Che spettacolo! Una sala con
300 persone in “ritiro”. 81 di loro fanno i voti o le promesse, temporanei o
perpetui. Sono collegati in streaming più di 1000 punti di ascolto. 10
traduzioni… Parlo della preghiera di Gesù al Padre e della nostra preghiera.
Pregare il Padre. E chi
altri dovremmo pregare dopo che Gesù ci ha detto: “Quando pregate, dite: Padre”
(Lc 11, 2)? «Quando preghi – leggiamo
ancora nel Vangelo di Matteo –, entra nella tua camera e, chiusa la porta,
prega il Padre tuo nel segreto…» (Mt 6, 6). Rivolgersi al Padre è
l’attitudine, la preghiera per eccellenza del cristiano. Gesù ci dà come padre
il suo Padre, come rivela a Maria Maddalena subito dopo la resurrezione: «Salgo
al Padre mio e Padre vostro…» (Gv 20, 17). Abbiamo ricevuto anche lo Spirito di
Dio perché per mezzo suo possiamo gridare “Abbà! Padre!», come ricorda Paolo ai
Galati (4, 6) e ai Romani (8, 15). La preghiera cristiana è sempre
trinitaria: per Cristo, nello Spirito, al Padre.
Ogni sua preghiera inizia
con la parola “Padre”,
un’invocazione che, nei racconti evangelici, Gesù impiega 19 volte: è dunque la
nota distintiva della sua preghiera. Sappiamo che i Vangeli, scritti in greco,
usano la parola Patér, la stessa che abbiamo in latino. Tuttavia
Marco, unico tra gli evangelisti, riferendo la preghiera di Gesù nell’Orto
degli Ulivi, riporta il termine originario, in aramaico: Abbà (14,
36). Sappiamo anche che questa parola esprime il rapporto filiale, affettuoso e
familiare del bambino con il proprio padre, e indica il tipico rapporto che
Gesù, il Figlio, ha con il suo Padre del Cielo.
Lo testimonia chiaramente il
Vangelo di Giovanni quando Gesù afferma ripetutamente che il Padre lo ama (Gv
3, 35; 5, 20; 10, 17; 15, 9). Gesù e il Padre si conoscono (10, 15), sono una
cosa sola (10, 30), sono l’uno nell’altro (14, 11). Gesù non è quindi mai solo,
«perché il Padre è con me» (16, 32). E Gesù risponde all’amore del Padre con lo
stesso amore, facendo pienamente la sua volontà: «Bisogna che il mondo sappia
che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato» (14,
31). Gesù pregava perché aveva bisogno di coltivare il rapporto del Padre
per comprendere il senso e la modalità della missione che gli aveva affidato,
per attingere la forza che lo avrebbe sostenuto nel compimento della sua opera,
per trovare la luce che avrebbe espresso nelle sue parole.
Chissà con
quali parole o con quali silenzi si esprimeva Gesù nella sua preghiera al
Padre. Qua e là, lungo i Vangeli, affiorano espressioni che squarciano il
mistero e ne lasciano intravedere uno spiraglio.
Cominciamo dalla prima
parola che pronuncia
entrando nel mondo: «Ecco, io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà»
(Eb 10, 7). Le sue prime parole sono una preghiera. Si avverte la gioia e lo slancio dell’obbedienza al
Padre: “Eccomi, manda me!”. Eppure all’ultimo momento, Gesù rimane col
fiato sospeso, sembra sul punto di ritirare la propria offerta: «Allontana da
me questo calice – dove “calice” sta per “volontà di Dio” –… Lo spirito è
pronto, ma la carne è debole» (Mc 14, 36.38). Lo slancio
iniziale è sempre generosissimo, senza il minimo ripensamento: “Ecco, io vengo…
per fare, o Dio, la tua volontà”. Per Gesù giunge il tempo di “forti grida e
lacrime” (Eb 5, 7-8), e «cominciò ad avere paura e smarrimento» (Mc 14,
33): «Sono triste da morire» (Mc 14, 34). Ha addirittura bisogno di
un angelo che venga dal cielo a rincuorarlo (Lc 22, 43-44)! Eppure
continua il suo cammino e rimane coerente con il progetto abbracciato, anche se
sembra assurdo: «però non quello che voglio io, ma quello che vuoi tu» (Mc 14,
36; Mt 26, 39; Lc 22, 42); «Che posso dire?
Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora!» (Gv 12,
27). Egli procede fermo nella prima parola data: “Ecco, io vengo… per
fare, o Dio, la tua volontà”. La compie veramente, nonostante tutto. Mostra la
serietà della sua preghiera al Padre. Per questo anche a noi spiega quanto sia
esigente la preghiera rivolta al Padre: «Non chi dice Signore, Signore, entrerà
nel regno dei cieli ma chi fa la volontà del Padre mio…» (Mt 7,
21).
Un’altra preghiera di Gesù
ci insegna come pregare: «In
quel tempo – leggiamo nel Vangelo di Matteo – Gesù disse: «Ti benedico, o
Padre, Signore del cielo e della terra…»
(Mt 11, 25-26). Alla risurrezione di Lazzaro «alzò gli occhi e
disse: “Padre, ti ringrazio…”» (Gv 11, 41; cf. 12,
27). La preghiera di Gesù al Padre è benedizione e ringraziamento.
L’avevano capito di primi
cristiani che così pregavano: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù
Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in
Cristo» (Ef 1, 3; 2 Cor 1, 3). Nella Lettera ai Colossesi
troviamo l’invito al ringraziamento: «Ringraziate con gioia il Padre che vi ha
resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce» (1, 12). Anche
nella preghiera liturgica ripetiamo: “Benedetto sei tu Signore, Dio
dell’universo. Dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, questo
vino…”. Sarà dunque questa anche la nostra preghiera: lode e ringraziamento
al Padre per l’amore che ha per noi.
La più grande preghiera al
Padre è quella che Gesù rivolge al termine dell’ultima cena, quella che
chiamiamo “preghiera sacerdotale”, la “preghiera per l’unità”. In essa
manifesta il rapporto di conoscenza e di amore che ha con il Padre e nel quale
“tutti” siamo chiamati a entrare. Ogni giorno prestiamo le nostre labbra a
Gesù, a Gesù in mezzo a noi, perché egli continui a rivolgere questa preghiera
al Padre. Soprattutto vorremmo vivere in modo che tutta la nostra vita fosse
una preghiera per l’unità.
Il Vangelo di Luca riposta
due preghiere di Gesù in croce. La prima: «Padre, perdona loro perché non
sanno quello che fanno» (23, 34). Gesù non dà personalmente il perdono
ai suoi crocifissori, lo chiede al Padre. Intercede per loro pregando: “Padre,
perdona loro…”. Si fa portavoce
dell’umanità peccatrice. Si fa vicino ai peccatori, li com-prende (li
prende dentro di sé!). Sono per lui le parole di Isaia: «portava il peccato di
molti e intercedeva per i colpevoli» (53, 12). Arriva addirittura a
scusare i suoi crocifissori, “perché non sanno quello che fanno”. È il culmine
dell’amore.
Perdona e insegna a
perdonare. Nella preghiera del “Padre nostro”, ci fa ripetere ogni giorno che
dobbiamo perdonare come a noi è perdonato (Lc 11, 4), ci invita ad
essere «misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso», a non
condannare, a perdonare per essere perdonati (Lc 6, 37). Anche noi
possiamo pregare il Padre per questa nostra povera umanità di cui conosciamo le
malvagità, le atrocità: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che
fanno».
L’ultima preghiera che Gesù
rivolge al Padre: «Padre,
nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46). Si avverte l’eco del salmo 31: «In te, Signore, mi
sono rifugiato, / mai sarò deluso (…) / Perché mia roccia e mia fortezza tu sei
(…) / Alle tue mani affido il mio spirito (…) / i miei giorni sono nelle tue
mani» (v. 2.6.15). Gesù si affida nelle “mani” del Padre: mani forti che
sanno proteggere e difendere; mani dolci, materne, che sanno accogliere,
accarezzare… Si abbandona con fiducia all’amore del Padre e a lui si
“consegna”. Gli affida il proprio “spirito”, ciò che ha di più prezioso, ciò
che lo rende pienamente se stesso, il tutto di sé.
Le parole del salmo 31 erano
la preghiera che le madri ebree insegnavano a figli prima di addormentarsi.
Anche a Gesù deve averla insegnata sua madre, Maria, e anche lui, prima di
“addormentarsi” sulla croce, la recita per l’ultima volta. Gesù muore come un
bambino che si addormenta tra le braccia del padre. Dov’è ora Gesù? Nelle
mani del Padre. Il Padre lo guarda e in lui vede ognuno di noi: siamo con lui
nelle sue mani.
Ogni sera ci addormentiamo
anche noi con questa preghiera. Vorremmo che fosse anche la nostra ultima
preghiera.