“Nella sera della vita saremo giudicati sull'amore”. Queste parole di san Giovanni della Croce sintetizzano l’ultimo grande discorso di Gesù: «Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria… davanti a lui verranno radunati tutti i popoli… A quelli che saranno alla sua destra dirà: "Venite, benedetti del Padre mio… perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto… In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: "Via, lontano da me… perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto… tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me» (cf Mt 25, 31-46).
Subito dopo il Vangelo continua: «Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli: "Voi sapete che fra due giorni è la Pasqua e il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso"» (Mt 26, 1). La Pasqua di Gesù, il suo passaggio dalla terra al cielo, è il momento nel quale, dopo aver amato tutta la vita, come ha appena insegnato, dispiega al massimo il suo amore: ama fino alla fine con l’amore più grande, capace di donare la vita per gli amici. Ha vissuto quanto ha predicato.
Come la Pasqua di Gesù, ogni morte è chiamata a diventare una Pasqua - il compimento di quell’amore che dovrebbe aver segnato la vita intera -, che introduce nel seno del Padre, nell’abbraccio della Santissima Trinità, nel gaudio del Paradiso.
Tale è stata la morte di sant’Eugenio de Mazenod, avvenuta 150 anni fa, la sera del 21 maggio 1861: una Pasqua, un passaggio al Padre consapevole, accolto, voluto, nell’amore: «Voglio una cosa sola – lo si sentiva ripetere in quei momenti –, che si compia la santa volontà di Dio… è tutto ciò che desidero nel mio cuore»; «Se mi assopisco, e sto peggio, vi prego di svegliarmi; voglio morire sapendo che muoio». «Muoio felice». La vita non gli veniva tolta, egli stesso la donava (cf Gv 10, 18). Chiedeva soltanto di poter tenere in mano, per le ultime 30 ore consecutive, la croce e la corona del rosario, quasi fossero le sue armi per affrontare l’agonia, l’agone, il combattimento finale.
Compiuta la sua Pasqua, si ritrovò al di là, faccia a faccia con Dio. Una sola domanda gli fu rivolta, la sola che sarà rivolta ad ognuno di noi: hai amato?
In quel momento tutta la vita passa dinanzi con la rapidità di un lampo e la rivedi nella sola luce nella quale andava vissuta e che sola le dava senso. Dall’amore si giudica una vita, da quanto abbiamo amato.
Anche Eugenio la ripercorse in un lampo e vide che, come aveva scritto alla vigilia della sua ordinazione sacerdotale, «Nel mio cuore non c’è che amore».
Chi ha amato? Come ha amato?
Lo vedremo sul blog, giorno per giorno.
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