giovedì 30 novembre 2023

Alla foce del Tevere

Accompagno Paolo all’aeroporto di Fiumicino. Perché non approfittare per una passeggiata a Fiumicino paese? Lascio la macchina, attraverso la passerella e giungo fino al mare. Un vento forte e gelido. Non c’è anima viva. Acque burrascose. Le onde si infrangono con forza sui massi delle barriere. Mi tornano alla mente le parole dei salmi: “Suo è il mare, egli lo ha fatto” (Salmo 95); “Hai posto un limite alle acque: non lo passeranno, non torneranno a coprire la terra” (Salmo 103); “Tu domini l'orgoglio del mare, tu plachi le sue onde tempestose” (Salmo 89).

Cammino sulla sabbia fino a trovare un riparo dal vento dove fermarmi a contemplare il mare. È bello il mare in tempesta.

Continuo sul lungo mare, fino a quando termina in una grande rotonda. Torno sui miei passi. Ma come ritrovare la passerella? Lo chiedo a una donna dal passo svelto. “Sto andando proprio là!”. La seguo e parliamo delle solite cose. È bello il fragore del mare, ma è bella anche la voce umana...

Riattraverso la passerella ed entro nella chiesa di santa Maria della Salute. Resto sorpreso. Non pensavo che ci fosse la messa prefestiva. Chiesa piena, per metà occupata da ragazzi che cantano divinamente un Gloria melodioso, mai sentito prima. Egli ha fatto il mare, ma ha fatto anche noi gregge del suo pascolo. 

Giungo al vecchio faro mentre il sole tramonta. Che spettacolo mi ha allestito l’Artista!

Ormai il pomeriggio è andato, tanto vale continuare la mia passeggiata. Per la prima volta costeggio la riva del Tevere. Povere casette, eredi di antiche baracche di pescatori. Mi fermo davanti a un terreno recintato che giunge alla sponda del fiume. Grido all’uomo anziano appoggiato alla baracca e gli chiedo se posso entrare. Sta dando il becchime alla galline e agli altri animali del cortile. Ce n’è anche per i cigni sull’acqua. “Sono suoi quei cigni”. “No, ma hanno diritto di mangiare anche loro”. Si fa avanti anche una nutria. I cigni la lasciano mangiare per un momento poi la assalgono e la mettono in fuga. La rete sospesa – una bilancia? – ricorda i tempi andati della pesca... Vorrei restare qui, con questo vecchio pescatore e parlare delle solite cose. “Tornerò presto”, gli prometto.

Ormai che ci sono vado avanti, attraverso il ponte e vado sull’altra sponda del fiume. Uno sguardo al parco dedicato a Pier Paolo Pasolini, ma è già buio fondo, e mi inoltre nel quartiere dell’Idroscafo. È la prima volta. Lo conoscevo dalle letture. Una amalgama di casette disordinate, in un intrico di stradette labirintico, senza uno straccio di piano urbanistico, col fascino del primitivo. Nessuna struttura sociale. O Forse sì: d’improvviso m’appare una chiesetta. Unica costruzione moderna, piccola piccola, bella. Un contrasto fortissimo con tutto il testo. Dalla porta a vetri che copre l’intera parete splende luminoso l’ostensorio con Gesù Eucaristia. Entro. C’è solo il prete, in adorazione. Cosa ci fa lì, perduto in questo quartiere sperduto e perduto? Cosa ci fa Gesù e cosa ci fa il prete. Mi fermo a pregare. Poi parlo col sacerdote: si chiama Fabio!

Riprendo a camminare nel labirinto ed ecco altri segni inaspettati di una religiosità palese: tabernacoli della Madonna, illuminati, decorati con fiori...

Che mondo bello il nostro mondo così caotico.

mercoledì 29 novembre 2023

Auguri

Cosa scrivere oggi? 

Non posso evitare di menzionare il mio compleanno visto che sono stato sommerso da un diluvio di messaggi di auguri. Se non altro per ringraziare tutti.

Mi lasciano di stucco le parole che mi si scrivono: non avevo mai ricevuto tanti elogi in vita mia, molto dettagliati... che non posso trascrivere. Per fortuna sto leggendo un libro sulla conoscenza di sé e sul proprio nulla.

Certo che “75 anni” suona bene.

Gesù nel Vangelo di oggi mi ha ricordato che occorre perseverare fino alla fine!

E poi che bello festeggiare il compleanno iniziando la novena dell’Immacolata!

 

martedì 28 novembre 2023

Come maturano le cose...

Sì, c’è luogo e luogo. Quando ripercorro le tappe dei fondatori e dei santi mi viene istintivo distinguere tra i luoghi nei quali sono passati e hanno vissuto e i luoghi carismatici. Non tutti i luoghi da loro toccati si trasformano il luoghi che parlano. E porto sempre l’esempio di Benedetto: Subiaco è un luogo che mi parla – “carismatico” direi – Montecassino un luogo che non mi parla.

Ma la vita è un cammino e tante cose, col passare degli anni, mutano. Così la percezione di Montecassino. La visita di domenica scorsa è stata diversa da quella di altre volte. Il monastero è restato muto, ma la chiesa mi ha parlato. È un passo in avanti. La piccola comunità monastica ha celebrato una liturgia degna dei Benedettini. Il monaco che ha presieduto ha tenuto un’omelia davvero toccante e mi ha toccato. Alla fine volevo parlare con lui ma è sparito e nessuno è stato capace di rintracciarlo.

Come maturano le cose... Ci vuole pazienza.



