giovedì 31 ottobre 2024

Tutti i Santi o Tutti Santi?

“Tutti i Santi”. Sì, perché non basta il calendario a contenerli tutti. Quanti sono i santi? Qualcuno li ha contati? Sarebbe come contare le stelle del cielo.

E se provassimo a togliere l’articolo “i”? Verrebbe “Tutti Santi”: un imperativo, un esortativo… forse anche una costatazione. “Tutti Santi”: un desiderio crescente di santità. 

Sant’Eugenio (c’è anche lui nella festa di Tutti i Santi!) ha desiderata la santità per sé e per tutti coloro ai quali era rivolto il suo ministero: voleva condurre le persone ad «essere prima ragionevoli, poi cristiani e infine aiutarli a diventare santi» (cf. Prefazione alla Regola). L’ha desiderata per gli Oblati, che supplicava: «In nome di Dio, siamo santi» (18 febbraio 1826). Ha creato la comunità come un luogo di santificazione, ha abbracciato la vita religiosa come mezzo efficace di santificazione, ha scelto la missione come ministero nel quale santificarsi e santificare, ha compreso e costantemente sottolineato l’intrinseco legame tra santità e missione, ha vissuto in modo da raggiungere la santità.

È l’appello di Chiara: santi insieme, santità di popolo, le sei “s” della santità: “sarà santo se sono santo subito”. «Non annacquiamo il Vangelo, non annacquiamo l’Ideale» (14 aprile 1970).

È l’appello di papa Francesco in apertura a Gaudete ed esultate: «Il Signore… ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente» (n. 1). Vuole «far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità» (n. 2). Spera che «tutta la Chiesa si dedichi a promuovere il desiderio della santità» (n. 177). 

In unità con Tutti i Santi, per essere Tutti Santi.

 

mercoledì 30 ottobre 2024

Statuti n. 64

Domani intervista videoregistrata per l’introduzione al corso dell'Università Popolare Mariana, sul tema della Regola. Saremo in tre a rispondere alle domande. Sappiamo già che una è comune a tutti e tre: “Un articolo degli Statuti che ti sta particolarmente a cuore”. Chiedono risposta flash. Allora la risposta flash è: “64”.

Se poi mi chiedessero di motivare direi che mi sta particolarmente a cuore per due ragioni:

Innanzitutto perché si cita esplicitamente la mia parola di vita: “Nulla infatti Dio ama se non chi vive con la sapienza” (Sap 7, 28). A dire il vero mi piaceva di più la precedente traduzione della CEI che diceva “chi abita” con la sapienza, comunque sono sottigliezze.

Poi perché in poche righe vi è la sintesi di tutta la spiritualità. Si dice che per avere la sapienza occorre:

- chiederla: tutta la dimensione della preghiera…

- vivere nell’amore evangelico con riferimento a Gv 14, 21, dove si afferma che l’amore consiste nell’accogliere e osservare i comandamenti di Gesù, in modo da essere amati a Dio così che possa manifestarsi: la volontà di Dio, la parola di Dio…

- abbracciare la croce, con l’amore a Gesù Abbandonato (“E tu sai – mi scriveva Chiara il 6 ottobre 1971 – che la Sapienza viene dalla croce, dall’amore a G.A. Convivi con Lui e sarai sapiente della Sapienza di Dio!), che fa splendere nel cuore il Risorto, che irradia i doni dello Spirito: Gesù Abbandonato, il Risorto, lo Spirito Santo...

- l’unità, in modo che Gesù in mezzo, frutto dell’amore reciproco, illumini il pensiero…

Mi pare di avere scelto un bel numero degli Statuti.

 

martedì 29 ottobre 2024

Un respiro per la città

Ieri sono passato per il Parco di Torre del Fiscale. Per la prima volta. Si snoda lungo l’acquedotto Felice. Sono stato più volte lungo la parte est, dove nel dopo guerra era nato un quartiere selvaggio di casupole e baracche nel quale hanno preso alloggio anche i Fratelli di Gesù e le Suore di Madre Teresa. Non ero mai stata nella parte ovest. Anche qui, e proprio addossati all’acquedotto, erano sorte centinaia di edifici abusivi. Un quartiere di povera gente. 

Oggi è tutto pulito, verde, un parco ben curato che fa onore al comune, con tante persone che vi passeggiano, vanno in bicicletta, leggono... 

L’acquedotto, anzi, gli acquedotti continuano a rimanere punto fermo nei secoli, capolavoro del genio romano.

Dà respiro alla città e apre verso il cielo.



  


lunedì 28 ottobre 2024

Un'oasi nella città

«Ripensai in quel momento alle notti sahariane, alle dune, alle interminabili piste che avevo percorso, alla ricerca dell’intimità con Dio, alle stelle indimenticabili che trapuntavano con tanta discrezione la dolcezza delle notti africane, simbolo profondo delle notti in cui la mia fede era immersa e in cui mi sentivo così bene e così al sicuro… Ma poi Dio mi fece sperimentare che non c’era “luogo” privilegiato dove Lui abitava ma che il Tutto era “luogo” della Sua abitazione e che ovunque tu lo potevi trovare». E così fratel Carlo Carretto scrisse il libro Il deserto nella città

Oggi, andando a trovare le Piccole sorelle di Gesù nella loro casa nel quartiere Tuscolano, pensavo di trovare “il deserto nella città”. Invece ho trovato un’oasi di gioia e di vita nel deserto di una città caotica e dispersa. Un luogo di pace e, stranamente, di silenzio, proprio in mezzo a un quartiere pieno di rumori. Nel cortiletto minuscolo tra le stanze a pianterreno, con la cappella raccolta, sembra d’essere in un altro mondo, un’oasi appunto, un angolino di cielo.

domenica 27 ottobre 2024

Che domenica!


 Incontro con i gen 4, una trentina di bambini, con messa inculturata a loro livello, quindi basso di statura, ma di alto profilo.

