martedì 9 agosto 2011
Vescovo: Una visione d’alto
Al mio professore di ecclesiologia non piaceva che il nuovo papa facesse tanti viaggi in gi-ro per il mondo. Gli sembrava lo distogliessero dal compito di governo, col rischio di “non mettere le mitre sulle teste giuste”. Era anche dispiaciuto del fatto che un grande vescovo come Agostino fosse rimasto confinato a Ippona, una città di periferia, senza venir “pro-mosso” ad una cattedra degna di lui, come se la grandezza di un vescovo si misurasse dal prestigio della sua città.
Giovanni Paolo II e Agostino erano due grandi vescovi perché avevano una visione d’insieme, secondo il significato etimologico della parola “vescovo” = epì-skopos, uno che guarda dall’alto, che veglia e sor-veglia. È lo stesso compito che san Francesco affidava al superiore della sua comunità chiamandolo “guardiano”. Non con l’intento poliziesco di sorvegliare perché non si commetta il crimine o per reprimerlo e punirlo appena lo si scor-ge grazie alla “visione dall’alto”, ma con quello amoroso di chi si prende cura dell’altro.
Il recente conferimento del pallio a 40 arcivescovi metropoliti, così come lo spostamento di alcuni vescovi italiani, a cominciare da Scola a Milano, è l’occasione per riflettere sul loro ruolo. Benedetto XVI, imponendo il pallio e ricordando i suoi sessanta anni di sacerdozio, ha giustamente dato rilievo soprattutto alla dimensione spirituale, all’amicizia personale con Cristo, espressa nella “comunione del pensare e del volere”, e al compito di “introdurre altri nell’amicizia con Cristo”. Nessuno può tuttavia misconoscere l’incidenza sociale e po-litica che hanno avuto ed hanno i vescovi, a cominciare dai due appena ricordati, Agostino e Giovanni Paolo II – al di là di come essa possa essere giudicata: dovuta, opportuna oppu-re “indebita ingerenza”…
La loro missione mi sembra vada compresa proprio a partire dal nome di “vescovo”. In una società dalla visione parziale e parcellizzata, dominata dagli interessi di parte e sempre più faziosa, sentiamo il bisogno di uno sguardo ampio, di quella “visione dall’alto” che rende capaci di cogliere le esigenze contrastanti, di porsi in ascolto delle diverse voci, di portare al dialogo i molteplici soggetti, di coinvolgere e armonizzare le forze (e le debolezze) e gli attori nell’ambito ecclesiale e civile. Più ancora abbiamo bisogno di una “visione dell’alto”, che sappia contemplare e tradurre il disegno di Dio sull’umanità in un progetto globale di senso. È così che vediamo i nostri vescovi.
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