 

lunedì 27 novembre 2023

Camminando con i maestri

 

«Morti i maestri, la proiezione della loro esperienza spirituale si fa sentire per parecchio tempo ancora, ma senza più suscitare vasti miracoli di fede o grandezza mistica. Ormai i discepoli, i seguaci, ripetono gl'insegnamenti appresi, e la loro esperienza non è originale; direi che non posseggono se non una forza propulsiva, anziché di lancio in avanti. La mano di Dio poco li afferra...». Josè Damián mi ha segnalato questo terribile testo di Levasti sui Mistici del Duecento e Trecento, un libro di quasi 100 anni fa. Chissà se oggi scriverebbe come allora...


A guardare il gruppetto che fedelmente anche oggi si è riunito spererei di no. Siamo una quindicina, tutti appassionati dei nostri “maestri”, fondatori e fondatrici, di cui studiamo gli scritti, il carisma, la spiritualità. Il tema del nostro incontro di oggi riguardava i racconti delle rispettive esperienze delle origini. Come, a chi, quando fondatori e fondatrici hanno narrato la loro storia carismatica? Spesso la stessa storia è narrata in maniera diversa, adattando il racconto alle persone, alle circostanze, oppure seguendo mozioni interiori diverse... Un cammino affascinante..., che oggi ci ha portato negli archivi delle Suore Francescane Angeline alla scoperta di fonti storiche che continuano a parlare.

Mi pare che i nostri maestri siano ancora vivi e noi vogliamo vivere con loro.

 

domenica 26 novembre 2023

Speriamo di morire con il Cantico

 

Ero stato una sola volta all’abbazia di Fossanova, più di quarant’anni fa, assieme a p. Santino, p. Novo, p. Micor. Ricordo che fu una giornata bellissima e il ricordo è più del rapporto vissuto tra di noi che della abbazia.

Oggi l’ho rivista con più calma. Tra le tante cose belle mi ha colpito una scritta sul muro della stanza dove è morto san Tommaso d’Aquino mentre si stava recando al concilio di Lione.

La scritta dice che i monaci che si erano fatti attorno al suo capezzale di ammalato lo pregarono di spiegare loro il Cantico dei Cantici. Conoscendo il grande commento di san Bernardo al Cantico, rispose: “Datemi lo spiritu di Bernardo ed io vi darò una esposizione espirando lo spiritu di Bernardo”. Infine si arrese e cominciò a dettare un suo commento. Morì mentre stava commentando il capitolo IV: «pronunciando con gli occhi rivolti al cielo quelle parole dello stesso capitolo, nelle quali si era imbattuto con veemente ardore dello spirito e con somma gioia: ”Vieni... entriamo nell’orto”».

Mi sono ricordato di Giovanni della Croce che, qualche istante prima di morire, interruppe il priore che aveva cominciato a leggergli la preghiera per la raccomandazione dell’anima: «Padre, mi parli del Cantico, ché di questa non ho bisogno». Il priore lo accontentò e alla lettura della Parola di Dio il santo esclamò: «Oh! Che perle preziose!».

Speriamo di morire con sulla bocca o nelle orecchie le parole del Cantico.






 

sabato 25 novembre 2023

L’identità nascosta

Gesù è re, ma quanto originale la sua regalità. È originale perché non aspetta attenzione e onore verso la sua persona, ma è lui a prestare attenzione e onore verso i suoi sudditi. È originale perché si fa loro fratello, vicino, prendendo su di sé i loro interessi, le preoccupazioni, i disagi, le povertà, fino a identificarsi con loro. Vale anche per lui la profezia di Maria sua madre: Dio “ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili”. Di sua volontà è sceso dal trono, senza che alcuno lo rovesciasse, si è messo dalla parte degli umili e li ha innalzati fino a farli diventare re.

Nel Vangelo di oggi rivela che in ogni persona che incontro c’è un’identità nascosta, una regalità segreta: è presente il re dell’universo, che si è immedesimato con lei. Se questo re ha una predilezione è per i piccoli, i poveri, gli infelici, gli scartati dalla società, quelli che umanamente contano di meno o non contano per niente. Con loro e per loro anch’egli si è fatto piccolo, povero ed è stato scartato, deriso, emarginato, torturato in maniera bestiale, ucciso.

Tutti sappiamo che, alla fine, dovremo comparire davanti a lui. Come i cercatori di Dio d’ogni tempo, d’ogni luogo, d’ogni religione, anche noi bramiamo vedere il suo volto: “Il tuo volto, Signore, io cerco”. Come apparirà, come si mostrerà, come sarà quell’incontro tanto atteso, al cui pensiero si alternano gioia e timore? Quale sorpresa, quale meraviglia scoprire che il suo volto avrà il volto delle tante persone incontrate in vita!

Il criterio di giudizio è presto stabilito. Vedremo quanti ci sono passati accanto e si svelerà il segreto: ere lui! Il criterio di salvezza non sarà: ti ho pregato, ti ho amato… Non sarà bastato aver detto “Signore, Signore…”. Occorrerà aver ascoltato, accolto, amato, servito il re là dove egli era veramente: nei nostri prossimi. Gesù era loro e loro erano Gesù.

E se una predilezione dovremmo avere è quella che ha avuto lui! “I poveri sono i tuoi padroni – scriveva uno che conosceva bene questa pagina di vangelo e che vi ha aderito con tutta l’anima, Vincenzo de Paolo –, padroni terribilmente suscettibili ed esigenti: te ne accorgerai. Più essi saranno brutti, sporchi, più saranno ingiusti e volgari, più tu dovrai amarli”.

