costruzione, il nuraghe, uno delle settemila sparsi su tutta l'isola,
sulla cui funzione archeologi e storici non sono concordi:
edificio a carattere civile-militare, fortezza, sede delle decisioni
comunitarie, tempio, luogo di mercato, residenza del capo del villaggio, o
varie combinazioni fra queste possibilità? Mi aggiro tra cunicoli, stanze,
passando da porte dalle passe architravi, il tutto in grandi pietre tirate su a
secco, con mura spessi metri e metri, soggiogato dal senso di grandezza e dai
peso dei millenni. Risale al 1700, al 1500 avanti Cristo?
Ho voluto conoscere le impressioni di alcuni scrittori:
trascrivo quelle nelle quali più mi ritrovo. Comincio da Virgilio Lilli che nel suo Viaggio in Sardegna del 1932 scrive: ”Il Nuraghe
è forse la costruzione più solitaria che io abbia incontrato. Più solitaria
delle piramidi d’Egitto, più solitaria delle Sfingi”. Carlo Levi in Tutto il miele è finito:
”Dentro al nuraghe c’è ombra e silenzio, e, naturalmente, senza intervento
dell’immaginazione o sforzo della ragione o della fantasia, il senso fisico di
essere in un altrove, in una regione ignota, prima dell’infanzia, piena di animali
e di selvatica grandezza”.
Nel Diario sardo Alfonso Gatto annotò: ”Su questi
altopiani tagliati netti nel cielo come piattaforme, i protosardi, i piccoli e
ostinati guerrieri dei nuraghi, costruirono le proprie fortezze e i propri
villaggi circolari, così incisi e forti da dare ancora oggi il brivido della
vita che li animò. Siamo riportati alle origini, alla nascita degli umani
accorgimenti, alla rivelazione di gesti che si ripetono, si provano, si
associano per dar forma e luogo al lavoro e alla vita”.
Il filosofo tedesco Ernst Jünger, in Terra sarda: ”Il
nuraghe è una fra le cellule germinali dell’architettura d’Occidente. La
forma del nuraghe richiama un mondo al di fuori della storia, immerso nel sogno.
La sua rotondità, che ricorda un’anfora o una coppa, ha tratti femminili”.
Dominique Fernandez in
Madre mediterranea: ”Si vedono spesso, isolate nella campagna
sarda, quelle torri corpulente chiamate nuraghi, fatte di blocchi di pietra
sovrapposti a secco. L’interno è percorso da un dedalo di corridoi e di scale. Oggi
offrono riparo a greggi, e forse alle primitive paure dei pastori, che
ritrovano in questo rifugio oscuro e circolare l’immagine lontana della torre
primordiale, dell’andito originale della vita”.
Il poeta Tonino M. Rubattu: “Se
vedi il nuraghe / nelle alture / che da sempre / lotta contro il vento, /
fèrmati, forestiero, un momento / perché sei capitato nella mia Terra”.
Infine Nino Savarese in
Cose d’Italia dei
nuraghi scrive: ”Sembrano sfuggiti alla custodia della storia. L’intimità di
queste strane case non è stata violata, con la mole delle loro pietre esse
voltano le spalle agli uomini e si allontanano nella solitudine”.
Molte belle queste citazioni...è proprio così, i nuraghe mantengono intatto un profondo e misterioso silenzio che ci riporta indietro di millenni...in tempi così lontani che non riusciamo a immaginarli, ma anche allora, vicino ai nuraghe, c'erano uomini come noi...
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