Il Vangelo di Giovanni offre la chiave di lettura della
passione e morte di Gesù: «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino
alla fine» (13, 1). Sono le parole con le quali si apre il racconto dell’ultima
cena. Gesù ha amato tutta la vita, ed ora ama fino alla fina, ossia in
estensione: fino all’ultimo momento, senza tirarsi indietro, anche quando il
cammino si fa difficile e giunge a pregare il Padre che allontani da lui il
“calice” (bere il calice è un’immagine che indica fare la volontà di Dio, che
ora appare a Gesù troppo dura). Fino in fondo indica anche l’intensità massima:
più di così non poteva amare. Tutta la sua passione e morte è dunque
espressione del suo amore infinito.
Vi è una gradualità nel suo “dare la vita”, nel suo patire:
l’angoscia nell’orto degli ulivi, il tradimento, l’abbandono dei discepoli, la
flagellazione, la coronazione di spine, l’umiliazione, la condanna a morte, la
crocifissione… Il culmine del suo patire è forse quando ha l’impressione che
anche il Padre lo abbia abbandonato, lasciandolo in balia della morte: non lo
sente più vicino. Poteva esserci un dolore più grande per il Figlio di Dio?
I Vangeli di Marco e di Matteo riportano una sola parola di
Gesù in croce, il grido: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Sì,
quello è stato certamente il dolore più grande. Lo ha sofferto per noi. Uno
dopo l’altro ha preso su di sé tutti i peccati del mondo, tutte le sofferenze
umane: “Ecco l’agnello di Dio, che si è caricato su di sé tutto il male del
mondo”. L’ha preso su di sé per toglierlo a noi, per liberarci e darci la vita.
Non è questa l’espressione massima dell’amore? Sa che il male più grande è la
separazione da Dio; allora egli lo prende su di sé, prova questa separazione,
per ridonare a noi la comunione con Dio e farcelo sentire nuovamente come
Padre. È il suo più grande dolore, più della flagellazione, dei chiodi, e lo fa
per noi: allora è la sua più alta dimostrazione d’amore per noi.
Grazie!!!!!!!!
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