In quell’ora della verità verrà in luce non soltanto la vera identità degli altri, ma anche la mia: amo, quindi sono; non amo, quindi non sono. Il giudizio è già espresso. Se ho amato sarò per sempre, se non ho amato non sarò più, perché mai sono stato, condannato a un’esistenza in negativo. “Alla fine della vita saremo giudicati sull’amore”.

venerdì 24 novembre 2023

Diario 1964-1980

 

Chiara Lubich è nota per la ricca spiritualità e per aver dato vita e accompagnato lo sviluppo del Movimento dei Focola­ri, con una forte incidenza nel mondo ecclesiale e civile. Più riservato e quasi nascosto il suo mondo interiore, terreno fecondo della sua grande creatività. I diari oggetto della presente pubblicazione consentono di seguire il suo cam­mino spirituale, di coglierne ciò che anima la sua azione e le ripercussioni che l’azione produce in lei. Essi coprono gli anni 1964-1980, particolarmente fecondi per lo sviluppo del suo Movimento.

Benché conservino i tratti del diario intimo, l’Autrice li fa circolare tra i membri della sua famiglia cari­smatica perché “ciò che non è utile all’umanità o almeno agli altri non ha valore”. La condivisione con tanti non pena­lizza la sincerità propria del diario spirituale. La comunione e la comunicazione come lei le intende presuppongono piuttosto una personale e profonda esperienza interiore che sola consente l’autenticità del dono di sé agli altri. Se non sapessimo che i diari sono stati oggetto di condivisio­ne e se si escludessero i pochi riferimento al riguardo, non verrebbe da pensare che si tratta di testi aperti alla lettura di altre persone. Con la presente pubblicazione sono ora aperti ad ogni possibile lettore introducendo in un ricco e fecondo itinerario spirituale.

giovedì 23 novembre 2023

Val più la domanda della risposta

Discorsi da tavola... A un nuovo arrivato qualcuno mi presenta dicendo (con fare divertito): “È uno capace di rispondere a ogni tua domanda”. E io di rimando: “Sono più importanti le domande delle risposte”.

Il facilitatore della riunione dei superiori maggiori che si tiene questi giorni in casa nostra coglie, zitto zitto, questa mia battuta e nella sessione del mattino ne fa oggetto di riflessione con tutti. In un battibaleno divento famoso per questa frase. Non so se sia stata riferita in positivo o in negativo, sta di fatto che la filosofia è nata col porsi le domande.

Perché nasce una domanda? Chi formula una domanda in fondo ha già dentro la risposta, basta farla emergere lentamente, attraverso il dialogo e la riflessione. Le risposte che nascono da dentro sono le più convincenti. 


mercoledì 22 novembre 2023

Pellegrinaggio

Il pellegrinaggio è un’esperienza che incide indelebilmente nell’anima di quanti lo compiono, anche se non credenti. Risponde infatti ad una esigenza inscritta nel cuore della persona umana, quasi una inquietudine, una insoddisfazione che spinge ad andare sempre oltre, alla ricerca di qualcosa di più grande, di più bello, di più vero.

È l’intera nostra vita che assume i connotati di un cammino, che per il cristiano ha una chiara meta: il Cielo. Fu una chiamata di Dio a mettere in movimento Abramo e a fare di lui un “arameo errante” in cerca di una terra promessa da Dio. Dopo di lui fu l’intero popolo di Israele a mettersi in cammino: l’esodo dall’Egitto verso la Terra santa divenne il simbolo di un itinerario dalla schiavitù alla libertà, dal peccato alla vita nuova, dalla terra al Cielo. Gesù, che si è definito “la Via”, ha dato infine il via al cammino del nuovo popolo di Dio. Su questa terra siamo “stranieri e pellegrini” (1 Pt 2,11), “non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura” (Eb 13,14).

Il pericolo che corriamo è dimenticare la metà del nostro cammino, di ridurre la vita a soddisfare le esigenze contingenti terreni, a radicarci nelle realtà umana come fossero le ultime, fine a se stesse. I pellegrinaggi diventano momenti che ci risvegliano e ci aiutano a guardare in altro, a ricordare il senso del nostro cammino. La Scrittura voleva che il popolo ebraico, anche quando divenne sedentario nella terra promessa, rimanesse sempre pellegrino; per questo ogni anno doveva salire a Gerusalemme per incontrare Dio e rinnovare la tensione verso di lui. Anche quando Elia volle ritrovare la purezza delle origini andò in pellegrinaggio al monte Oreb, dove Dio si era incontrato con il suo popolo e gli aveva dato la legge.

I pellegrinaggi, nel pellegrinaggio della vita, sono come un “sacramento” che ci ridice il carattere transeunte della situazione umana, la caducità e la provvisorietà di quello che facciamo; l’appello ad un’esperienza di distacco interiore, di spogliazione per una libertà dello spirito che non deve mai lasciarsi imprigionare dalle realtà umane, a riprendere con nuovo slancio e decisione il cammino spirituale. I pellegrinaggi non sono fine a se stessi, ma momenti di grazia che ci consentono poi di tornare nell’ambiente ordinario di vita, agli impegni abituali, per portarvi quell’anelito di Cielo che il luogo del pellegrinaggio ha ravvivato. Così “tutti i buoni frutti della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, ma illuminati e trasfigurati” quando, al termine del nostro pellegrinaggio, “Cristo rimetterà al Padre il regno eterno e universale” (Gaudium et spes 39).

Mi hanno chiesto una pagina sul pellegrinaggio, così ho ripensato ai miei molti pellegrinaggi...