Nel pomeriggio con il III Municipio di Roma a Rocca di Papa, visita alla casa di Chiara, messa, conversazione con uno dei miei temi classici…

A sera cena con p. Theo, in uno dei più grandi conventi di Roma, con un centinaio di frati. Dopo una vita vissuta qui a Roma - 41 anni -, torna in Olanda. Abbiamo abitato insieme tanti anni. Le distanza chilometriche si allontanano, ma restiamo vicini!




 



sabato 26 ottobre 2024

L'hybris di Antonella e di Eugenio

 

A ogni trasloco la mia libreria si dimezza. E ho ancora tanti libri! Passo davanti a uno scaffale e l’occhio si posa su un libro che non ricordavo di avere. Antonella Doninelli, L’eccesso del desiderio tra vendetta e misericordia, editore Interlinea. E da dove spunta? Dev’essere un libro di filosofia… Apro: sorpresa! C’è una dedica: “A p. Fabio con sincera stima e spirito di comunione. Antonella”. Antonella…? e chi è costei, l’autrice stessa? Cerco su internet: un bel volto di donna giovane, ma non la conosco, non la ricordo. Eppure se m’ha fatto la dedica dovrebbe avermelo dato a mano…

Guardo il suo curriculum: Università della Calabria. Ecco dove l’ho incontrata, a Cosenza! Adesso ricordo tutto… Bisogna proprio che lo legga questo libro, ha dormito troppo sullo scaffale. E' ormai notte tarda ma comincio: Introduzione. Esergo: “Quando si fa più di quello che si può, non si agisce ragionevolmente. Dio non benedice né le imprudenze né gli eccessi. Colui che sarebbe in grado di compiere con moderazione il suo ministero, si rende inabile ad ogni servizio, per aver voluto far troppo. C’è bisogno di pazienza e accettazione” - Eugenio de Mazenod. Eugenio de Mazenod? Con in nota il testo completo… Non posso crederci. E ti serve proprio per introdurti a parlare dell’hybris… Che bella sorpresa, Antonella. Grazie!

 

venerdì 25 ottobre 2024

La chiamata di Gesù Cristo...

Ritiro della nostra comunità. Il tema? Ce lo dà la prima Costituzione delle nostre regole: «La chiamata di Gesù Cristo, che i Missionari Oblati di Maria Immacolata colgono, sentendosi Chiesa, attraverso le esigenze di salvezza degli uomini, è quella che li riunisce e li invita a seguire il Signore e a partecipare alla sua missione con la parola e con l’azione» (C 1).

Questa chiamata di Cristo è l’espressione del suo amore e dell’amore del Padre che, liberamente e frutto solo di un amore gratuito, chiama alla comunione con sé. «In questo sta l’amore – ci ricorda l’apostolo Giovanni –: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1 Gv 4, 10). È lui che per primo, come lo sposo del Cantico dei Cantici, ci viene incontro e chiama: «Alzati amica mia, mia bella, e vieni» (Ct 2, 10). L’iniziativa è sempre sua. È suo il primato d’amore. «Come possiamo amare, se prima non siamo stati amati?», si domandava sant’Agostino. Se «noi amiamo», ci ricorda ancora l’apostolo Giovanni, è «perché egli ci ha amato per primo» (1 Gv 4, 19). Dio – ci ricorda il Concilio – «nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé» (DV 2).

Egli si apre e si rivela, chiama e si comunica. Quanti, raggiunti da tale amore, rispondono e a loro volta si aprono e si donano, si trovano coinvolti in un rapporto con lui che tende alla comunione più piena.

È la grande luce che brilla nel cuore di colui che crede e che gli fa gridare: “Sono amato dall’Amore!”. È quella prima autentica illuminazione interiore di cui parla la Lettera agli Ebrei: «Richiamate alla memoria quei primi giorni nei quali foste illuminati» (10, 32). Da essa ha inizio la vita cristiana. È la scoperta gioiosa di avere un Padre che ci ama al punto «da dare il suo Figlio, l’Unigenito» (Gv 3, 16). La scoperta che il Figlio, fattosi uomo per amore, ci ama fino a dare «la sua vita per noi» (1 Gv 3, 16). La scoperta che lo Spirito si riversa in noi come amore (cf. Rm 5, 5): Dio è Amore! E perché amore ci ama, personalmente. San Paolo comunicava con gioia ai suoi cristiani della Galazia la scoperta che aveva sconvolto la sua vita dandole finalmente un senso: il Figlio di Dio «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (2, 20). Gesù si fa mediatore di questa chiamata di Dio. Chiamata e risposta si attualizzano nella sequela di Gesù.

Paolo l’ha incontrato sulla via di Damasco. I primi discepoli sul lago, sulle vie di Galilea. Sant’Eugenio nella cattedrale di Aix. Ognuno di noi ha la sua storia…

In questo ritiro dovremmo innanzitutto seguire l’invito della Lettera agli Ebrei: “Richiamate alla memoria quei primi giorni nei quali foste illuminati”, e tornare al momento della nostra chiamata…

 

giovedì 24 ottobre 2024

Quanti followers hai Gesù?

Una famosa influencer italiana ha circa 30 milioni di followers… Non sono mai stato sui suoi social e non so di cosa parla e verso dove conduce i suoi seguaci.

E tu, Gesù, quanti followers hai? Lei ha cominciato da poco tempo e le auguro di andare avanti per tanti anni, ma quanti saranno ancora, una ventina? Poi chi la seguirà più…

Tu all’inizio ne avevi 12 soltanto, poi le file si sono ingrossate. Per te quanti hanno abbandonato tutto, giungendo fino a morire per te?

Immagino che sui social di quella famosa influencer i follower consultino spesso i suoi suggerimenti.

Anch’io ti leggo tutti giorni e cerco di ascoltarti tutti i giorni e di seguirti tutti i giorni…

Tu sei la Via che da 2000 anni guida sulla strada giusta, sei la Verità che dice le cose vere, sei la Vita che offre la vita vera, non quella virtuale, non quella effimera di una gioia che si brucia in pochi attimi, quella vera, quella che non finisce mai… Non spengerai il tuo account fra qualche anno: è aperto da tutta l’eternità e per tutta l’eternità...

mercoledì 23 ottobre 2024

Mario Borzaga segretario di Mons. Blanchet?

