Nei giorni della Settimana Santa, ne La Storia di Elsa Morante, ho riascoltato l’eco del grido di Gesù in Croce. Useppe, il bambino di Ida, effetto di epilessia, “addossato al muro del corridoio… con la faccetta chiusa come un pugno, contratta e raggrinzata in tante rughe… disse in una voce disperata: “A ’mà… pecché?”. In realtà, questa sua domanda non pareva rivolgersi proprio a Ida là presente: piuttosto a una qualche volontà assente, immane, e inspiegabile… Quella domanda: pecché? Era diventata in Useppe una sorta di ritornello… Lo si sentiva a volte ripeterla fra sé in una sequela monotona: “pecché? pecché pecché pecché pecché??” . Ma per quanto sapesse d’automatismo, questa piccola domanda aveva un suono testardo e lacerante, piuttosto animalesco che umano. Ricordava difatti le voci dei gattini buttati via, degli asini bendati alla macina, dei caprettini caricati sul carro per la festa di Pasqua. Non si è mai saputo se tutti questi perché innominati e senza risposta arrivino a una qualche destinazione, forse a un orecchio invulnerabile di là dai luoghi”.
Ho rivisto quel grido di Gesù in croce nel famoso dipinto di Edvard Munch, Il grido, del 1893, che sembra anticipare il sentimento tragico del Novecento. L’artista stesso ne rievoca le origini: «Passeggiavo con due amici quando il sole tramontò. Il cielo divenne all’improvviso di un rosso sangue. Io mi fermai, mi appoggiai stremato a un parapetto. Il fiordo di un nero cupo, bluastro, e la città erano inondati di sangue e devastati dalle fiamme. I miei amici proseguirono il cammino, mentre io, tremando ancora per l’angoscia, sentii che un grido senza fine attraversava la natura».
È proprio lo stesso grido di Gesù: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”.
La sua risurrezione è la risposta a tutti i “pecché”, a tutti i gridi inarticolati, anche quelli dei gattini, degli asini, dei caprettini, che attraversa tutta la natura…
stupenda descrizione del "pecchè?" di Useppe
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