 

martedì 21 novembre 2023

Paolo: Innamorato di Cristo

Nell’inno della lettera ai Romani, Paolo canta la sua profonda comprensione dell’amore di Dio, manifestato in Cristo Gesù: «Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno... Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo?» (Rom 8, 28–39).

Niente può separarci dall’amore che Dio ha per noi perché tutto è amore, e niente può separarci dal nostro amore per Dio perché in tutto vediamo il suo amore e tutto diventa risposta d’amore.

Questo inno all’Amore di Dio è frutto della profonda e personale esperienza di Paolo. Nei lunghi anni di servizio a Cristo niente è riuscito a separarlo da Dio. In 2Cor 11, 23–27 racconta le molte tribolazioni alle quali è dovuto andare incontro. Come mai niente gli è stato di ostacolo, anzi gli è diventato strada di salvezza? Come mai in tutto ha scoperto l’amore di Dio? Perché tutto concorra al bene occorre amare Dio, infatti “tutto concorre al bene per coloro che amano Dio”, per coloro cioè che hanno fatto l’esperienza di Dio. E Paolo è proprio uno di quelli che hanno fatto l’esperienza di Dio, che “amano Dio”. Tutto gli è stato manifestazione d’amore perché amava.

L’amore di Dio si è manifestato a Paolo in Cristo Gesù un giorno, sulla via di Damasco: «E io gli dissi: Chi sei, o Signore? E il Signore rispose: Io sono Gesù, che tu perseguiti» (At 26, 15). È Dio Amore che si rivela nel Figlio: «...colui che mi scelse dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio» (Gal 1,15–16). Davanti a chi lo contesta, può rivendicare di averlo visto: «Non sono forse un Apostolo? Non ho veduto Gesù, il Signore nostro?» (1Cor 9, 1).

Cosa avvenne in quell’incontro di Damasco? Mentre Paolo perdeva la vista, scrive San Massimo di Torino, «acquistava occhi nuovi per fissare meglio Cristo». Appena fissato Cristo, questi diventa il suo Signore e la gloria di Paolo, d’ora in poi, sarà solo quella di essere “servo del nostro Signore Gesù Cristo”. Tutto il resto perde valore: Lui è la Vita. Il resto diventa opaco, si eclissa lentamente all’orizzonte, appare periferico davanti alla centralità di Cristo: «Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo» (Fil 3, 7–11).

Davanti alla conoscenza di Cristo, tutto è diventato un non senso: la sapienza di questo mondo, la vita passata con tutta la ricchezza e la gloria della legge e della veneranda tradizione. Davanti a sé ha solo Cristo e Cristo Crocifisso: «Non conosco che Cristo e Cristo Crocifisso» (1Cor 2, 2). È la conoscenza biblica, cioè quel profondo rapporto di comunione che gli fa dire: «per me vivere è Cristo» (Fil 1, 21), che gli fa concepire la vita come un con–vivere, con–morire, con–risuscitare, con–sedere nei cieli in Cristo. È quell’assimilazione profonda a Cristo che gli permette di ripetere più volte: «siate miei imitatori» (1Cor 11, 1).

Paolo diventa così il “cantore di Cristo”: «Il glorioso Paolo apostolo – come scrive Santa Teresa d’Avila – non poteva fare a meno di aver sempre sulla bocca il nome di Gesù, perché l’aveva ben fisso nel cuore».

Conosciuto Cristo ha ormai una sola brama, quella che anche gli altri possano conoscere e sperimentare l’amore di Cristo. Questo il fine del proprio apostolato, questo l’oggetto della sua preghiera: «Io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef 3, 14–19).

Mi hanno chiesto una pagina su Paolo. Che bello passare un'ora con lui a scrivere di lui...

lunedì 20 novembre 2023

Amicizia: ciò che fonde insieme le anime

 

Anche oggi ho guidato il ritiro mensile alla comunità di Marino. È sempre una gioia passare qualche ora insieme. Continuo il tema del “cammino”. Questa volta parlando dell’importanza di avere un compagno di viaggio, un amico. Fra l’altro abbiamo riletto insieme le componenti di un’amicizia vera e semplice, come le descrive il grande sant’Agostino nelle Confessioni:

«I colloqui, le risa in compagnia, lo scambio di cortesie affettuose, le comuni letture, i libri ameni, i comuni passatempi ora frivoli ora decorosi, i dissensi occasionali, senza rancore, come di ogni uomo con se medesimo, e i più frequenti consensi, insaporiti dai medesimi, rarissimi dissensi; l’essere ognuno dell’altro ora maestro, ora discepolo, la nostalgia impaziente di chi è lontano, le accoglienze festose di chi ritorna. Queste e simili segni di cuori innamorati l’uno dell’altro, espressi dalla bocca, dalla lingua, dagli occhi e da mille gesti gradevolissimi, sono l’esca, direi, della fiamma che fonde insieme le anime e di molte ne fa
una sola» (IV, 8).

domenica 19 novembre 2023

Padre Liuzzo: un ruolo unico e insostituibile

 

Pomeriggio di festa in via dei Prefetti a Roma: il ricordo luminoso dei 20 anni dalla morte di Padre Gaetano Liuzzo. Tutta la famiglia oblata riunita attorno a questo patriarca di cui abbiamo rievocato il cammino.

Mi è piaciuto leggere due righe di una lettera che p. Santino Bisignano, allora provinciale, scriveva alla presidente delle COMI, Enrica Di Cianno, e a p. Liuzzo che insieme gli chiedevano un Oblato che sostituisse p. Liuzzo nell’accompagnare le COMI.