Sto preparando una relazione su Mons. Maturino Blanchet che dovrò tenere ad Aosta in occasione della celebrazione per i 50 anni dalla sua morte.

Tra l’altro mi sono letto 82 lettere che questo vescovo oblato ha scritto al Superiore generale, p. Léo Deschâtelets. (Nella foto i due a San Giorgio in occasione dell’80° di mons. Blanchet. Come si dice... c'ero anch'io!)

Sono lettere molto interessati nelle quali il vescovo parla della congregazione, della diocesi, dei problemi della Chiesa, ma anche del clima, soprattutto della neve, del bel tempo di primavera, delle sue visite ai luoghi di montagna... Gli parla naturalmente del Concilio a cui prende parte e dove non avverte quella «atmosfera calda e cordiale della casa generalizia» dove è alloggiato. Tutte le volte che va in via Aurelia trova un luogo di riposo per l’anima e il corpo. Ha anche la confidenza di chiedergli un calice per il proprio seminario «che è proprio povero». Da parte sua, per ringraziarlo di una visita che il superiore generale fa ad Aosta, gli  gli manda una fontina di 10 chili, premurandosi di suggerire che «conviene tenerla al fresco e una volta la settimana passare sulla crosta un panno bagnato nell’acqua tepida».

Una delle tante sorprese che riserva la lettura delle lettere, è la richiesta che fa al superiore generale il 23 aprile 1957: se gli dà come segretario un giovane padre che ha appena ordinato sacerdote e che «mi ha sempre dato l’impressione di una persona dotata di una certa maturità di giudizio e soprattutto di una grande serietà: p. Mario Borzaga». Un bell’elogio per il futuro beato!

martedì 22 ottobre 2024

Siamo i tuoi Oblati...

 “Ci parli della consacrazione a Maria e non ci dai la formula?” Così mi è stato detto dopo il blog di ieri. Allora eccola (ma è come la recitiamo oggi, ridottissima rispetto a quella del 1922…):

Maria Immacolata, Madre di Dio e Madre no­stra, tutti insieme veniamo a te per rinnovarti la consacrazione della nostra famiglia Oblata. A te, e per mezzo tuo a Gesù, tuo Figlio, offriamo le nostre persone, le nostre vite e il nostro lavoro mis­sionario.

Abbiamo dinanzi agli occhi lo slancio missiona­rio del Beato Fondatore e dei suoi primi figli, il loro straordinario zelo nell’annuncio del Vangelo ai poveri, nella costruzione della Chiesa, nel lavoro per il Regno di Dio. Memori della fiducia senza limiti che avevano in te, nel tuo aiuto e nella tua protezio­ne, uniti a loro ti domandiamo di intercedere per noi presso il nostro Padre dei cieli.

Siamo i tuoi Oblati perché il Signore ci ha accordato la grazia della vocazione, in forza della qua­ le uomini di tutte le parti del mondo hanno costitui­to questa tua famiglia. Oggi, qui riuniti, vogliamo ricordare le parole del Beato Eugenio: ogni Oblato «per la dolce Maria avrà tenera e filiale devozione e l’avrà sempre per Madre».

Maria Immacolata, tu sei il modello vivente del­ la nostra fede. Concedici di essere come te, perso­ ne attente e docili nell’accogliere ogni invito dello Spirito Santo, sempre disponibili per ogni lavoro missionario.

Maria Immacolata, Madre di grazia e di misericordia, accordaci la tua protezione santificando e sostenendo tutti i nostri missionari e venendo in aiuto ai popoli che cerchiamo di servire e di rende­ re partecipi della redenzione.

E fa’ che un giorno, con tutti gli Oblati che ci hanno preceduto nella casa del Padre e con te, pos­siamo cantare l’eterna lode del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Amen.

lunedì 21 ottobre 2024

22 ottobre: consacrazione a Maria Immacolata

Ogni anno, l’8 dicembre e il 17 febbraio, gli Oblati, tutti insieme, in ogni parte del mondo, si riconsacrano solennemente a Maria Immacolata. La “formula” è particolarmente bella ed è pubblicata sul manuale di preghiera. Tutti quel giorno si ricordano di rinnovare la consacrazione, ma non tutti si ricordano quando e come è nata questa consuetudine.

È stato proprio il 22 ottobre! L’idea era venuta a p. Isidoro Belle, un innamorato della Madonna. Gli fu suggerito di proporlo al prossimo Capitolo generale. Così fece e la cosa piacque ai membri del Capitolo che l’accolsero nella seduta del 4 ottobre 1920. Così si legge nel verbale: “Il Capitolo generale decide che si componga una consacrazione solenne degli Oblati alla Vergine Immacolata; questa consacrazione sarà pronunciata alla fine del Capitolo, a nome di tutta la Congregazione, e rinnovata in ogni casa l’8 dicembre e il 17 febbraio”. E così avvenne il 22 ottobre 1920, durante la benedizione del Santissimo Sacramento, pronunciata dal superiore generale mons. Dontenwill.

E chi l’ha scritta? P. Alberto Perbal, un grande teologo che insegnava a Roma (in questa foto è vecchio, ma allora era giovane!). Era una preghiera lunga lunga. Il superiore generale la lesse con un po’ di difficoltà e sembrò ancora più lunga. Allora uno dei padri capitolari, mons. Enrico Delalle, incontrando p. Perbal gli mise una mano sulla spalla e gli disse: “Mio piccolo padre, avete una devozione troppo lunga!”. Allora p. Perbal ridimensionò la preghiera e in seguito la ritoccò ancora seguendo altri suggerimenti…

Non aspettiamo l’8 dicembre. Possiamo rinnovarla anche oggi, nell’anniversario della prima consacrazione.


domenica 20 ottobre 2024

Trasformare la bruttezza in bellezza

 

Conoscevo l’UNITALSI, ma la OFTAL? 