Con l’avanzare degli anni p. Liuzzo sentiva la necessità di essere affiancato da un Oblato più giovane nel lavoro accanto alle COMI. Assieme alla Presidente si era rivolto al Superiore provinciale, p. Santino Bisignano, per avere un aiuto. P. Santino risponde con parole sapienti che testimoniano il ruolo insostituibile di p. Liuzzo come fondatore. Riporto soltanto l’inizio (l’intero testo nel libretto preparato per la circostanza):

23 ottobre 1993

Gent.ma Enrica, so che attende questa mia lettera riguardante la richiesta che Lei e P. Liuzzo mi avete fatto ancora lo scorso anno per un Oblato che possa fin d’ora aiutare il Padre ed entrare, in questo modo, più dentro lo spirito delle COMI per seguirle in seguito.

Nell’incontro, come ricorderà, facevo presente che va definito bene il ruolo di questo Padre e il suo rapporto con le COMI. Non può essere infatti come quello del Fondatore del vostro Istituto, perché è un ruolo unico. Ha dato vita alle COMI e queste ora devono compiere il loro cammino autonomamente secondo la natura dell’istituto e le sue finalità nella Chiesa. Vi dicevo che non esiste e non può esistere "un secondo. P. Liuzzo" o un suo Vice. Nessun Istituto ha due Padri o due Madri! ...

 

sabato 18 novembre 2023

Ci dà piena fiducia

«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni...»

Quanta fiducia nei nostri confronti! Al punto da consegnare i suoi beni nelle nostre mani. Gesù sale al cielo e lascia a noi il compimento della sua missione. Si arrischia, pur conoscendo la nostra piccolezza, le infedeltà, i tradimenti.

Tutto in noi è opera sua. Eppure non siamo oggetti inerti del suo amore. Ci vuole soggetti attivi, corresponsabili nel suo disegno di amore. Senza di lui non possiamo fare nulla, ma... anche lui senza di noi non può fare nulla. Ha un tale rispetto di noi che ci ha resi liberi così da poter accogliere il suo dono e rispondere al suo amore con un’adesione convinta ed operosa.

Si è tutto donato rivolgendoci la sua parola, l’ha deposta in noi come un seme. Ora attenda che esso cresca, diventi albero, porti frutto e che a nostra volta seminiamo in altri il suo vangelo.

Si è tutto donato nel pane e nel vino, suo corpo e sangue, e vuole che il dono si perpetui: “Fate questo in memoria di me”. Ora attende che chi mangia di lui viva di lui e viva per lui, così che cresca il suo corpo fino alla statura adulta.

Ci ha donato il comandamento nuovo dell’amore reciproco. È “suo” perché è quanto vive con il Padre e il Figlio nell’unità trinitaria e lo fa diventare “nostro” per renderci partecipi della sua divinità. Ora attende che ci amiamo tra di noi fino a fare della terra il cielo.

Ha rischiato, eccome, mettendo nelle nostre mani la sua stessa vita. Ora chiede a noi di rischiare con lui, donandoci come lui si è donato, mettendo a frutto i talenti che ci ha donato.

Spesso ci sentiamo troppo piccoli, inadeguati, incapaci di rispondere. Non crediamo che il dono ricevuto ha in sé la vita, la capacità di germogliare e di portare frutto, attivando in noi risorse nascoste. Non ci fidiamo di Dio, forse perché ci si para davanti l’immagine di un Dio duro ed esigente. Riteniamo allora, come il servo pigro e infedele, che la cosa migliore sia rimanere ligi al proprio dovere, facendo il minimo indispensabile, senza prendere nessuna iniziativa rischiosa, per paura di sbagliare, di essere giudicati. Può darsi che come mi muovo sbaglio (e allora Dio mi corregge), ma rimanere senza far nulla è uno sbaglio ancora più grande.

 

 

venerdì 17 novembre 2023

Un'autobiografia: perché?

Sto per terminare la lettura di un libro affascinante: Resisti, cuore, di Alessandro D’Avenia, un’interpretazione dell’Odissea di Omero.

Lungo quattro canti del poema Ulisse narra ai Feaci la sua storia. Si conclude con le parole: “Così narrava. E tutti rimasero muti, in silenzio, come presi d’incanto, nella sala piena di ombre”. È l’autobiografia di Ulisse.

Mi piace il commento di D’Avenia: «Un’autobiografia... non è cronaca, ma trasformazione del vissuto in verità, speranza, impegno e coraggio per nascere del tutto... questo significa “avere una vita”: poterne fare il racconto... Il nostro io è narrativo, comprendiamo la vita sempre e solo come narrazione» (p. 279).

L’autobiografia non è una biografia. La biografia si impegna a ripercorrere diligentemente tutte le tappe del vissuto. L’autobiografia sceglie, elimina, enfatizza, coglie il senso, ritesse le trama della vita, le ri-crea, la crea di nuovo.

Incanta, se è vera. Lascia muti, come i Feaci al racconto di Ulisse.

La prossima settimana raccoglierò un gruppo di amici con i quali condividere i racconti dei nostri rispettivi fondatori: come, perché, in quali circostanze hanno raccontato di sé. Immagino sarà un momento intenso e arricchente.

giovedì 16 novembre 2023

L'esperienza mistica di Chiara Lubich: i suoi scritti


La Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna continua a mettere in onda, sul proprio sito istituzionale, una dopo l’altra, le conferenze tenute al Convegno «Scrivere di Dio. Chiara Lubich e la tradizione mistica femminile dal Medioevo al Novecento. Un percorso a più voci».