Dietro queste sigle ci sono persone, persone vive. E quelle che ho visto a Verbania sono davvero vive. Sono andato al loro raduno annuale su mandato di Alberto Gnemmi, uno che ha a che fare con questa associazione e che ci sa fare. E io? È stata l’occasione non soltanto per uno sguardo velocissimo al lago che, pur sotto un cielo piovigginoso, sfodera tutta la sua magia, ma anche e soprattutto per scoprire questa realtà di servizio. Forse più che un servizio quello dell’OFTAL, è l’offerta di relazioni con il mondo della disabilità, e anche di relazioni tra gli stessi membri: si conoscono tutti, da tanto tempo, fino a diventare amici, fino a diventare capaci di coinvolgere i giovani. Come scrivevo ieri non è comune vedere un’associazione con una continuità generazionale.

Di cosa parlare loro? Della bellezza! Proprio perché il servizio di queste persone le pone in contatto con situazioni che non appaiono proprio belle. Eppure dovremmo tutti riconoscere che siamo fatti per la bellezza.

Al termine della creazione Dio sclamò: “Che bello!” Tutto porta l’impronta della sua bellezza. “Tu sei bellezza”, canta Francesco d’Assisi nelle sue Lodi di Dio Altissimo, ripetendolo per ben due volte, e non deve essere stato uno sbaglio. Guardando allora le persone attorno a noi dovremmo saper cogliere la mano dell’Artista: Dio fa solo capolavori.


Certo che il peccato, la cattiveria, la guerra, l’odio, la violenza, la malattia, la sofferenza sfigurano le persone, che rischiamo di perdere la somiglianza con Dio bellezza, e diventano brutte. Gesù è venuto sulla terra, mandato dal Padre che ama tanto il mondo, per restaurare l’immagine sciupata e ridare ad ogni persona la bellezza originaria. Per far questo ha dovuto prendere su di sé ogni bruttezza: «Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto» (Isaia, 53, 2). Non è questo il ritratto di Gesù al culmine della sua Passione? «Assumendo un corpo – spiegava Agostino –, egli prese sopra di sé la tua bruttezza, cioè la tua mortalità, per adattare se stesso a te, per rendersi simile a te e spingerti ad amare la bellezza interiore».



Alla donna che, secondo la tradizione popolare, asciugò il volto a Gesù sulla via del Calvario, viene dato il nome di “Veronica”. Il suo nome si confonde con la “vera icona” che Gesù lasciò impressa nel suo panno. Dove si trova oggi quella tela? In uno dei quattro pilastri che sostengono la cupola di san Pietro a Roma, a Monopello in Abruzzo, nelle città di Jaén e Alicante in Spagna? La “vera icona” di Gesù, il suo vero volto, è sul volto degli uomini e delle donne nostri fratelli e sorelle.

Nell’opera redentrice l’immagine che il Creatore ha impresso sull’uomo e sulla donna, deturpata dal peccato, viene restituita in tutta la sua bellezza, a somiglianza del più bello tra i figli dell’uomo. La bellezza che splende sull’Uomo, il Signore nostro Gesù Cristo, rimbalza dentro colui che la contempla e lo investe e lo trasforma. Paolo l’ha espresso con una frase densissima, nella quale mostra come il raggio della bellezza di Dio prima risplende nella creazione, poi si riflette sul volto di Cristo e infine penetra dentro di noi: «E Dio che disse: “Rifulga la luce dalle tenebre”, rifulse nei nostri cuori per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo» (2 Cor 4, 6). Siamo belli della bellezza di Cristo e grazie alla sua bellezza: «E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore» (2 Cor 3, 18). Come Gesù si è trasfigurato passando attraverso la morte, così «trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3, 21).

Gesù si è fatto brutto per tutto abbellire, ha assunto la disarmonia, il contrasto, il conflitto, il peccato e li ha trasfigurati. Così ha restaurato in noi l’immagine di Dio.

«In che modo saremo belli? – si domanda sant’Agostino –. Amando lui, che è sempre bello. Quanto cresce in te l’amore, tanto cresce la bellezza; la carità è appunto la bellezza dell'anima». Se amo, ciò che è brutto posso trasformarlo in bello, continuando l’opera della redenzione, facendomi come Cristo che prende su di sé le bruttezze del mondo e le trasforma in bellezze. Anche il senso comune ha capito la forza trasfigurante dell’amore. Non è questo il messaggio di certe fiabe come “La bella e la bestia”, o quella della fanciulla che bacia un rospo trasformandolo in principe?

Un’amica dal Canada mi ha scritto in proposito: «Quando andai a Lourdes con il pellegrinaggio di “Fede e Luce” (negli anni '90), vidi gruppi di portatori di handicap da tutto il mondo! Eravamo tutti in armonia grazie alle attenzioni e all’aiuto che veniva dato ai portatori di handicap. Non importava la lingua o la cultura, eravamo lì per aiutarci a vicenda. C’era un vero senso di gioia tra tutti ed era quasi travolgente! La nostra comunità del Canada occidentale acquistò una sedia a rotelle per una madre dal Messico che doveva portare ovunque in braccio suo figlio. Fu così riconoscente che scoppiò in lacrime! Questa esperienza mi resta sempre nella mente.

Ogni volta che lavoro con persone con disabilità sono colpita dal fatto che, anche se non possono parlare o comunicare in modo efficace, possiamo entrare in comunione con l’anima. È intuitivo e semplice, davvero il dono della presenza è dono dell’amore di Dio. Quando devo passare la notte da loro, mi comunicano un grande senso di pace. Sono come dei neonati, che dipendono totalmente dai genitori: dipendono da me! Penso che sia questo il modo in cui Dio desidera che viviamo, dipendenti da lui. Che benedizione è tutto questo per me negli oltre quarant’anni che vivo con loro. Ricevo molto, molto più di quello che do! Quando mi sento giù di morale a causa di disturbi fisici, emotivi, mentali o spirituali, penso ai miei amici con disabilità e mi rendo conto di non avere nulla di cui lamentarmi. Sento spesso che siamo interdipendenti e che non potrei vivere pienamente senza di loro, proprio come loro non potrebbero senza di me. È un grande mistero, vero?».

Se la più preziosa icona di Gesù è il Crocifisso, la più preziosa icona umana è la persona che soffre, nel corpo e nell’anima. La bellezza dell’essere cristiani sta nel saper riconoscere, assumere e amare la “bruttezza” con tutto ciò che questo significa – povertà, emarginazione, ignoranza, malattia, disabilità… – per ridare dignità e bellezza, per trasformare il brutto in bello.

 



sabato 19 ottobre 2024

La vita continua


Ad attendermi alla stazione due giovani elegantissimi, con macchinone. Mi portato a pranzo sopra Stresa, a metà collina. La vista del Lago Maggiore, il golfo Borromeo, le isole… Le nuvole cupe nel cielo non rompono l’incanto. Attraverso le montagne coperte di castagneti giungiamo ad Arona. Saliamo sulla scala ripidissima all’interno del colosso di san Carlo e da lassù, attraverso gli occhi della statua, l’orizzonte si dilata ancora di più. Poi la stanza del santo. Un pellegrinaggio non programmato e per questo ancora più sorprendente.

Giungo a Verbania in tempo per celebrare nella basilica. Splendida, appena restaurata ha rivelato una policromia insospettata. Mi presento al parroco… No! Ma è uno dei preti ai quali a giugno ha “predicato”, come si dice, gli esercizi spirituali al Celio a Roma! Che festa!

Messa prefestiva, solenne, con organo, con la chiesa gremita. I presenti sono tutti anziani. Ne sono contento, si vede la fedeltà di una generazione. Ma la nuova generazione? Guardo attentamente e finalmente riesco a scorgere una coppia di quarantenni e un ragazzo.

A cena e dopo cena l’albergo nel quale sono alloggiato si riempie di giovani, ventenni, trentenni. Sono loro che mi hanno invitato e domani saranno qui anche gli adulti. Tutta un’associazione che organizza e accompagna i pellegrinaggi a Lourdes. Giovani bellissimi, attentissimi… La vita continua!!!

venerdì 18 ottobre 2024

La preghiera nel Vangelo di Luca

Anche oggi il nostro ritiro sulla preghiera è accompagnato dalla liturgia che ci propone la festa di san Luca il cui vangelo è proprio un vangelo della preghiera.

il verbo greco specifico che Luca usa di più (proseukomai = pregare) ricorre ben 35 volte nella sua opera, 19 volte nel Vangelo e 16 volte negli Atti, più di tutti gli scritti del Nuovo Testamento. Il sostantivo proseuké = preghiera, ricorre 12 volte.

Luca mostra Gesù in costante preghiera. Al battesimo al Giordano, «Mentre era in preghiera, lo Spirito scese su di lui» (3,21). Prima della scelta dei Dodici passò tutta la notte in preghiera (6,12-13). Prega prima della professione di fede di Pietro, quando domanda: «Ma chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?» (9,18-22). Prega prima della trasfigurazione: si ritirò sul monte «a pregare» (Lc 9,28-36). Quando i discepoli tornano esultanti dal ministero, di nuovo Gesù prega (10,21-22); lo fa anche prima di insegnare il “Padre Nostro” (11,1). Pregare per sostenere la fede di Pietro prima della passione: «Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (22,32). Durante la crocifissione prega per i crocifissori (23,24); prega al momento della morte: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46).

E ci insegna a pregare: “Padre…”.

Belle le parabole per spiegare «la necessità di pregare sempre, senza stancarsi» (Lc 18,1): l’amico importuno, il giudice iniquo… Insegna anche come pregare: come il pubblicano che in fondo ripete: “Pietà di me, perché sono un peccatore…”.

La più antica immagine di Luca ce l’abbiamo a Roma! Si trova nella catacomba di Commodilla sulla via Ostiense. L’affresco, del VII secolo su una parete della basilica ipogea del cimitero cristiano, raffigura un uomo con la veste bianca, nelle mani il rotolo della Scrittura e un piccolo tascapane di cuoio, una specie di portastrumenti, quelli di un medico, professione che gli viene tradizionalmente attribuita («il caro medico» lo definisce Paolo).

Ha gli occhi grandi e mansueti, il volto incorniciato da una tenue e candida barba. La didascalia nella parte inferiore dell’affresco dice il suo nome.

Ben diversa la pittura sull’altare maggiore della chiesa barocca dei Santi Luca e Martina nel Foro Romano. Una tela seicentesca di Pietro da Cortona, copia di un dipinto attribuito a Raffaello. Luca è il pittore al centro della scena colto nell’atto di ritrarre Maria, in posa, con in braccio Gesù. Una scena più anacronistica di così è impossibile, ma dice che Luca, con il Vangelo dell’infanzia, ha proprio “ritratto” Maria.

Vangelo della preghiera, di Maria… e non dimentichiamo che è anche il Vangelo della misericordia, grazie soprattutto alle parabole della pecora smarrita e del padre dei due figli… 

giovedì 17 ottobre 2024

Gesù, insegnaci a pregare

C’è ancora una preghiera nel Vangelo, una preghiera per chiede come pregare: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11, 1).

Gesù ci fa pregare come lui pregava: Abbà, Padre. «In quel tempo – leggiamo nel Vangelo di Matteo – Gesù disse: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra”... Sì, o Padre...» (Mt 11, 25-26). Alla risurrezione di Lazzaro «Gesù alzò gli occhi e disse: “Padre, ti ringrazio...”» (Gv 11,41; cf. 12,27). Nella grande preghiera prima di venire consegnato alla morte che la parola «Padre» riecheggia ripetutamente in tutta la sua profondità: «Alzati gli occhi al cielo, disse: “Padre...”» (Gv 17, 1.11.21.24.25). La preghiera accorata nell’orto degli olivi inizia con un «Abbà, Padre...» (Mc 14, 36). Sulla croce di nuovo lo sentiamo ripetere: «Padre, perdonali...» (Lc 23, 34); «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46).