Oggi è la volta della mia conferenza: Chiara Lubich e l'esperienza mistica nei suoi scritti.

https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=_O_yjTNXTOk



mercoledì 15 novembre 2023

Lui mi vuole qui


 Fino al 2011 posso dire di aver vissuto nella certezza che quanto mi accadeva fosse la volontà di Dio su di me. Avevo un lavoro che amavo molto, ero un punto di riferimento sicuro per tanti... Poi per ragioni che appartengono ormai alla storia passata, ho dovuto lasciare tutto e trasferirmi altrove. Qualche volta mi veniva il dubbio se era proprio qui dove Dio mi voleva. Dopo dodici anni, il riflesso nell’anima di quel “insostituibili”, raccolto nella conversazione di padre Fabio, è stato fortissimo. Lui mi vuole qui, il mio disegno ab aeterno già prevedeva la terza tappa della mia vita. Magari ce ne sarà una quarta, una quinta non so... ma nel qui e ora ho l’unica e certa possibilità che si compia alla perfezione il “sogno” di Dio su di me. E, infatti, se vado a ritroso di questi ultimi dodici anni passati qui, scopro tanti “tesori” vissuti con amore e per amore, ricchi di Provvidenza e generatori di rapporti nuovi.

Un altro aspetto forte che è venuto in rilievo è quello in cui ognuno, in qualche modo, vive la Parola di Vita dell’altro. Infatti con mia moglie abbiamo scoperto che lei tiene molto a cuore il “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù”, che è la mia Parola di Vita, continuamente è più lei che ricorda di fare la meditazione, le preghiere per tutte le occasioni previste, il Rosario, etc. Mentre la sua Parola di Vita, “Sarò sempre con voi fino alla fine del mondo”, ricorda la mia certezza incrollabile, e che tante volte esprimo nei colloqui, che Lui è sempre vicino, non ci abbandona mai.

Ora ho come la consapevolezza che “intingere” la mia anima nel fratello significa che nella comunità locale, nel mio ambiente di lavoro... Devo farmi talmente uno da assorbire anche la Parola che vivono negli altri, entrare nel loro “sogno”, anzi farne parte, perché loro sono indispensabili per me, così io per loro. E, come sempre ci ha detto Chiara, farci santi insieme.

Un’altra impressione del ritiro tenuto a Loppiano domenica scorsa. Mi fa bene sentirmi raccontare queste cose, sono come un boomerang corroborante.

martedì 14 novembre 2023

La diversità nasce sempre dall'uguaglianza

Oggi pur facendo le stesse cose dei giorni scorsi, dopo il ritiro di domenica tutto mi sembra diverso. Come mai ho visto che solo l'unità permette a ciascuno di essere pienamente se stesso, ciascuno arricchito dall'altro. Quante volte ho visto l'altro come un ostacolo da superare! Oggi invece vedo come la diversità dell'altro mi arricchisce, ed è nel consumarci in uno che acquisto le virtù dell'altro. Ognuno con la sua personalità... Vedo chiaro che la diversità nasce sempre dall'uguaglianza, dall'unità. Ogni persona una Parola di Dio pronunciata dall'eternità, ognuna uguale e diversa, e per questo ho bisogno dell'altro, d'intingere la mia anima nell'anima del fratello o della sorella perché è così che scopro me stessa. Ognuna unica, insostituibile, necessaria a Dio per necessita d'amore..., che forte che Dio abbia bisogno di noi per realizzare il suo disegno d'amore. E poi la Parola la nostra veste, il nostro "abito", che nella mia-nostra vocazione è l'unità, "che tutti siano uno".

Un’altra bella testimonianza del ritiro di domenica scorsa...

lunedì 13 novembre 2023

Ognuno di noi è unico, irrepetibile

 

Ognuno di noi è unico, irrepetibile, stato pensato da Dio da sempre. Nell’atto di pronunciare la Parola, il Verbo, il Figlio suo egli “dice” la nostra parola, il nostro verbo, il nostro essere. Nel suo Figlio siamo suoi figli, chiamati all’esistenza con la vocazione ad essere in lui dio come lui è Dio.

Non ci si inventa una vocazione e non ci si dà una missione, la si scopre, è già inscritta nel proprio essere dal momento in cui Dio ci ha pensato, amato, “sognato”, quasi una “Parola” da lui pronunciata che ci costituisce nella nostra identità: siamo una “missione”. Il suo amore ci rende indispensabili. 

Per prenderne piena consapevolezza della mia vera identità, della mia vocazione, occorre che le molte vocazioni di più persone entrino in comunione tra di loro, così da riconoscersi uguali, scoprendo la medesima origine, la stessa dignità, e insieme riconoscersi diversissime. Soltanto così ognuno può essere se stesso e contribuire, con la sua peculiarità e in comunione con tutti gli altri, al grande disegno di Dio sulla creazione. 

Se io valgo immensamente e sono unico, irrepetibile… anche chi è accanto a me vale immensamente, è irrepetibile, insostituibile nel posto in cui Dio l’ha collocato: alla celebre massima antica, “conosci te stesso”, dobbiamo affiancare: “conosci il fratello”. L’altro mi sta davanti come il “tu” di Dio e, nella comunione, mi ridona me stesso. Non è il passaggio dall’io al noi, ma il passaggio da Dio a Dio: da Dio in me a Dio nel fratello, che consente di avere Dio tra noi e mi ridona Dio in me.

Da questo pensiero hanno preso avvio le meditazioni che ho tenuto domenica ai membri della cittadella di Loppiano. Una giornata piena di luce, di “una bellezza incomparabile”, come ha detto qualcuno.

Una impressione tra le tante: «Mi sono messo in un atteggiamento di ascolto “senza filtri” e ad un certo punto mi sono trovato “dentro” - non nei concetti ma dentro una realtà, quella dell'uno e dei molti, dove ho capito la mia importanza e quella di ciascuno, come in un vero corpo.  Non guardavo da fuori, ero da dentro».

 

domenica 12 novembre 2023

sabato 11 novembre 2023

Alla festa di nozze

 

“Arrivò lo sposo”. Prima o poi arriva. Quando? Non lo sappiamo, ma sarà sempre all’improvviso, quando meno ce lo aspettiamo. Per alcuni è un incubo. Serpeggia ovunque la paura della morte perché essa non ha nome, è un enigma, ti strappa da tutto ciò che ti è caro, dalla vita stessa, il più prezioso dei beni. Eppure la morte, da quando Gesù è morto, ha ormai il suo volto. Non viene più - perché non c’è più - quello scheletro vestito di nero, con in mano la falce, che così spesso vediamo rappresentato a significare la morte. Viene Gesù, atteso con impazienza, per l’incontro che ci introdurrà nella casa della festa.

“Le vergini che erano pronte…”. Lo hanno aspettato con la lampada accesa. La vita come attesa dello Sposo, preparazione all’incontro. Tutto fatto bene, con cura, azione per azione, seguendo la sua volontà, così che quando egli arriva tutto sia in ordine, a posto. La morte come incontro gioioso, liberatorio.

“Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora fede sulla terra?”, si è chiesto Gesù una volta. Ha paura che ci dimentichiamo di lui, che perdiamo la pazienza, la speranza, volgendo altrove la nostra attenzione e che altri interessi prendano il sopravvento. Lo teme non per sé ma per noi, a cui vuole bene: si preoccupa che non ci perdiamo nella morte eterna.

È l’amore l’olio che alimenta le lampade. Senza amore l’attesa si affievolisce e si spegne. Alla Chiesa di Efeso fu rimproverato che aveva perduto l’amore dei primi tempi. L’amore è vigilante, premuroso, attento… Questo? Lo faccio per te. Quest’altro? Lo faccio per te. Per te che stai per venire, che sei già lì dietro la porta, che mi fai battere il cuore…

“Entrarono con lui alle nozze”. Con lui! Quale dolce compagnia. Entrano alla festa di nozze, la festa più bella a cui si possa partecipare qui in terra, immagine più bella della festa senza fine del cielo. Ma la festa vera, la più intima e profonda, è quell’essere “con lui”. È quanto ha promesso al buon ladrone sulla croce: “Oggi sarai con me in paradiso”. “Con me”! È questo il paradiso: stare con lui. Perché non possiamo iniziare a viverlo fin da adesso?

venerdì 10 novembre 2023

Un grande viaggio nella storia della mistica femminile

Esco presto dell’albergo. La città è ancora silenziosa e deserta. Entro nella chiesa di san Domenico, vuota e buia. Da lontano mi giunge soffuso il canto dei frati. Nonostante i divieti di accesso mi inoltro nei meandri senza luce fino a giungere nel grande coro. Una cinquantina i Domenicani che occupano gli stalli in abito bianco corale, alcuni avvolti nel mantello nero. Nella penombra non mi notano neppure. Cantano all’unisono, come fossero una sola voce, con toni semplici e solenni insieme. È preghiera vera. Mi aggrego per la messa conventuale, come uno di loro, senza alcuna formalità.

Al termine mi avvio lentamente verso la tomba di san Domenico. Mi hanno preceduto alcuni Domenicani che trovo in preghiera davanti al loro santo padre. Vanno ogni giorno a salutarlo? Poi attraverso la navata per andare alla cappella di fronte, dedicata alla Madonna del Rosario. Anche lì ci sono già altri Domenicani in preghiera. Due di loro si abbracciano, uno è appena giunto da fuori. Allora si vogliono bene davvero… Prima di uscire, al fondo della chiesa, vedo un altro frate in ginocchio davanti a un grande crocifisso. Così ogni giorno prima di iniziare i lavori e gli studi nella facoltà teologica?

Sul sacrato una donna è seduta appoggiata a uno degli stipiti della porta. È avvolta di stracci e coperti e chiede l’elemosina. Una delle donne che hanno seguito la messa le si avvicina e le porge un cappuccino caldo che ha appesa preso al bar di fronte. La preghiera mai disgiunta dalla carità.

Sì, ora siamo pronti per iniziare il nostro seminario dedicato a cosa significa “dire Dio al femminile”. dal titolo “Scrivere di Dio. Chiara Lubich e la tradizione mistica femminile dal medioevo al Novecento. Un percorso a più voci” promosso dalla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna insieme al Centro Chiara Lubich e all’Istituto Universitario Sophia. Siamo nel Salone dei Bolognini del Convento di San Domenico a Bologna, tra i libri di una delle più grandi biblioteche d’Italia, a cui si accede da un chiostro arioso e vasto.

In questi due giorni stiamo percorrendo un vero e proprio viaggio nella storia della mistica femminile, dal Medioevo al '900. In questo modo, come ha spiegato il padre domenicano Gianni Festa, tra i promotori dell’evento, “L’esperienza della Lubich viene collegata a figure importanti della tradizione mistica medievale come Caterina da Siena e Teresa d'Avila, ma soprattutto ad altre esperienze e scritture mistiche del ‘900, alcune più note, come Etty Hillesum, Madeleine Delbrêl; altre meno note, come sorella Maria, la grande mistica amica di don Primo Mazzolari”.