Egli può rivolgersi a Dio chiamandolo Padre perché è realmente suo Figlio, «il Figlio del suo amore» (Col 1, 13), l’Unigenito di Dio (cf. Gv 1, 14.18), il Prediletto, l’oggetto delle sue compiacenze (cf. Mc 9, 1), colui che il Padre «ha amato prima della creazione del mondo» (Gv 14,24).

«Padre», sulla bocca di Gesù, è la rivelazione della reciproca conoscenza, dell’amore, della vita che entrambi li lega in un’incomparabile unità di essere e di volere: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio» (Mt 11, 27); «Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie» (Gv 17, 10); «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10, 30). Al punto che Gesù può dire: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14, 9).

Ed ecco la grande buona notizia di Gesù: non soltanto ci svela che Dio è suo Padre e lui il Figlio unigenito, ma che Dio è anche Padre di noi e noi siamo suoi veri figli. Se alle parole «Padre nostro» ci ha chiesto di aggiungere «che sei nei cieli» è per renderci consapevoli della grandezza del Padre, della sua trascendenza, non per farcelo sentire lontano.

«Voi dunque pregate così: Padre nostro...» (Mt 6, 9). Anche a noi, come a Gesù, il Padre ripete: Tu sei il mio figlio prediletto (cf. Mc 1, 11). «Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3, 26-27). «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 3, 1).

Quando dico «Padre» prendo coscienza di quello che sono veramente, proprio figlio suo! Quando dico «nostro» prendo coscienza dei fratelli e delle sorelle che ho attorno a me.

Oggi poi la Chiesa ci ha posto davanti nella liturgia sant’Ignazio di Antiochia, che, nella Lettera ai cristiani di Magnesia, ci ha aiutato a comprendere meglio come pregare: “auguro l’unione nella carne e nello spirito di Gesù Cristo, nostra eterna vita, della fede e della carità, cui nulla è da preferire, e ciò che è più importante l’unione con Gesù e il Padre: una sola preghiera, una sola supplica, una sola mente, una sola speranza nella carità, nella gioia purissima che è Gesù Cristo, del quale nulla è meglio. Accorrete tutti come all’unico tempio di Dio, intorno all’unico altare che è l’unico Gesù Cristo”.

mercoledì 16 ottobre 2024

Le preghiere nei Vangeli

Oggi festa di santa Margherita Maria Alacoque. Abbiamo letto una pagina della sua Autobiografia nella quale racconta la sua esperienza della preghiera… Ogni giorno abbiamo un santo che ci accompagna!

Ma soprattutto abbiamo chiesto a un po’ di persone dei Vangeli di condividere con noi le loro preghiere.

Un lebbroso chiede d’essere purificato:

Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi purificarmi!” (Marco 1,40).

Papa Francesco una volta ne ha suggerito quest’uso, commentando quel brano evangelico: “Alla sera, prima di andare a letto io prego questa breve preghiera: ‘Signore, se vuoi, puoi purificarmi’. E prego cinque Padre Nostro, uno per ogni piaga di Gesù, perché Gesù ci ha purificato con le piaghe” (Angelus del 22 giugno 2016).

Giàiro prega Gesù per la figlioletta che sta morendo:

come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: “La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”. Gesù gli dice: “Non temere, soltanto abbi fede” (Marco 5, 22-23).

Un centurione chiede la guarigione di un servo:

Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva… “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. (Matteo 8, 10).

L’invocazione è entrata nella Liturgia eucaristica.

Il padre dell’epilettico chiede aiuto:

“Se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”. Gesù gli disse: “Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede”.

“abbi pietà di noi”, in greco “Kyrie eleison”. Ricorre almeno 6 volte nei Vangeli: in bocca ai due ciechi di Cafarnao (Matteo 9, 27), alla cananea (Matteo 15, 22), al padre dell’epilettico (Matteo 17, 15), ai due ciechi di Gerico (Matteo 20, 30), al cieco Bartimeo (Marco 10, 47), ai dieci lebbrosi (Luca 17, 13).

Anche questa preghiera è entrata nella liturgia.

Il padre dell’epilettico e gli apostoli chiedono di accrescere la fede:

Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: “Credo; aiuta la mia incredulità” (Marco 9, 22-24).

Gli apostoli dissero al Signore: “Accresci in noi la fede!” (Luca 17, 5-6).

Uno dei malfattori gli si affida in morte:

E disse: “Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno” (Luca 23, 42).

È un atto di affidamento simile a quello che compie lo stesso Gesù prima di spirare: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito” (23, 46).

Tommaso crede al Signore risorto:

Mio Signore e mio Dio! (Giovanni 20, 29).  

Questo naturalmente lo lasciamo commentare da apa Pafnunzio:

https://fabiociardi.blogspot.com/2014/07/la-fede-di-tommaso-e-di-apa-pafnunzio.html

La preghiera dei due discepoli di Emmaus:

Resta con noi, Signore, perché si fa sera…

Può essere davvero la nostra preghiera della sera… e di ogni istante…

 

martedì 15 ottobre 2024

La preghiera di Santa Teresa di Gesù

Festa di Santa Teresa di Gesù. Nel ritiro che sto guidando questi giorni sul tema della preghiera questa festa non poteva cadere più appropriata. Come ricordava Benedetto XVI, Teresa “ci insegna a sentire realmente la sete di Dio che esiste nella profondità del nostro cuore, questo desiderio di vedere Dio, di cercare Dio, di essere in colloquio con Lui e di essere suoi amici”.

Mi sono soffermato sulla sua notissima “definizione” della preghiera che giunge alla fine di una calorosa raccomandazione:

“Posso dire soltanto quello che so per esperienza: cioè che chi ha cominciato a fare orazione non pensi più di tralasciarla, malgrado i peccati in cui gli avvenga di cadere. Con l’orazione potrà presto rialzarsi, ma senza di essa sarà molto difficile. (…) Se il nostro pentimento è sincero e proponiamo di non più offenderlo, Egli ci accoglie nell’amicizia di prima, ci fa le medesime grazie di prima, e alle volte anche più grandi, se la sincerità del pentimento lo merita. Chi l’ha cominciata [l’orazione] non la lasci; e chi non l’ha cominciata, io lo scongiuro per amor di Dio a non privarsi di tanto bene; se persevera io spero nella misericordia di quel Dio che nessuno ha mai preso invano come amico; giacché l’orazione mentale non è altro – per conto mio – che un rapporto d’amicizia, intrattenendosi molte volte a tu per tu con Colui sappiamo che ci ama” (Vita 8, 5).

- è un “intrattenersi”, uno stare insieme, coltivare un rapporto… “L’anima s’immagini di trovarsi dinnanzi a Gesù Cristo, conversi spesso con Lui, cerchi di innamorarsi della sua Umanità, tenendola sempre presente, di parlare con lui…” (Vita, 12,2); “Se ne stia lì con Lui, in silenzio. Se si può, occupi il pensiero nel guardare che Cristo lo guarda, e fargli compagnia, parlargli, supplicarlo…” (Vita, 13,22). 

- “con Colui che sappiamo che ci ama”: è il presupposto e in fondamento di ogni preghiera, credere di essere amati da un Dio vicino, che per primo desidera avere un rapporto con noi, intrattenersi con noi da vero amico.

- è un rapporto “d’amicizia”: “Trattate con Lui come con un padre o un fratello, come con un signore, come con uno sposo; una volta in un modo e una volta in un altro” (Cammino, 28, 3). “Tutto si può sopportare con un amico così buono, con un così valoroso capitano che per primo entrò nei patimenti. Egli aiuta e incoraggia, non viene mai meno, è un amico fedele. (…) Cristo è sempre un buonissimo amico e ci è di grande compagnia, perché lo vediamo uomo come noi, soggetto alle nostre medesime debolezze e sofferenze. (…) Anche questo nostro Signore rimase senza consolazione, solo sotto il peso dei suoi dolori. Non abbandoniamolo, ed Egli ci aiuterà a salire, più che non potremo da noi con ogni nostra diligenza. Se poi si assenterà, sarà perché lo vedrà opportuno, o perché vorrà spinger l’anima a uscire da se stessa" (Vita, 22,6 e 10-11).

- “a tu per tu”: è esperienza di intimità, anche quando si prega con altri. In quel momento c’è solo Lui e non desidero altro che staccarmi da tutto ciò che non è Lui. A tu per tu dice intimità, rapporto personale. Si è davanti a Dio, con la propria anima messa a nudo, nella verità. È il momento in cui possiamo dirgli tutto quello che abbiamo nel cuore, anche la nostra incapacità di pregare.

Poi l’altra grande definizione: La preghiera “non consiste nel molto pensare, ma nel molto amare” (Cammino, 4, 1.7).

In proposito mi viene in mente quando tornavo a casa da mia mamma ormai anziana e sola. Mi sollecitava a raccontare del mio lavoro, dei viaggi, degli amici, mentre lei si scherniva dicendo che aveva da raccontare solo le solite cose. Parlavamo, parlavamo… Poi non c’era più niente da dire e c’era il silenzi, ma senza disagio. Si stava bene insieme…

Infine un’altra, se così possiamo chiamarla, definizione di Teresa, che coglie la preghiera nel suo divenire dinamico: “Camminiamo insieme, Signore: verrò dovunque voi andrete, e per qualunque luogo passerete passerò anch’io” (Cammino, 26,6).

E non possiamo terminare senza una parola sulla discepola Teresa di Lisieux, per la quale la preghiera è “Un sussulto del cuore... Un semplice sguardo al cielo... Un grido di gratitudine e amore...” (Manoscritto c, 25r)

  

lunedì 14 ottobre 2024

Sant'Eugenio copia la sua Regola...

 

Oggi la comunità è stata a San Silvestro al Quirinale per celebrare l’anniversario della consacrazione episcopale di sant’Eugenio de Mazenod. È il terzo anno che veniamo insieme.  Spero si instauri una tradizione…

https://fabiociardi.blogspot.com/2023/10/a-san-silvestro-per-far-festa-e.html

Poiché stiamo andando verso i 200 anni dell’approvazione pontificia della Regola, ho voluto mostrare a tutti la trascrizione originale che sant’Eugenio ha composto proprio nella casa di San Silvestro dove abitava.

18 febbraio 1926 scriveva a Tempier: “Bisogna ricopiare per intero il manoscritto delle Regole perché questa copia sarà omologata e consegnata nelle mie mani, mentre l'originale [che aveva portata da Aix e che era stata scritta in bella grafia da p. Jeancard] con annesse le approvazioni dei vescovi e la firma dei membri della Società deve restare negli archivi della Congregazione dei Vescovi e Regolari. (…) Oggi andrò a parlarne a un copista nella speranza che fin da domani lunedì si metta al lavoro allo scopo di poter consegnarmi il manoscritto al massimo la settimana prossima”.

Ma non trova i copisti che scrivano bene e in fretta, così dal 21 al 24 febbraio la trascrive direttamente lui, come racconta il 27 febbraio a p. Tempier: “Mi era sembrato facile trovare i copisti desiderati, e invece no; dopo tre giorni che cercavo imbattendomi in persone che scrivevano pessimamente senza promettermi di finire in meno di tre settimane (pur pagandoli, va da sé, con larghezza, cioè cinque o sei luigi per loro degnazione), mi accollai io stesso il grave onere. Me la son sbrigata alla men peggio in tre giorni e qualche nottata; certo è stata un fatica enorme, ma posso dire che mi ci son messo dentro dalla testa ai piedi perché testa petto braccia mani gambe piedi e altro che non nomino erano alla tortura”.