Le relazioni si solo di livello, tenute da persone tra le più esperte nelle materie specifiche. Più di 100 i partecipanti, un numero altissimo per un seminario così specializzato.

Anch’io ho avuto il mio intervento, semplice, molto personale, ma ricco e rispettoso della mistica di Chiara. Per Vatican News ho così evidenziato un punto soltanto: “Sono molti gli aspetti che potremmo sottolineare della peculiarità dell'esperienza di Chiara Lubich. Mi viene in evidenza soprattutto la dimensione comunitaria. Perché questa esperienza, cioè l'entrare nella realtà di Dio, nel suo mistero, nella Trinità, è avvenuta come conseguenza di un patto di unità fatto con uno dei suoi amici, Igino Giordani. O meglio non è neanche un patto fra loro, perché chiedono a Gesù Eucaristia che sia lui a fare un patto di unità tra di loro. Per cui, dopo aver fatto la comunione, i due diventano una cosa sola, diventano un unico Cristo. E da lì parte l'esperienza mistica di Chiara, che è una comprensione profonda, personale, trasformatrice del mistero di Dio. Ma questo entrare in Dio, contrariamente forse a quello che accade per tante mistiche, non è un fatto soltanto personale, ma comunitario. Entrano insieme e tutta l'esperienza mistica è fatta a corpo, perché gradatamente in questa esperienza sono coinvolte anche altre persone. Mi sembra che sia come il ritorno alla primitiva esperienza mistica cristiana, quella della Pentecoste. E Pentecoste non è la somma di tanti mistici, è un'unica esperienza mistica che lo Spirito provoca in tutta la prima comunità cristiana. Insieme fanno la stessa esperienza dello Spirito, per cui il soggetto dell'esperienza mistica di Chiara Lubich mi sembra in continuità con l'inizio della Chiesa, è un soggetto plurale, il soggetto torna a essere la Chiesa. In conclusione è la Chiesa che in Chiara fa l'esperienza mistica di Dio.



  

giovedì 9 novembre 2023

Esperienza mistica, esperienza integrale

 

Inizia qui a Bologna il convegno sulla mistica. La connotazione di esperienza “spirituale” data all’esperienza mistica potrebbe fare intendere che, poiché è provocata dallo Spirito, riguardi soltanto o soprattutto lo spirito e l’anima della persona interessata. Eppure nessuno come lo Spirito ha tanto a che fare con la materia: è lui che all’inizio della creazione trasforma il caos in cosmo; è lui che dà carne al Verbo nel grembo della Vergine Maria.

Così per l’esperienza del “Paradiso’49”. Si tratta di una esperienza integrale, che coinvolge la persona di Chiara in tutta la sua interezza, anche nella corporeità e femminilità. Il primo scritto originario (datato 19 luglio 1949) annota un effetto sensibile, corporeo, provocato direttamente dallo Spirito Santo, che “ritocca” Chiara con un “bacio”, facendole “sentire” un forte male al cuore: «Dopo aver rivelato in un tramonto meraviglioso ... lo Sposo, fui ritoccata dallo Spirito Santo, al cui bacio sentii un forte male al cuore».

Troviamo qui due elementi caratteristici dell’esperienza mistica, il bacio e il cuore. Il bacio, con chiaro riferimento al Cantico dei cantici, si dà, come scrive san Giovanni della Croce, «quando l’anima gode di questi beni divini con gustosa e intima pace e con grande libertà di spirito» (Josè Damián, massimo conoscitore di san Giovanni della Croce, mi dice che è una traduzione troppo libera... ma è bella!).

In Chiara l’esperienza di essere baciata è talmente profonda che produce un effetto cardiaco, “un forte male al cuore”. Siamo, ancora una volta, in una fenomenologia ben nota alla mistica. Si potrà ricordare, ad esempio, la dilatazione del cuore di san Filippo Neri nella Pentecoste del 1544, quando esclamò: «Basta Signore, basta perché mi moro».

Non mancano, negli scritti di questo periodo, altri accenni alle conseguenze sul corpo: sospiri, desiderio di sottrarsi alla visione perché troppo violenta, il cuore che sembra scoppiare, sensazione di un fuoco ardente che brucia mente e cuore, fino al paolino “cupio dissolvi”. L’esperienza è infatti talmente forte e coinvolgente da voler essere allontanata. Nello stesso tempo è amata al punto da concludersi con le parole: «Sposo mio dolcissimo, troppo bello è il Cielo e Tu come un divino Amante, dopo le Mistiche Nozze ..., mi mostri i tuoi possessi che sono miei! Non mi rimane che svenire in Te, che rimorire sul tuo Cuore, consumata dal tuo amore! Mio Dio, ma perché? Perché a me tanto? Perché tanta Luce e tanto Amore?».

 

mercoledì 8 novembre 2023

L’ideale omerico della famiglia

Felice colui che, colmandoti di doni nuziali, ti porterà nella sua casa... E che gli dei ti concedano tutto quello che il tuo cuore disidera, una casa, un marito, e un felice accordo tra voi: nulla è più bello e più prezioso di questo, quando moglie e marito con n’anima sola governano la loro casa.

È un testo nel quale mi sono imbattuto in treno mentre, andando a Loreto dove avrei parlato della famiglia, leggevo l’Odissea. Sì, proprio l’Odissea. È l’augurio che Ulisse rivolge a Nausiaca appena incontrata sulla spiaggia dopo il naufragio. L’ideale della famiglia è proprio iscritto nel cuore umano.