Gli dispiace moltissimo che l’originale, il manoscritto di p. Jeancard, debba restare in Vaticano: “Non potete immaginare la mia sofferenza nel dover lasciare qui il manoscritto; ma è questo che vogliono, verosimilmente per le approvazioni originali dei vescovi e le correzioni apportate al testo. Al posto di questo grazioso volume scritto in modo così nitido e che era un piacere vedere, vi riporterò un volgarissimo manoscritto mal scarabocchiato: 1° perché scrivo molto meno elegantemente di Jeancard; 2° perché ero costretto a scrivere molto in fretta volendo assolutamente finire in tre giorni; 3° perché la carta è ruvida e di cattiva qualità; 4° da ultimo, perché l'inchiostro non filava meglio di quello che sto usando, avevo penne orribili che il mio temperino di ferro danneggiava un più di più quando pensavo di migliorarle”.

Comunque nel nostro Archivio c’è questa bella copia della mano di sant’Eugenio… cn le firme di tutti gli Oblati di allora apposte una volta tornato in Francia.

domenica 13 ottobre 2024

Cinque parole per iniziare a pregare

Inizio per una settimana a guidare gli esercizi spirituali. Il tema? Quasi scontato, la preghiera. Inizierò con cinque parole con cui può iniziare la preghiera:

Ti adoro

È la confessione di Tommaso: «Signore mio e Dio mio». È il canto degli angeli: «Santo: Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell'universo ...».

Adorare significa letteralmente portare la bocca a Dio per baciarlo.

L'adorazione sfocia nel mare infinito dell'amore, con il bacio e l'abbraccio a Dio, con il bacio e l'abbraccio di Dio.

Ti amo

Sembra la parola più facile. Tutti la usano e la ripetono in mille variazioni, fino a farle perdere valore.

Dirgli: «Ti amo» non è soltanto espressione di un sentimento, è dichiararsi pronti all'azione: «Non chi dice Signore, Signore, mi ama, ma chi compie la volontà del Padre mio». Sappiamo qual è la sua volontà: donarsi agli altri, dare la vita per gli amici, amare quelli che non ci amano, amarci gli uni gli altri.

Nel Vangelo soltanto Pietro dice a Gesù: «Ti amo», ma solo come risposta ad una esplicita richiesta: «Mi ami?», e soltanto dopo essere passato attraverso la prova. Il suo "ti amo" è vero perché purificato dal dolore.

Anche noi a volte ci sentiamo incalzati dalla domanda pressante di Gesù: «Mi ami? Mi ami veramente?». Un po' temiamo a rispondere, un po' ne abbiamo un gran desiderio, perché il cuore ha bisogno di dire: «Ti amo».

Ti ringrazio

Con questa parola mente e cuore si spalancano su cielo e terra. Ringraziamo d'essere stati creati e del creato, del sorgere del sole e del suo tramonto, della luna e delle stelle, degli uccelli del cielo e dei pesci del mare, del pane che ogni giorno il Padre del cielo ci procura e di quanti lo hanno preparato per noi...

Lo ringraziamo per la Parola con cui ci nutre ogni giorno, per la misericordia che ci fa nuovi ogni giorno, per la chiamata a seguirlo, per l'Ideale ricevuto, per i fratelli e le sorelle che egli ci dà...

A mano a mano che il ringraziamento si dilata dagli estremi della terra al più profondo dell'anima, dagli abissi dei mari ai vertici dell'adorabile Santissima Trinità, esso si trasforma in canto di lode e in giubilo: «Opere tutte del Signore, lodate il Signore...».

Il ringraziamento sfocia di nuovo nell'adorazione e diventa espressione d'amore.

Ti chiedo perdono

Sì, perché in mezzo a tanto splendore di luce, si spalanca improvvisa una terribile voragine nera: abbiamo tante volte sciupato i doni del Signore, quelli per i quali lo abbiamo appena ringraziato, abbiamo tradito l'Amore.

«Ti chiedo perdono» è un'espressione liberatoria. Per questo può essere insidiosa. Perché chiediamo perdono? Per mettere la coscienza a posto? Per evitare di cadere nelle fiamme dell'inferno? La domanda di perdono è veramente espressione di amore?

Ciò che dovrebbe dispiacere non è il castigo che ci si attira con il peccato, non la vergogna del tradimento e dell'adulterio, non il giudizio dei fratelli, ma l'aver addolorato l'Amore.

L'amore di Cristo è così grande da entrare nel buio della nostra rivolta, da assumere il nostro peccato e inchiodarlo sulla croce. Ripetere: «Ti chiedo perdono» è riconoscere il nostro peccato, ma soprattutto riconoscere il culmine dell'Amore di Gesù, il suo abbandono, riconoscersi e identificarsi con l'Amore all'estremo della sua espressione. «Ti domando perdono»; e la misericordia inonda l'anima.

Ti chiedo grazie

È la domanda più povera, eppure la preghiera di domanda è nobile al pari dell'adorazione, perché chiedere è riconoscere l'onnipotenza di Dio; al pari della dichiarazione d'amore, perché non si vergogna di domandare; al pari del ringraziamento, perché è fiduciosa di ricevere; al pari della richiesta di perdono, perché nasce dalla medesima consapevolezza di povertà.

Cosa chiediamo? La fedeltà al Vangelo e di non separarsi mai dall'Amore. Poi la preghiera punta decisamente verso gli altri: i piccoli, i soli, i poveri, quanti subiscono violenze e ingiustizie, ma anche i violenti e gli ingiusti perché si convertano, gli oppressi da calamità naturali e da guerre, gli ammalati e i carcerati, i moribondi perché siano accolti da braccia di misericordia e perché siano chiuse per sempre le porte dell'inferno.

Ancora una volta il cuore si dilata sull'umanità intera e attinge all'amore infinito di Dio.

Ognuna di queste parole è pronunciata a nome nostro e di tutta l'umanità. Anche quando siamo nella stanza del cuore e abbiamo chiuso la porta per parlare con Dio: non siamo mai soli.